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Avvolto nell’invisibilità.
Tra terra, corpo, anima, memoria.
L’Oracolo cerca una cura — disperatamente — dal significato che il mondo ha imposto all’esistenza.
Ma esiste davvero una cura?
Può questa contaminazione strutturante essere estirpata dalla coscienza invisibile, da ciò che chiamiamo esistenza?
Se seguiamo fino in fondo la visione, allora… la cura non esiste.
E nemmeno gli altri elementi.
Sono ombre, maschere.
Contaminazione fittizia.
Cura altrettanto fittizia.
Resta soltanto un nucleo. Residuo.
Percettivo. Interiore.
Un legame che comunica con la superficie esterna.
La vera cura — se così può essere chiamata —
è l’accettazione dell’atemporalità.
Dell’insignificanza.
Del fatto che anche la memoria coscienziosa
è illusione che finge una vita che non esiste.
L’Oracolo non ha voce.
Ma parla.
Attraverso la lingua della terra.
Non ha occhi.
Perché la sua vista è la vista di chi guarda dalla soglia.
Non ha udito.
Perché sente solo l’eco intrinseco
che gli è stato affidato dalla Madre indicibile.
Non ha memoria.
Perché l’immagine che evoca
— e che lo evoca —
è sogno riflesso,
figlio di un’illusione
irrimediabilmente incurabile.