Il presente in un ricordo.

scritto da CDA13
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Un ricordo nato in una mattina come tante. L'ennesima mattina di bilanci e conti, che, ogni tanto, sembrano tornare.
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Testo: Il presente in un ricordo.
di CDA13

Ricordo ancora com’ero vestita quel giorno. Una felpa arancione, un paio di jeans piuttosto larghi, scarpe celesti abbinate. Nel complesso una mise che apparirebbe fuori moda in qualsiasi epoca e secolo, ma erano gli anni 2000 e tutto sembrava concesso dal promettente nuovo millennio che, a distanza di vent’anni, ci ha regalato addirittura una pandemia. Tanto per non abbassare le aspettative, ma questa è un’altra storia.

Dicevamo dell’abbigliamento, che ricordo in dettagli che, per pudore, non sto qui ad elencare e ricordo l’agitazione, l’ansia, l’emozione di sentirmi un po’ più grande, un po’ più donna. Prima di uscire mi specchiai e ricordo quell’immagine come se corrispondesse ancora a quella che vedo oggi. Uscii di casa e non sapevo ancora che quel passo sarebbe stato quello fatidico: avete presente quei bivi, quelli in cui la scelta di andare dritto, a destra o a sinistra provoca un cambiamento minuscolo e radicale nella vostra vita? Ecco, quel passo è stato il mio passo-cambiamento radicale.

Mi accompagnò mia madre, mio padre viveva già da anni in un’altra casa e, lì per lì, non mi accorsi di quanto mi sarebbe mancato a distanza di quasi vent’anni lo sguardo di chi vede crescere la propria figlia, pensando a quanto poco tempo è passato dalla prima parola, dai primi passi, dalla prima febbre. E magari si commuove terribilmente, senza darlo a vedere e l’unica cosa che riesce a dire è: “in bocca al lupo”. Ma tu lo guardi e sai esattamente cosa sta pensando.

Ecco, io quelle parole le avevo sentite per telefono e, sul momento, poteva sembrare che fosse la stessa cosa, ma, a distanza di vent’anni, sono diventate la prova tangibile di un vuoto incolmabile, uno di quei vuoti che puoi provare a riempire in mille modi diversi e ognuno di essi, alla fine, si rivela sbagliato.

Perché è un vuoto che va accettato, con cui si può e si deve convivere, ma che sarà sempre lì. Come i buchi neri, che farebbero schizzare via senza pietà anche il creatore con tutta la sua santissima famiglia, quindi figuriamoci te e le tue paturnie.

Insomma, per tornare al punto, mi accompagnò mia madre, che, come tutte le madri, ha forse più contezza del tempo che passa, di te che cresci, di te che dall’asilo ti ritrovi vestita per il primo giorno di liceo. Una madre è una specie di veggente, perché ti conosce da quando ti impossessi di lei, del suo corpo, del suo seno, delle sue cosce un po’ più fine prima che tu arrivassi, della sua pancia un po’ più soda prima che tu scegliessi di crescere proprio lì dentro. E quindi anche la madre peggiore del mondo sa essere pronta a veder crescere i propri figli senza emozionarsi più di tanto, perché sentirà sempre che nei loro passi, presenti e futuri, scorrono il suo latte, le sue smagliature, le sue notti insonni, i suoi seni dolenti e le sue braccia sottili ma forti. E quindi avrà sempre l’impressione di camminarti accanto.

Sono passati anni da quel giorno, ma mi basta riprendere in mano un dizionario di latino o un vecchio versionario perché io torni di nuovo a viverlo, insieme a tutto il bagaglio emotivo che non sapevo di aver messo nello zaino. Su ogni pagina ho lasciato un pezzo di passato, tanta fatica e un petalo di rosa ormai appassito, come la storia d'amore per cui l'ho conservato. Penso, ripenso e finalmente ho l’impressione di aver sciolto quell’ablativo assoluto in cui tutta la mia vita sembrava essersi condensata. Un inciso, un momento ingabbiato dalle virgole del prima e del dopo. E, infatti, in quel liceo oggi mi chiamano Prof. 

Il presente in un ricordo. testo di CDA13
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