Contenuti per adulti
Questo testo contiene in toto o in parte contenuti per adulti ed è pertanto è riservato a lettori che accettano di leggerli.
Lo staff declina ogni responsabilità nei confronti di coloro che si potrebbero sentire offesi o la cui sensibilità potrebbe essere urtata.
Juliette era nata nella provincia francese, in un paesino della Borgogna e fin dalla prima volta in cui le venne naturale cantare il suo primo dolore d’amore, all’età di quattordici anni, il suo destino si trasferì anima e corpo nei boulevard parigini; dove ben presto divenne la più amata cantante e intrattenitrice di ogni coppia di amanti parigini, più o meno clandestinamente seduti ai tavoli dei più fumosi locali musicali della capitale francese.
Con i capelli corti, neri, diligentemente piegati e cadenti sul lato destro del suo viso bianco e minuto; lasciava che fosse esclusivamente la metà più dolce del viso, a rivelarsi ai suoi spettatori. Per tutto ciò che non si vedeva, invece, rimaneva la sua voce tagliente e penetrante, a lasciare immaginare gli abissi profumati della sua parte destra del viso. Qualcuno addirittura, ostentava certezze, nel raccontare come, anche il cuore, della divina Juliette, fosse celato da un velo di seta rossa.
Si lasciava attendere, seminando nei variegati frequentatori delle notti parigine, una sottile angoscia, nel dubbio che lei non si esibisse. E quando la misura dello champagne consumato nel locale, superava la linea di demarcazione tra ciò ch’è giusto e l’eco dei ricordi indelebili; ella appariva in tutta la sua titubanza. Con lo sguardo basso, il corpo ossuto e fragile avvolto da un lungo vestito cangiante. Fermandosi un istante di fronte al microfono sottile come la sua esistenza; sollevava leggermente il viso, diviso in due dalla frangia…un mezzo sospiro…e un sorriso - di chi sembrava provenire direttamente dal mondo dei sentimenti perduti - si dipanava ora nella sala già emozionata e bagnata, dallo champagne e dalle lacrime delle amanti, condannate alla vita di mezzo, cominciata al tramonto e destinata a terminare nei solitari vicoli umidi di pioggia e solitudine.
In quelle esibizioni, anche le pareti faticavano a trattenere le lacrime, mentre la sua voce scalzava e prendeva il posto dell’alcol, nelle vene di chi c’era. Portandoli a spasso per le colline fiorite della campagna francese e lasciandoli totalmente spossati, sotto un lampione illuminato di Montmartre.
Era così, che Juliette si prendeva beffa della sua esistenza, vissuta al servizio dei momenti mancati, delle storie d’amore soltanto sfiorate. Cantava Juliette, tutte le incognite dell’esistenza umana.
Decorando i vuoti dell’anima di chi ha compreso che: non è per sempre!
Quando in quella fottuta alba di un Novembre qualunque, si diresse alla stazione, con una valigia e un cappello frettolosamente indossato; fece una sosta in un cafè di Pigalle. Solitaria e seduta in un angolo del locale, estrasse un piccolo taccuino. Non avendo una matita o una penna, usò il rossetto per appuntare qualcosa. Con un occhio, rivolse uno sguardo di affettuosa amicizia al proprietario del cafè, mentre dall’occhio celato dalla frangia, colava, incessante come la Senna, un pianto disperato.
Se ne andò. Scelse il mare. Il più remoto. Per far sfociare quel fiume di lacrime.
Con lo sguardo fermo e assente, rimase seduta per ore nella carrozza semivuota. Poi d’un tratto, il violento fischio del treno la distolse dai propri abissi, rivelandole dal finestrino uno sterminato paesaggio viola come la malva. Di nuovo la provincia.
Il treno fermò in una piccola stazione con la tettoia in ferro battuto, a pochi chilometri dal villaggio cui era diretta.
Trovò un passaggio di fortuna. Dalla strada in discesa che entrava nel villaggio intravvide un porticciolo e un mercato disordinato.
Era una giornata di sole, limpida e fresca. Un ragazzino con uno sguardo furbo le offrì qualcosa da comprare.
Arrivò fino al molo per vedere il mare – non lo aveva mai visto – e ne fu scioccata. Non per il colore, o per il movimento. Lo guardava e non riusciva a trovarne una fine. Pensò a come potesse essere una canzone senza finale. Ogni storia e ogni dolore hanno una fine. Dopotutto è l’inevitabilità di un finale, a provocare la spaccatura nel cuore di un'anima. Davanti al mare no. Ne rimase quasi infastidita, rimanendo a lungo a contemplare quel bizzarro orizzonte.
Quando da una barca arrivò una voce: – Signora… Signora le dispiacerebbe spostarsi leggermente? Dovrei assicurare la mia barca alla bitta dinanzi a lei. Mi perdoni. –
Juliette fece due passi indietro, alzò lo sguardo e vide un uomo dal viso spigoloso e una folta barba bianca; che senza prestarle grande attenzione, assicurò la propria cima. Aveva degli attrezzi da lavoro e delle vernici sull’imbarcazione cui fece rapidamente ritorno, rimettendosi a lavoro.
Juliette si scusò garbatamente per il suo posizionamento evidentemente d’intralcio. Poi fece una pausa e rimase ad osservare l’uomo per qualche istante.
Il Capitano se ne accorse, e senza attendere, le si rivolse: - Signora, le serve nulla? Sembra venire da lontano… -
Juliette, fissandolo: - Sì…saprebbe indicarmi un cafè?-
Il Capitano indicò alla sua sinistra rispondendo: - Certamente…lì, lo vede? C’è un piccolo bistrot –
- La ringrazio. – Rispose Juliette che si incamminò verso il locale indicatole.
Arrivò dinanzi alla porta bianca e vetrata d’ingresso. Di fianco c’era una fioriera dipinta di rosso.
Entrò, si sedette. Un ubriaco era preso a parlare con se stesso. Juliette guardò fuori, verso il porto.
La radio trasmetteva una canzone appassionata...
Non si era mai ascoltata; e le sembrò tutto, meravigliosamente lontano da lei.