Lezione di Fisica

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A Roberto Trentuno detto panda Nella copertina, al centro con il cappello, il preside del discorso che all'epoca della foto insegnava Elettrotecnica all'istituto "G. Galilei".
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Testo: Lezione di Fisica
di davi55

Il bosone di Higgs: dialogo tra due fisici teorici e un non so.

Non so: Che cosa è esattamente il bosone di Higgs?

Fisico1: Tra i tipi di particelle che conosciamo, una di esse sono i bosoni.  I bosoni sono particelle che mitigano una forza. Uno dei bosoni é quello detto di Higgs, quali sono le sue peculiarità?

Fisico2: Una di esse è che interagisce con altre particelle dotandole di una massa. Iniziamo con l’idea di un campo di forza,  immaginate che lo spazio non è vuoto ma pieno di cose che accadono, ciò di cui parla Higgs, è un nuovo campo di forze che noi adesso chiamiamo di Higgs, ed è questo che riempie lo spazio e non appena altre particelle che sarebbero altrimenti senza massa si avvicinano a tale campo ne sono attratte, è questo che impartisce loro una massa. Questo per quanto riguarda il campo di Higgs, passiamo adesso alla particella: immaginate di stare davanti ad un tale campo, se lo colpite violentemente come fosse la superficie dell’acqua, ciò causerebbe uno spruzzo di particelle che sono proprio i bosoni di Higgs.

Non so: Mio Dio, lei sta dicendo che i pezzi di questo campo sono I bosoni di Higgs?

Fisico2: Sì.

Anno scolastico 1969/70

La scuola

La nostra scuola, un edificio di tre piani, si trova nell’estrema periferia e interrompe una sottile striscia di piccole fabbriche e attività artigianali che occupano entrambi i lati della strada. E’ un parallelepipedo molto più lungo che largo, si spinge quasi dentro di ciò che resta di una campagna dove ancora pascolano mucche. E’ orientato da est verso ovest e i suoi due lati più lunghi guardano rispettivamente uno a nord e l’altro a sud.

Il tragitto

Tutte le mattine, qualche minuto prima delle sette e trenta io sto già alla fermata dell’autobus, quella vicina al fioraio. Tenete conto che molto spesso, quando l’autobus apre le porte, ci si trova davanti ad un muro di cappotti dal quale spuntano fagotti con i libri, allora con tutta la precauzione possibile si può solo occupare il posto sul gradino e quando l’autobus riparte, il sospiro generale ti schiaccia contro la porta, fino alla prossima fermata.  Esistono due grandi divagazioni lungo questo tragitto. La prima, è il camion che porta i maiali al salumificio che si trova  appena dopo che l’autobus svolta dalla strada provinciale. Le grida delle povere bestie che hanno già avvertito l’odore del sangue si mischia al lezzo che diffondono in quella loro agitazione; il camion ha bisogno di diverse manovre  prima di attraversare quello che solo per i maiali è il limite ultimo, il cancello del salumificio. La seconda è il carro ferroviario di uno sconosciuto minerale del quale ha necessità la fabbrica appena prima della nostra scuola. Anche questa manovra dell’autoarticolato è lunga e laboriosa, si forma una coda di macchine e in questo caso l’autista apre le porte e tutti noi ci avviamo a piedi sullo stretto marciapiede  verso la scuola distante solo qualche centinaio di metri.

 

Il discorso del Preside

All’inizio, grazie al conforto di una caramella alla menta, la voce del preside è calda, mielata e chissà quanti occhi si saranno accesi nell’ascoltarla durante la sua lunga carriera. L’incanto dura pochissimo,  un’inaspettata afonia spezza il tono oratorio e quel dare fiato senza che nessun suono esca dalla bocca spalancata, quell’istante di silenzio ci lascia tutti perplessi a noi del primo anno  riuniti nella palestra. Come uscisse da un mantice, la voce si rialza, oramai priva del timbro, rauca, sfiatata, riprende a ondeggiare sopra le nostre teste prima di cadere di nuovo, assottigliarsi fino a un inintelligibile soffio. Legge da un mazzetto di fogli di quaderno, il preside e che sprone per noi è quello sforzo: più delle parole mezze dette più che ascoltate. Quella cacofonia vagamente salmodiata spinge alcuni a cimentarsi sulle pertiche e sulle funi, propedeutico allenamento alle fatiche dello studio. Ecco l’allocuzione esortativa è finita e lo sparuto gruppo dei suoi vice, professori e professoresse si stringe attorno a lui, subito gli porgono una sedia e un bicchiere d’acqua. Brutte nuove, è malato il nostro preside, c’è la possibilità che abbandoni il suo incarico prima del termine dell’anno scolastico. Il succo del suo discorso si può ridurre  a queste poche parole: i sacrifici di oggi saranno le ricompense di domani.

