Tutto finisce, ma non l’amore. Sapete cosa intendo per amore? No, non l’amore platonico e smisurato nei confronti di una persona che desideri, l’amore è quel qualcosa che rende speciale non solo le persone ma anche le cose, i luoghi, tutto dipende dall’amore che si dà e si mette nel curare quel qualcosa. Ogni giorno vivo l’amore incondizionato del mio paese, è mio, lo sento stretto al cuore, proprio come stringe questa vita grigia che ci dicono di condurre. In tutto questo il mio paese è lì, su quella collina che ogni volta mi aspetta, sembra proprio che sappia i miei orari e i miei stati d’animo. Quando torno, la sera, lo trovo illuminato dalle mille lucine mezze rotte che creano attorno a sé un’atmosfera che mi porta conforto. Eh si proprio amore, quell’amore di cui parlavo prima. Attraverso le sue strade ogni giorno, farlo mi rilassa e mi fa stare bene, è come se avessi fatto visita a quel parente della famiglia che è solo e ne ha bisogno. Lui mi aspetta e insieme percorriamo il cammino che porta ad una specie di catarsi, mi accompagna e mi mostra le sue debolezze. Spesso mi accorgo di come sia cambiato, al posto del forno di Mena, della gioielleria, del negozietto ora c’è, no scherzavo, non c’è niente. Ci sono porte chiuse e insegne scolorite che fanno da cornice al disegno dei sanpietrini. Il disegno di quella pavimentazione l’ho sempre amato, non lo so perché, non è bella ma mi ricorda troppe cose. Ho vissuto lì la mia infanzia, tra quelle mattonelle e le mille commissioni di mia madre, fra il caos e il profumo dell’amore, fra il tempo che passava e io che giocavo con quelle mattonelle che ballavano. Ho in mente mia nonna che mi trascinava la domenica mattina in chiesa ma non solo per la messa, no, non era sufficiente, anche per il rosario, e al ritorno sentivo i profumi più belli di sempre con la signora dal balcone che chiama il marito ed i figli intendi a dare una sistemata nel garage. Ricordo il sabato sera e la pizza al borgo, era lì che dopo il catechismo ci rifugiavamo per poi scappare tutti felici e sazi verso il parco dove ognuno si divertiva con quel poco che c’era. Mia madre subito chiamava al telefono ordinandomi di tornare anche se io non volevo. Così mi incamminavo zitto zitto verso casa che non distava molto e durante il breve tragitto pensavo che sarei voluto andar via da quel paese per andare a vivere in città e vivere liberamente. L’idea di vivere in città mi eccitava molto, pensavo che questa fosse fatta dello stesso calore di un paese ma triplicato perché più grande. Poi sono cresciuto e ho capito molte cose. Quel paese che da piccolo mi stava tanto stretto perché aveva solo un parco ora mi piaceva, mi aveva educato ad apprezzare le piccole cose della vita. Ho apprezzato il saluto dei conoscenti, le chiacchierate con la vicina, la tradizione culinaria, il caffè offerto dalle anziane signore nel centro storico e molto altro. È come se all’improvviso quel mondo non mi andasse più stretto e che volevo iniziare a viverlo. In quell’istante stesso mi sono accorto che le cose erano tanto cambiate. Ho scoperto che mia madre era in grado di svolgere anche senza di me le sue commissioni, che la pizzetta Mena non la faceva più e quei sanpietrini non ballavano ma erano rotti lasciando spazio a buche orribili. Anche il borgo non cera più e il mio sabato sera era cambiato. Tutto cambiava ma non il mio amore. Abbiamo troppo giocato a voler andare in città e siamo finiti col distruggere quel gioiello prezioso. ora non ci sono più tutte quelle cose e nemmeno tutta quella gente. ci sono io, sognatore che forse sarà troppo illuso ma non rinuncio al mio amore. Una cosa è certa, il mio cuore è lì, in quel dialetto, sul quel corso, nelle pizzette di mena e nel borgo, sui gradini della piazza, sul soffitto dipinto delle chiese e in tutti gli altri posti in cui ho pianto e riso. Il mio cuore lo lascio qui, dove casa mi aspetterà sempre.
Ricordi e consapevolezze. testo di Lumem_