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Quando mi hanno assunta come cuoca per regate, i miei figli avevano otto e cinque anni.
Maria é la più grande, ha la pelle olivastra, una piccola e aggraziata gobba sul naso e un neo vicino alla bocca, é alta e ha un vitino da vespa. Dolce, permalosa e musona allo stesso tempo. Gaetano é un piccoletto robusto, scurissimo di pelle, ha un caschetto di capelli compatto e idrorepellente, lo prendiamo in giro dicendo che sembra il parrucchino dei Play Mobil. É simpatico, solare, scherza con tutti, stremante però, prepotente e testardo.
Il mio lavoro é il più bello del mondo; cucino per un gruppo di velisti simpaticissimi, la maggior parte di loro é sulla settantina e, non si direbbe, ma hanno una vitalità travolgente. Il gruppo cambia ma l’atmosfera é sempre gioviale. Le tappe che faccio più spesso sono Nizza, Cannes, Antibes, Saint- Tropez, ormai le conosco meglio di casa mia. All'arrivo mi accolgono in case da togliere il fiato: enormi, con giardino e piscina annessa, ognuno ha la sua camera e bagno privato. Durante il giorno, l’equipaggio si allena o gareggia ed io, che sono la cuoca, resto a casa. Passo la maggior parte del giorno da sola in queste ville da sogno, in cui mi sento sempre un po’ ospite.
Mi sveglio alle cinque del mattino per preparare l’impasto della focaccia per il pranzo al sacco e la torta per la colazione, poi esco e passo in rassegna i vari mercati e mercatini francesi; la ricerca della materia prima é la parte del mio lavoro che più amo.
Respiro l’aria salata e fresca del mattino, mi prendo quel momento tutto per me. Torno prima di pranzo, sistemo la spesa, inizio le preparazioni per la cena.
Maria e Gaetano li chiamo tutti i pomeriggi verso le quattro, quando escono da scuola. Maria attacca la solita cantilena e con un principio di magone: “Mamma a che ora torni domenica?” e la interrompe Gaetano “Marì e dai, sempre la stessa domanda, lo sanno tutti che i marinai tornano tardi”.
Bisticciano, Maria definitivamente scoppia a piangere, poi mi raccontano la loro giornata, io la mia e ci salutiamo. Mi mancano.
Alle sei vado a prendere i miei amici velisti al porto, parto sempre un po’ prima per prendermela con comodo, e poi, mi piace vederli spuntare all’orizzonte e attraccare al molo.
Ogni domenica del mese torno a casa, con dei regali comprati ai mercatini dell’antiquariato, dei croissant, della torta salata e del pain au chocolat da surgelare. Quel giorno mangiamo la pizza nella piazzetta sotto casa, dopotutto é un giorno speciale.
Dopo quattro giorni insieme dovrò salpare di nuovo, per Lerici, Porto Santo Stefano, Napoli e poi Olbia.
Di Napoli mi sono innamorata. Ho capito, all’alba dei miei quarant'anni, di stare bene dove sta il mare. A Napoli alloggiavamo in un palazzp decadente e sontuoso nel quartiere Chiaia, avevo fatto amicizia con il portiere, un signore distinto, vestito di tutto punto che mi dava consigli su dove comprare vari ingredienti, “Dì che ti manda Cosimo” mi diceva. Son stata travolta dalla bellezza della città, dagli odori, dalla gente e dalle case.
Tutti i giorni mi mancano i miei figli, il buonumore di lui e gli abbracci rinvigorenti di lei. Nel fare la mia solita passeggiata al porto mi consolo pensando che, fin quando c’é il mare, va tutto bene.
Al mio ritorno il tassista che mi accompagnava alla stazione, nel vedermi estasiata del mio soggiorno, mi disse “Eccerto che é così Signò, non si può stare male dove sta il mare”.
Torno a casa, una delle tante volte, e mi godo la scena; Maria che si sbaffa il fiocco di neve fresco di pasticceria che le ho portato, mentre ripete il suo ultimo esame della triennale. Gaetano in videochiamata da Madrid, dove ha appena iniziato l’università, se la ride del mio racconto sul viaggio “Ma che nome é Cosimo, tanto vale chiamarlo Cosmico!”.
E forse é vero che i marinai tornano tardi.