Rimandato

Cerco  la solidarietà dei fiori, chiedo a loro un’impossibile mimesi tanto sono stonato io in quest’inizio di settembre alla fermata con i libri sotto il braccio. Gli esami di riparazione, disegno e matematica. Intanto iniziamo con il dire, a parte la matematica, che non si tratta di disegni artistici ma di geometriche assonometrie per le quali sono necessarie le squadrette, il porta mine, il compasso addirittura il goniometro e l’album dei fogli naturalmente e sono cose queste, che fanno sudare le mani. E’ andata bene, sono stato promosso.

 

Anno scolastico 1970/71

Il domani

Il discorso del preside ci ha vincolato al nostro oggi ma il domani è già qui: non parlo di quelli che portano in cima alla loro pila di libri il piccolo volume delle tavole dei logaritmi, essi frequentano il terzo anno. Bensì parlo di quelli del quinto anno, in giacca e cravatta portano appena uno smilzo libro e un quaderno. Essi hanno superato la tenebra della rarefazione degli alunni, quei gruppi sparuti rappresentano la quintessenza del ciclo scolastico riunita in piccole classi di una decina di elementi. Arrivano più tardi e vanno via prima alcuni già stipandosi ridendo dentro una macchina. Il cordone ombelicale che li legava alla scuola è già reciso. Sono liberi e già malati di nostalgia per quell’edificio, i professori, i compagni che presto dovranno abbandonare per tuffarsi nella grande vita. Sapete, appena oltre la scuola c’è un piccolo edificio di due piani, una fabbrica farmaceutica, dentro le sue grandi vetrate passano uomini in giacca e cravatta e poi ci sono  con indosso un camice bianco, quelli che saremo noi: i tecnici.

Lezione di fisica

Finalmente! Oggi, nonostante un altro piccolo ritardo, e siamo già a novembre, il professore di Fisica venuto dall’Università terrà la sua lezione che sarà l’unica, in seguito verrà un altro professore. Considerate che, parlando di fisica, io avessi rimuginato per tutta l’estate il modello atomico di Bohr che mi aveva procurato un ultimo rigurgito appena cinque minuti prima, dal quel ero uscito accarezzando l’idea che nell’atomo tutto stava al suo posto, proprio come i pianeti del nostro sistema solare, gli elettroni giravano intorno al suo nucleo che io, di conseguenza, paragonavo a un sole. Il professore arrivò trafelato, un ultimo inconveniente, un guasto alla macchina aveva procrastinato ulteriormente la lezione così tutti pensammo che il martello che aveva in una mano, nell’altra una piccola scatola che aveva tutta l‘aria di essere un’apparecchiatura, fosse la diretta conseguenza di un armeggiare a cofano aperto unita alla precauzione di non lasciare nulla di valore nella macchina. La prima cosa che ci disse fu una domanda: “Che cosa sapete della materia oscura?”

Ci guardammo esterrefatti. Fedeli al principio della mutua ignoranza a meno di nuove irrefutabili evidenze dicemmo che non ne sapevamo proprio niente, però c’è sempre qualcuno che vuole mettersi in mostra così uno, disse che ne aveva sentito parlare alla televisione. Tutti disapprovammo. Immediatamente dopo la richiesta da parte del professore di fornire altri particolari, la cosa si rivelò del tutto infondata e limitata a un sentito dire. Comunque, proprio così sul più bello il professore rifila una martellata all’apparecchiatura che logicamente si rompe lanciando in aria frammenti di una dura plastica scura. Tutti ci mostrammo dispiaciuti dell’accaduto e ci precipitammo a raccogliere i pezzi. “Che cosa fate?”, disse il professore: “Non è necessario, lasciateli stare". Rumoreggiamo.“E’ un’altra la domanda che vi voglio fare”. "Che cosa è successo?”

