Diario di bordo

scritto da Nick
Scritto 3 mesi fa • Pubblicato 3 mesi fa • Revisionato 3 mesi fa
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Testo: Diario di bordo
di Nick

Sembra inimmaginabile poter passare delle giornate davanti ad un angolo di Adriatico a mettere insieme parole che un giorno prenderanno il largo e non saranno più tue. Stare fermi non è un pensiero contemporaneo, permanere un tempo indefinito in un luogo, con se stessi e il cuore nel mare che ti impedisce di riprendere il viaggio non appartiene all’oggi. Essere felici di avere davanti soltanto un foglio, una penna e quella tazza di caffè che non finisce mai. Quasi non puoi credere sia vero. Ti guardi intorno attonito e ti chiedi i nomi delle barche, ti immagini la vita di chi vive a bordo, apprezzi l’anarchia di chi trova, fra l'immaginazione e il vento, la propria rotta al limite del giorno, ogni giorno. Seduto davanti al tuo mare sei in un interstizio più o meno prolungato, che assume una fisionomia propria, ma che non riesci a collocare in un momento presente, passato o futuro della tua vita. A tratti hai la sensazione di essere qui, così, da sempre e che potresti continuare per cento o mille giorni senza alterare minimamente la forma delle cose. È un leggero equilibrio affine ad un desiderio che dona e che toglie e in cui ritrovi la verità fra i tuoi vaneggiamenti: è come se all’improvviso vedessi tutto attraversato da una matrice continua di parole che scorre in trasparenza sulla materia; tutto diventa immagine di sfondo a segni blu che in qualche modo assumono la qualità di racconto.È un imparare a leggere in silenzio oltre la cortina di luce che colora la realtà, ma è un apprendere che non ha termine perché la qualità e la condizione di ciò che esiste in sé e per sé non continua sempre a svolgersi nel senso che in linea di massima ci si aspetta; e le sue tinte sono mutevoli e cangianti nell’arco di una stessa giornata. E così cerchi di fissare sulla pagina almeno i nomi dei colori, illudendoti che le etichette abbiano il potere di dare un ordine a quel caos di segni, lettere e parole; ma loro cambiano con l’evolvere delle ore, con l’imprevedibilità della luce, con l’umore di chi li guarda; e quindi scrivere di queste cose è dipingere una realtà parziale e comunque vera quel tanto che basta a trasformarla in una storia. Ma, nonostante ciò, mi piace stare qui e lasciare che quella matrice di parole continui a fluire come una lieve pioggia che scivola sul mondo con le sue grandi gocce che vanno a fondersi con il mare, per poi un giorno rievaporare come un pensiero necessario che non ti aspetti, ma che sai bene essere stato a lungo lì sotto, allo stato liquido, sempre pronto a riemergere per lasciare abbordare, ancora una volta, quello che c’è sul fondo con quello che c’è sopra. È un moto di lunga durata e continuità che mette in discussione l’invariabilità delle nostre convinzioni di uomini di terra chiamati a misurarci con ciò che non ha un termine, ma solo un periodo che torna e torna e torna sempre ad urtarci, a infrangersi contro la granitica banchina che separa il nostro bar dal rimettersi in viaggio. E questa è la seconda verità: la scoperta dell’attesa, della pausa come parte del viaggio. E soprattutto la presa d’atto della verità sul mio modo di viaggiare che è questo e nessun altro: avere un posto da cui partire e un altro in cui arrivare semplicemente come argomento ornamentale, motivazione parzialmente o totalmente falsa per andare, fare miglia, accumulare emozioni, sensazioni, registrare storie da ricordare e, semmai, da raccontare. Tragitto dove la comodità è occasionale, l'adattamento costante una necessità e un esercizio sia fisico che interiore da rimescolare dentro con quella stanchezza che assoggetta come un dolore raccolto e intimo le membra, dopo che sul finire di un giorno in cui hai dato nomi a ciò che vedi e riempito pagine dei loro colori, tutto si spegne e trasfigura in qualcosa di molto più vicino all’inganno del sogno.  

Diario di bordo testo di Nick
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