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Mi hai cucinato un piatto di pasta e io che da un anno tengo insieme i frammenti ho smesso per un attimo di fingere.
Un attimo soltanto, ma sufficiente a ricordare il suono del respiro dopo la lunga apnea.
Eri lì, con il completo addosso, bello come il sole d’autunno, ai fornelli della mia cucina.
Mescolavi il sugo, ma anche silenzi e promesse sospese. Io le ho sentite, nascoste nel vapore che saliva piano, nei gesti misurati, nella calma improvvisa di quella sera.
Non era solo cibo. Era cura.
Era “ora ci penso io”
Mi sono sentita vista. Non desiderata, vista.
Perché avevo dimenticato quanto possa scaldare il cuore vedere qualcuno cucinare per te.
Quando sei andato via, ho pianto.
Era un semplice piatto di pasta, eppure sapeva d’abbraccio, di tregua, di casa.
Mi sono lasciata cullare da un amore che forse non c’era, ma che in quell’istante ho scelto di credere vero.
È vero, mi fai piangere quasi ogni giorno, ma c’è sempre quella volta una sola in cui riesci a farmi sentire speciale.
Grazie per quel gesto.
E in quell’unica volta, quando il cuore finalmente si ferma e respira, ricordo perché ho resistito, perché ti ho scelto, perché, nonostante tutto, resto.
Perché tu, quando vuoi, sai amare bene.
E anche se poi tutto crolla, quel momento rimane.
Fa male, sì. Ma resta bellissimo.