Proprio io presi la parola e dissi un’ovvietà fisica: “A quel corpo è stata somministrata più energia di quanta potesse assorbire o disperdere.” Non avevo colto il senso del problema a quanto pare. Allora un altro più fedele alla scala infinitesima  disse che la struttura cristallina della materia era stata rotta e degli atomi si erano danneggiati. Altri ebbero il coraggio di prendere le parti dell’apparecchio danneggiato, che a qualcosa sarà pure servito.  Quello che il professore disse poco dopo ci gettò a tutti in una profonda prostrazione.

“No, gli atomi non sono rotti, essi stanno ancora tutti esattamente al loro posto, non ci sono elettroni liberi, la materia ha mantenuto la sua struttura cristallina!”

Allora lo ammetto, caddi nel panico. Il modello atomico di Bohr era andato in pezzi. Se gli atomi stavano ancora al loro posto, qualcosa ancora più piccola aveva abbandonato quella materia e questo era scritto sulla sua superficie. Così scoprimmo le particelle subatomiche. Ebbe il professore, il tempo di porci un’altra domanda: “Che cosa pensate, adesso della materia oscura?”

Stremato, sfinito, potei solo dire: ”E' molto più vicina di quanto pensassimo.”

Fisica (non delle particelle) 

 Da quale palcoscenico o carro di Tespi è sceso quest'anziano signore che è un vero capitan Fracassa, con una pancia da fare invidia al Dottor Balanzone? Pantaloni grandi come i suoi, che abbracciano una tale pancia, li ho visti indossare soltanto ai clown del circo. Tranquilli, è soltanto il nostro nuovo insegnante di Fisica in grisaglia. Basta un nonnulla per farlo prendere fuoco.  Si alza in piedi e sono strattoni, strilli e urla. Il malcapitato, l’oggetto di quel subitaneo accesso d’ira è spedito fuori dalla porta con uno scapaccione e un ultimo calcione quando sta attraversando la soglia. Qui ne abbiamo tutti paura: dovreste vedere che uno scrive sul suo registro quando qualcuno chiamato alla lavagna si professa impreparato.

Trenta o Trentuno

Adesso si è circondato di quelli ai quali ha sfilato dal polsino il foglietto con le formule, di quelli che si cambiano di banco per suggerire al loro sodale. La scusa è l’appello. Lui non vuole leggere tutti i nomi ogni volta, reputa questo un compito gravoso che adesso assolve ora l’uno, ora l’altro del suo personale parterre. Chissà a chi è venuta in mente l’idea di accorciare la procedura in una maniera molto singolare: saremmo stati chiamati con il numero d’ordine del registro e dovevamo rispondere, a quel numero, con il nostro cognome. Penso che la probabilità di incontrare persone le quali il loro cognome sia un numero non sia poi così piccola ma che questo numero corrisponda a quello nel registro di classe questa è un’eventualità che escludo nel modo più assoluto. Sta di fatto che proprio così è andata: quando è stato detto un numero quello come risposta, ma era un cognome, non corrispondeva.  All’omone che in quel momento piluccava il suo registro quella discordanza, è suonata come un insulto. Si è alzato come un mangiafuoco e si è scagliato lo sapete contro chi? Contro panda, il ragazzo più grosso e più buono che c’è tra noi. Lo chiamiamo così per via delle sue profonde occhiaie, è malato di una forma grave di diabete ma anche per la sua bontà. Ebbene gli si è avvicinato e gli ha mollato uno schiaffone, immediatamente gli occhi di panda si sono inumiditi, quindi tenendolo per un braccio, l'ha strattonato fino oltre la porta che gli ha poi richiuso in faccia.

