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Scorrono le mie ruote
su marciapiedi
poveri di individui
ma ricchi di gente.
Lui mi sospinge
piano,
senza premura,
evitando gli sguardi
di chi, nella mente,
punta il dito e denigra.
Vaghiamo
nella città ostile,
mentre le vetrine dei negozi
rifiutano il nostro riflesso.
Le sue mani,
mai del tutto pulite,
mi lasciano il calco
di dita logorate.
Io, sempre fedele,
custode dei suoi averi:
le coperte di cartone
che olezzano di abbandono,
e qualche memoria
di tavole apparecchiate.
Fino a quando l’ultimo piatto
si ruppe —
da lì in poi imparò a mangiare
senza posate.
Continua la rotta.
Incappiamo nella pioggia.
La ruggine su di me
e sulla sua barba.
Guardo i suoi occhi,
zuppi di diluvio.
Noi,
ora fermi in un angolo.
Al di là del ponte
cade una moneta
dal palmo
di una cravatta distratta.
Coscienza pulita
potrà aver
un buon sonno.
Giunge la sera.
Un tetto infinito.
Le sue mani frugano
dentro di me:
il letto di cartone.
Poi mi lega
dolcemente.
Il suo sguardo si spegne.
Buonanotte, amico mio.
Ora è “gente” anche lui.