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Mi trovò stanco, nel punto in cui la notte non finisce mai.
Le mani sporche di silenzi, la mente piegata sotto il peso di pensieri che non sanno più dove andare.
Rideva, il diavolo, tra le pieghe della mia memoria.
Credeva di conoscermi, ma io ero già più in basso di lui.
Avevo camminato nei corridoi del rimorso, bevuto dal pozzo della colpa,
e nulla aveva più sapore.
Non c’era più niente da rubare.
Avevo già venduto tutto: pace, sogni, fede, perfino il sonno.
Lui mi cercava tra le ombre, ma io ero diventato ombra.
Non avevo più nome, solo un rumore dentro.
Il diavolo non poteva raggiungermi.
Non perché fossi puro,
ma perché ero diventato il mio stesso inferno.
E lui, davanti a me, aveva paura di specchiarsi.
Avevo imparato a bruciare piano,
senza fiamme,
senza chiedere perdono.
E quando arrivò, capì che non gli servivo più.
Ero già vuoto, troppo stanco per essere tentato.
A un certo punto, la stanchezza diventa più forte della curiosità,
e inizi a camminare senza aspettarti più niente.
Avevo smesso di chiedere il perché delle cose.
Avevo consumato la mia parte di sogni, uno dopo l’altro,
fino a restare vuoto.
Lui mi cercava nei silenzi troppo lunghi,
nelle notti che non finivano,
nei ricordi che tornavano come debiti mai saldati.
Ma non poteva più toccarmi.
Non perché fossi salvo,
ma perché non restava nulla da corrompere.
Avevo già fatto pace con il male.
Lo avevo guardato negli occhi e gli avevo detto:
“Non serve che mi insegui. Io ci sono già stato.”
Il diavolo non poteva raggiungermi,
perché ero diventato il luogo che cercava.