Andiamo dal preside

Ciò che era accaduto a panda lo considerai un punto di non ritorno. Deciso a fare qualcosa, quella condizione non poteva continuare, convinsi altri quattro ad andare dal preside.  Durante la ricreazione lunga, un quarto d’ora nel quale mangiavamo un panino che ci vendeva il bidello, decidemmo di muoverci. La nostra classe si trovava al secondo piano, già alla partenza due si sfilarono e giunti al primo piano anche gli altri due mi abbandonarono quindi davanti alla porta del preside rimasi solo io. Il preside, quello sfiatato del discorso dell’anno precedente mi ascoltò. Mi disse che quelli erano i suoi ultimi giorni nella scuola, che presto sarebbe andato via in pensione finalmente e che di conseguenza non poteva fare niente se non renderlo presente al nuovo preside.  Nulla di fatto.

L’incidente

Un’altra ossessione, di quel drago delle favole, era scoprire chi suggerisse. Pensate che io avessi paura persino a fiatare figuratevi a suggerire, eppure quella mattina accusò proprio a me che facevo di tutto per evitare persino il suo sguardo di essere il suggeritore. Prima che si muovesse dalla cattedra io, ero già in piedi, mi aveva cacciato. Mentre mi avviavo verso la porta, non gli staccavo gli occhi di dosso e quando fui abbastanza vicino a lui, gli sussurrai tra i denti: “Non provare a toccarmi che faccio venire mio padre.” “VAI FUORI!” Fu la sua risposta.

Lupus in fabula

Passarono alcune lezioni ed io non davo più importanza a ciò che era accaduto tra me e il professore. Pensavo non di avere guadagnato la sua stima ma di averlo diffidato abbastanza dall’intraprendere certe azioni nei miei confronti. Mi'illudevo, il lupo nelle favole, alla fine, arriva per davvero e questa volta nelle vesti del nuovo preside. Avevamo lezione di Fisica quando ha aperto la porta per annunciare proprio a lui qualcosa, nello spiraglio sapete chi ho visto? Mio padre, che lavorava sempre, mai una festa, mai un Natale e quando non lavorava dormiva. Ho pensato alla difficoltà nella quale lo avevo posto e questo mi ha provocato un accesso di profonda vergogna quasi da piangere. Anch'io sono stato invitato a uscire e ci siamo ritrovati io, mio padre, il preside e il professore sul pianerottolo davanti alla classe. Ho esposto le mie ragioni che non sono state ascoltate e quando il dialogo tra pari è cessato e il professore di Fisica si è voltato verso mio padre con l’evidente intenzione di umiliarlo a causa mia, ho sentito che dovevo fare qualcosa. Non lo so per voi, ma i genitori ai quali ci si affeziona di più, che si amano di un amore, quasi disperato sono proprio i più assenti. Sentivo che dovevo qualcosa a quell’uomo che mi dava da magiare fin da quando ero bambino e che mi aveva insegnato a dare i primi calci a un pallone. Ho fatto due passi verso il professore, a quel punto quella non era più la sua pancia che avevo davanti ma un pallone al quale ho sferrato un violento calcio. L’effetto ha superato ogni possibile immaginazione, quel gigante si è afflosciato sulle sue ginocchia lamentandosi con enfasi,ed io ho visto ciò che avevo sempre immaginato, sotto tutta quella stoffa c’erano due gambe sottili. Si è quasi sdraiato in terra continuando a lamentarsi reggendosi la pancia: “Ohi, ohi. Mi ha ammazzato”, diceva. Il preside inviperito si è voltato verso di me: “Con te facciamo i conti dopo”. Sospeso per quindici giorni. Al ritorno sull’autobus non potevo stare vicino a mio padre, neanche guardarlo. Solo quando siamo scesi, con le lacrime agli occhi, mi sono avvicinato a lui e abbiamo percorso insieme la strada fino a casa.

