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PRELUDIO
Alice, s'ode solo il vento
a tediar i tuoi occhi stanchi,
lì tra le colonne bianche
dove canti
il tepor lieto della stagione.
Ove l'alba ancor canta
le lodi schiare, io prego
che sul tuo viso s'accenda
la fuliggine delle stelle,
l'invano fato che tace
e purga l'illusioni più belle:
anelano all'acqua del lago
l'edera e il suo riflesso,
freme la cicala sul cipresso
per asciugarsi dal calor.
E tu, Alice, giaci scalza nel prato
per slavar i tuoi sogni quieti,
lì tra le speranze miti
dove piangi
il piacer mesto della ragione.
-Sì diviene empio e mesto
il tardo avvenire!- Nell'odo
ch'estando s'è peccato
per rimirar le crudeli ere,
io solo a dolce inganno dolo.
E meco traggo mere.