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Si trattava di quello. Il giorno che aspettavo. Non era l’ennesima delle tante illusioni che avevano caratterizzato la mia esistenza. Non era l’ennesimo abbaglio, che come ti illumina d’immenso tutto un tratto poi ti lascia di nuovo nel tuo squallido vuoto. Questa sensazione che cresceva giorno per giorno in me, fino a questo momento dove finalmente la percepisco come palpabile, reale, era arrivata al suo punto culmine. E non mi aveva irradiata di una falsa luce di speranza. Mi ha fatto sentire semplicemente questo: il nulla. E il tutto allo stesso tempo. Lo yin e lo yang. La contraddittorietà dell’esistenza. Ma questa volta senza soffrirne, senza farne un dramma, un motivo di destabilizzazione psicologica o ancor peggio un mistero da sfatare. Non c’era niente da capire, niente di così vitale su cui riflettere. Si trattava solo di smettere di fare tutto quello che ti sei sentito in dovere di fare per paura di ritrovarti impotente davanti a te stesso e la vita. Quei pensieri invasivi, noiosi, aggressivi che sembravano essersi ormai impossessati della tua testa, facendoti sentire un prigioniero di te stesso in te stesso, potevano dunque andarsene. Dopo aver trascorso una vita odiando me stessa, punendomi, sminuendomi, avevo visto una strada diversa. Una possibilità che non avevo mai avuto il coraggio di prendere in considerazione. Per quanto non ci piaccia ammetterlo, tutto quello per cui soffriamo è quasi sempre frutto della nostra incapacità di rinunciare a qualcosa a cui teniamo. E le cose a cui teniamo a volte sono molto stupide. Il nostro ego, il nostro bisogno di imporci, di controllare tutto ciò che ci circonda perché altrimenti il nostro castello di convinzioni potrebbe sgretolarsi inesorabilmente se abbassassimo la guardia. Tutte queste condizioni che imponiamo a noi stessi per ritenerci degni del nostro stesso amore (oltre che di quello degli altri) sono la fonte del nostro dolore, della nostra insoddisfazione infinita. Perché alla fine l’unica cosa che fa sentire un essero umano libero, sintonizzato con il leggiadro flusso della vita, è la possibilità di essere se stesso senza eccezioni. Stare in silenzio quando non vuole parlare. Provare rabbia quando la senti esplodere dentro di te. Lasciare che la paura si impossessi del tuo corpo e sentirla. Osservarla da fuori. Come qualsiasi altra emozione. Ma senza quella voce malvagia che ti accusa di essere un pezzente. Con una voce di compassione, di empatia, di assenza di giudizio. Solo così si può trascendere un’emozione producendo una sorta di evoluzione a livello dell’anima. Esponendosi a ciò che ci fa paura con coraggio perché ciò che importa non è il risultato finale, ma la nuova consapevolezza che produrremo per noi stessi per riuscire a conoscerci meglio. Imparare ad ascoltarci, ma davvero questa volta.
Vivere in un’illusione non serve a nulla. È quello che ci fa sentire fragili, vittime delle coincidenze e del caso. Per riuscire ad avere controllo bisogno proprio lasciarlo andare, il controllo. Bisogna avere fiducia nella vita, e poi magicamente tutte le cose prendono la piega che devono prendere. Che magari non è la piega che vorremo noi ma è sicuramente la piega giusta. E questa consapevolezza ci fa sprofondare in una oasi di estasi. Che sà di pace. Di calma. E finalmente l’anima si calma. Il cuore riprende un ritmo normale. Gli occhi vedono, le orecchie ascoltano, il naso sente gli odori, come mai aveva fatto prima. Il silenzio nella mente. Che benedizione! La fine della guerra. Avere un rapporto sano con se stessi non significa imporsi una scuola di pensiero che vada in contrapposizione con la natura delle proprie emozioni. Il finto buonismo non conduce a niente se non a cronicizzare il tuo malessere poiché ti fa sentire indegno nel provare la tua stessa sofferenza. C’è un tempo per ridere e uno per lasciarsi andare al più disperato dei pianti. Ma l’unico obiettivo per cui valga la pena predisporre le nostre azioni è quello di conoscere noi stessi. Tutto quello che facciamo deve essere diritto a noi stessi. Non agli altri, a nessun'altra inutile fonte esterna che non sia la nostra capacità di vederci con gli occhi della verità. Non ci sono vincitori né vinti in questa vita ma se proprio dobbiamo perdere, è meglio farlo con la propria faccia perché è solo attraverso questa resa che si può vedere cosa c’è oltre le vetta della montagna.
È questo dunque il grande cambiamento: quando il bisogno di essere accettati, stimati o ben voluti si sostituisce al desiderio di essere veri. E quando impariamo ad amare noi stessi in questa maniera incondizionata, diventiamo capaci automaticamente di amare gli altri. Perché un’altra cosa che ho imparato è che non si può mai dare qualcosa che non si ha. Ora che sto sperimentando per la prima volta la sensazione di amarmi, di non essere una zattera in mezzo al mare sballottolata di qua e di là dalla corrente degli eventi, vittima del proprio destino, sento di capire di cosa sia fatto l’amore vero. E la libertà.
La felicità è davvero una cosa semplice.