Obbligo di frequenza

Dopo due giorni mi ero quasi abituato a quest’ozio quando mia madre, di ritorno dalla scuola mi ha detto che ero ancora sospeso, ma potevo frequentare. Una volta di nuovo a scuola mi lamentavo con i compagni che avrei preferito oziare. Ero disamorato. Per fortuna la routine scolastica riprese il sopravvento e mi diedi a studiare con impegno. Venne il giorno della mia interrogazione in Fisica e con grande soddisfazione vidi il professore scrivere con la penna un bel sei e mezzo in mezzo in corrispondenza del mio nome. Semplicemente avevo capito il suo metodo. La Fisica insegnata da lui era una appiccicosa melassa che bisognava saper raccogliere, con pazienza a goccia a goccia e tutto insieme scoprivi che la coppa era piena, quasi traboccava. L’istante del calcio rimaneva fermo nella mia mente  come se ancora continuasse ad avvenire. Questo evento rilevato come un’increspatura continuava a fornire informazioni e una in particolare: lo scomposto tramestio della sua caduta aveva rivelato sei numeri rozzamente tatuati sull’avambraccio sinistro. Il professore era stato in un campo di concentramento nazista.

Il flagello della svastica

Mio padre possedeva un solo libro che teneva sul suo comodino. Pure se sbertucciato lo conservava come un’autentica reliquia e spesso, se beveva un bicchiere nel tinello assieme a qualcuno, si alzava per prenderlo e lo mostrava all’incredulo di turno. Glielo aveva regalato un suo amico con la promessa che lui avrebbe dovuto diffondere il suo contenuto, comunicarlo ai dubbiosi in un’azione di autentico apostolato. Promessa che mio padre rispettava del tutto. Logicamente né io, né i miei fratelli potevamo toccare quel libro, cosa che poi facevamo regolarmente una volta rimasti da soli in casa.

C’erano molte fotografie, scattate presumibilmente dagli stessi nazisti dove si vedevano donne nude correre in mezzo alla neve e tante altre atrocità commesse da esseri umani contro altri esseri umani che non avevano altra colpa se non quella di essere ebrei. Certo con la coscienza di oggi posso dire dopo aver letto “Necropoli” di Boris Pahor, che il professore si era trovato in una situazione dove l’unica via d’uscita era passare come fumo attraverso un camino e questo mi dispiace oggi come allora. Un ultima cosa, quel libro in virtù delle fotografie fu preso di mira dai miei zii, i fratelli di mio padre che insinuarono che lui lo teneva sul comodino solo perché, alla fine, si vedevano delle donne nude.

L’inganno

Dovreste vederli, quelli che gli stanno sempre attorno cosa stanno facendo. Prima di tutto hanno rivelato che fin da subito quello era il loro intento, guadagnare un po’ della sua fiducia e ora che si è allontanato per scendere dal preside lasciando il suo registro incustodito loro stanno scrivendo con la matita dei voti sullo stesso. Inutile fargli notare che quel sei, alcuni più megalomani hanno addirittura scritto sette, faceva media con l’uno, scritto sempre con la matita, distante solo pochi giorni e la situazione non migliorava di molto. Hanno chiesto anche a me se volessi un voto, ma io il mio bel voto l’avevo già e tracciato a penna per giunta. Logicamente al suo ritorno il professore scoprì subito tutto e si mise a cancellare quei voti usurpati con l’inganno. Da allora nessuno più si avvicinò alla sua cattedra. Un giorno che lo vedevo, stava soltanto in attesa del suono della campanella lo sguardo fisso davanti a sé, le mani poggiate sulla sua cartella, nella confusione mi avvicinai alla cattedra quel tanto che bastava e gli posi questa domanda: “Professore lei è stato in un campo di concentramento?”

Lui sempre continuando a fissare il vuoto mi rispose: “Sì”.

Sei in condotta

Io dormivo della grossa, lo squillo del telefono mi ha svegliato. Dall’altra parte c’era mia madre:”Che fai non vieni a vedere i “quadri”?

“Certo”. Ho balbettato ancora assonnato. “Io e tuo padre già stiamo qui”. A quel punto ero trasecolato. “Certo che arrivo”.

