L'addestramento di un legionario

scritto da Deaexmachina
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Arduo affrontare il nemico...
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Testo: L'addestramento di un legionario
di Deaexmachina

Ci si era ritrovato per caso in quella situazione.
Giulio non era mai stato un tipo esuberante né coraggioso, ma aveva risposto prontamente alla chiamata; tutto, pur di uscire dalla casa paterna sotto il costante rimbrotto dei Lari.
Non era prevista la dotazione di abbigliamento né delle armi e, all'inizio, si era dovuto arrangiare, recandosi sul campo di addestramento in una mise "diversa", assistendo defilato all'esecuzione delle movenze belliche preparatorie alla discesa in campo o in piazza; nelle parate indette per esibire la gloria della legione, da principio, a lui era toccato star dietro, anonimo, portatore di scudi o di bevande, ma sapeva che presto sarebbe toccato anche a lui il tripudio del popolo, ammirato da cotanto ardore imperiale.
Lorica e caligae se l'era sudate, sgobbando appresso ai centurioni, che spesso lo avevano fatto oggetto di celie, non ritenendolo fisicamente idoneo ad indossare l'intera armatura di un legionario; Giulio aveva gambe secche e spalle curve, da ragazzo avvezzo a troppe premurose attenzioni materne e inesistenti legnate paterne, un ragazzo ligio allo studio e cagionevole per qualsivoglia attività fisica.
Per caso aveva letto il bando e si era deciso a presentarsi, contando di raggranellare qualche soldo per un'eventuale traversata del mare verso gli agognati lidi ellenici.
La sorpresa dell'arruolamento aveva sconvolto i genitori, molto negativamente.
A quel punto, avrebbe potuto disertare o crescere; la seconda opzione lo aveva portato a far fagotto e prendere asilo presso un commilitone, centellinando le magre risorse pecuniarie fino ad allora accumulate.
L'Impero attraversava un periodo buio e in molti erano caduti nell'adempimento delle battaglie contro un nemico potente ed infido. Era dovere morale non perdere le speranze e adoperarsi per la vittoria, ponendo mano a tutta la riserva di coraggio, riservando ai sogni la durata della notte, fintanto che l'orizzonte non si fosse volto a sereno.
Giulio sgobbava ed imparava ad emulare le tecniche di approccio e riuscita, fantasticando nuovi metodi, quando sarebbe toccato a lui esibirsi.
- Approfitta per allenarti: mens sana in corpore sano, lo sai. Devi mettere su qualche muscolo se vuoi farti notare. Là fuori non guardano al tuo lignaggio né al tuo intelletto -; il sodale istruttore vantava il grado di centurione.
- Non ti ringrazierò mai abbastanza per la tua leale amicizia e per questa insperata possibilità di mostrare il mio valore -, ed era sincero.
- Spero che riuscirai ad importi: ci vuole costanza, fratello -, e gli aveva fatto incentivo donandogli una tunica smessa, accompagnata da una stretta sulla spalla (una morsa, per quanto era forte, a differenza sua).
Agli occhi di Giulio, quello straccetto color porpora, era stato la consacrazione alla causa.
Non che rientrasse nei suoi progetti dar mostra di valore sul campo, sudare copiosamente d'estate e intirizzirsi d'inverno, con la polvere tra le dita dei piedi e nelle narici allergiche ai pollini, a conquistare le genti che gli si parassero sul percorso... Ma era la sua prima vera prova di maturità.
- Quando pensi che attaccheremo? -.
- Appena superata la soglia di allarme; ancora non è tempo per missioni suicide. Non aver fretta, Julius! -, lo aveva schernito. - Allenati alla panca e, quando non ne puoi più, maneggia il bastone -. (Era palese il doppio senso).
- Voglio una spada come la tua: sono stanco di menare quel ridicolo pezzo di legno ammuffito -.
Non era molto sveglio sul cameratesco gergo virile e non aveva compreso l'immotivato e fragoroso scoppio di risa con cui l'amico si era congedato uscendo di casa.

Il centurione Marco, discendente di pura gens romana, era davvero abile ad accattivarsi le genti e ad inscenare ratti di fanciulle straniere che ben volentieri si lasciavano trarre tra le sue braccia; era aitante e faceva la sua bella figura armato di tutto punto.
Certo peccava nell'istruzione ma, sulla base di una scarsa indipendenza economica, a Giulio non sarebbe dispiaciuto somigliargli un po'.
La sua corporatura non voleva saperne di prendere massa, nonostante i sacrifici ginnici; le sue ossa, poi, recalcitravano all'idea di tendersi fiere, dopo anni di asservimento allo studio, prono sui libri a rincorrere l'alloro...
Quanto gli sarebbe piaciuto nascere altrove, in tempi diversi, ed indossare una tunica più lunga da filosofo!
Le sue probabilità di riuscita in quel folle mascheramento da legionario senza cotta, senza cappa né spada, erano nettamente pari allo zero e, se non si fossero decisi a dare il via libera alle sortite, facilmente si sarebbe arreso all'idea di disertare e rientrare in patria domo.
L'ultima missiva, infilata sotto la porta dalle preoccupate mani materne, dopo vari tentativi di contatti, lo invitava a rinunciare a tale ostinato, sciocco e denigrante atteggiamento di sfida e rinsavire, tornando alle sue carte (e alle sue cure).
La tentazione era forte, ma Giulio aveva dato la sua parola d'onore.
Cosa avrebbe raccontato alla sua discendenza?
Che, affranto da una ria struttura fisica refrattaria all'azione, sferzato dai crampi di uno stomaco uso a laute libagioni ormai vietate dall'indigenza, costretto ad apparire sine metu quando era sempre stato un pavido letterato introverso, si era consegnato nelle mani del nemico accettando la resa nella segregazione solitaria?
Ah, qual triste dilemma!

L'ultima scatoletta di tonno giaceva sul ripiano del lavello, in attesa che Giulio si decidesse a lavarla e ad asciugarla prima di buttarla nell'apposito settore della raccolta differenziata.
Per ricambiare l'ospitalità di Marco, si era proposto per contribuire alle spese per il cibo e adoperarsi nelle pulizie del monolocale, mentre l'amiico passava la maggior parte del suo tempo nella palestra casalinga della fidanzata, per mantenere in forma il suo statuario corpo da centurione.
Davvero sperava che, debellato il virus coi vaccini, sarebbe tornato all'ombra del Colosseo a dar sfoggio della sua divisa davanti a masse di stranieri, contenti di farsi immortalare con un esponente della gloriosa storia di Roma.
Dal canto suo, Giulio era stufo delle scatolette quanto un gatto castrato che sognasse di dar la caccia ai topi.
Chi se ne fregava delle regalie dei turisti, mettendosi in ridicolo, quando poteva contare sull'aiuto dei genitori fino alla laurea!
- Marco, senti: non fa per me. Non mi avrebbero arruolato secoli fa e non mi filerebbero per una foto manco se li pagassi io. Sì, sì: sicuro. Torno a casa. Grazie di tutto -, si era tolto il pensiero con una rapida telefonata.
Scatolette di tonno in dotazione all'esercito...
Nemmeno da stratega avrebbe avuto successo, a quei tempi.
L'addestramento di un legionario testo di Deaexmachina
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