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Tra il deserto e l’oceano, ma senza alcuna voglia di fare surf.
Quel posto l’aveva visto solo in foto o in qualche raro sogno di un sonnellino pomeridiano.
Corralejo era la seconda meta che Loris si era prefissato di visitare prima di lasciare questa vita. Dopo Capo Nord.
Non amava particolarmente il mare. Lo aveva vissuto tanto da da giovane, in tutti i modi e in tutte le direzioni. Del resto era nato e cresciuto in una città di mare, non poteva essere altrimenti. Ora cercava la montagna. Era attratto dai suoi costoni silenziosi, intimi, dove sparire nella natura selvaggia. Alla ricerca di quella verità che solo la montagna ti può dare. Sognava una casetta di legno, poche cose essenziali, e quella buona e lieve solitudine – come la chiamava Nietzsche – lontano dal chiacchiericcio della quotidianità insignificante.
Eppure, quelle dune infinite lo chiamavano.
Le spiagge di Corralejo si aprivano davanti a lui come un deserto che si fonde con l’oceano. Le dune si rincorrevano, morbide e mutevoli, modellate dal vento incessante, come se raccontassero storie di uomini antichi, i primi che lì ci avevano vissuto. Il sole, alto, abbagliante, tracciava ombre leggere sulle onde di sabbia.
Loris si fermò. Lasciò che la brezza gli accarezzasse il viso, inspirò il profumo salmastro del mare. Seduto sulla sabbia, a pochi passi dalle onde impetuose, chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dai ricordi. Si sentiva bene. Finalmente.
Lasciò che la sabbia gli scivolasse tra le dita, come a contare ogni granello, ognuno una scena della sua vita.
Un replay in bianco e nero: l’uscita da scuola e nessuno che lo aspettasse, il viaggio in treno senza sigarette, la domenica in chiesa a rubare gli spicci dalla cassetta dell’elemosina, le donne guardate da lontano, i cinema dove si sputava dall’alto, le notti a lottare con la luna, la fretta dentro le cabine telefoniche, le estati che sembravano durare tutto l’anno.
Ogni respiro era un ritorno alle radici.
Ogni granello, una confessione.
Loris sognava di finire i suoi giorni lì. Lontano dal caos del mondo, dai ricordi velenosi, dai demoni che da sempre gli dormivano accanto.
Si immaginava ogni giorno a camminare su quella sabbia, lasciando orme che il vento si portava via.
Come a ricordargli che nulla resta.
Che tutto passa.
Che anche lui, come tutti, sarebbe stato dimenticato. Avrebbe passato i suoi ultimi giorni a guardare l’orizzonte, perso in una meditazione muta, in cerca di risposte alle domande che si era sempre portato dietro come sassi in tasca.
Poi, il ventilatore lo svegliò.
Il sogno finì.
Niente mare. Niente dune. Nessun silenzio. Solo il ronzio stanco di un ventilatore, e le pale che giravano vorticosamente sopra la sua testa.
giugno2024