Mentre mi preparavo e lungo il tragitto io ero tranquillo. Sapevo di aver fatto il mio dovere, non avevo insufficienze anzi in qualche materia avevo ottenuto anche buoni risultati. Così al mio arrivo sono sfilato tranquillo davanti a mio padre e mia madre che non hanno detto niente, diretto verso il luogo dove erano affissi i risultati. Ho trovato quelli relativi alla mia classe, sono sceso fino al mio nome, tanti sei qualche sette soltanto che alla fine qualcuno aveva commesso un errore perché c’era scritto “bocciato”. A quel punto ho controllato il mio voto in condotta “sei”, quand’anche io, fino all’ultimo avessi sperato di trovarci uno stiracchiato otto. Sono scoppiato a piangere e sono corso da mia madre, mio padre nel frattempo era andato via di corsa al lavoro, affondavo il mio viso tra le sue braccia. Piangevo così a dirotto che lei cercava di consolarmi accarezzandomi il capo, esortandomi a non farne un dramma. Non c’erano anche altri miei compagni di classe che avevano ricevuto lo stesso esito e non mi vergognavo un po’, di fronte a loro. Allora staccandomi da lei tornavo verso i fogli affissi dei risultati e polemizzavo contro la scuola, che non era giusto. Ad altri convenuti mostravo quella terribile incongruenza per la quale uno dei più bravi della classe era stato respinto con il voto in condotta. Mi allontanai un po’ continuando a fissare quei fogli, in preda alla disperazione. Tornai da mia madre solo quando la riga dei miei risultati mi appariva come una striscia nera dentro alla quale era precipitato tutto il mio anno scolastico. Staccarono i fogli, ne misero di nuovi senza trascrivervi i nomi e gli esiti degli alunni bocciati. Mia madre doveva andare al lavoro e mi lasciò insieme ai miei compagni che come me erano stati respinti. Scoprii quella solidarietà e di come ero fortunato io perché per loro quella bocciatura poteva significare terminare gli studi e andare al lavoro con il padre. Ci salutammo però, con questo augurio:”L’anno prossimo, tutti promossi”.

Mind blowing

Adesso care lettrici e cari lettori vi chiedo ancora un po’ di pazienza e un po’ d’attenzione perché quella domanda formulata dal professore di Fisica quella mattina del lontano 1970 merita ancora una riflessione e una risposta se è possibile.

Mi sento, ripensando a quel momento come se stessi guardando il dito anziché la luna. Io e i miei compagni di classe ci siamo fatti attrarre da quei frammenti che sono schizzati via al momento del colpo di martello ma il professore sapeva bene cosa stava facendo e cosa aveva colpito: un campo di Higgs dal quale in quel momento sono spruzzate delle particelle subatomiche: i bosoni. Ritorniamo al dialogo iniziale quello tra fisici, l’esempio di colpire la superficie dell’acqua, ricordate, la maggior parte dello spruzzo ritorna da dove si è sollevato ma possiamo supporre che alcune particelle d’acqua, quelle che non avevano sufficiente massa siano state portate via dal vento. Sempre da quel dialogo iniziale sappiamo che il campo di Higgs permea tutto lo spazio quindi anche noi siamo immersi in esso e una delle sue caratteristiche è fornire un’aureola a tutte le cose che vi si trovano dentro, anche a noi, ai nostri oggetti inanimati. Non possiamo vederla ma immaginarla come un bagliore baluginante che riveste tutte le cose, che vibra perché tutto l’universo, anche tutti i nostri atomi vibrano della pulsazione che si muove dal suo centro e lo spinge ad espandersi. Sappiamo che un campo di Higgs attrae particelle senza massa fornendole di una, allo stesso modo dobbiamo supporre che i bosoni spruzzati quella mattina nella nostra classe, nello stesso istante l’abbiano persa di nuovo una massa e dove sono andati? Certamente non li ha spazzati via il bidello la mattina seguente, perché nell’attimo che hanno lasciato il campo di Higgs essi sono stati presi dall’onda della pulsazione che si muove infinitamente più veloce della luce e in un tempo anch’esso infinitesimo sono giunti all’aureola che circonda tutto il nostro universo.

 

Fine anno scolastico 1971-72

La mia è stata una promozione annunciata quest’anno. Nessun intoppo. Sul nostro registro di classe compariva anche panda che però non abbiamo mai visto, nemmeno il primo giorno quando abbiamo saputo che era molto malato. Qualche tempo dopo è stato lo stesso preside ad annunciarci la sua morte e mi pareva ingiusto, non farne memoria.

 

Lezione di Fisica testo di davi55
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