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Di Dedalo le ali
tranciasti attaccandole
sì ch'io potessi levarmi
ove ‘l sole non tocca ancor.
Non pensasti
col tuo bel pel corvino
che piume e cera
collaborano poco,
che scolo e strappo
dinanzi al sol destino:
che la volpe agguanta
e l'orso saccheggia.
La tua mente non udì
quel poco ch'io le dissi
quando ‘l mio cor
chiedea aiuto dolorante.
E ‘l tuo cor,
O Mela, so io
ch'era puro e sincero
che ‘l tuo amor,
ovunque si sviluppò
rivolto a me e a lei soltanto fu.
Donarti grazie vorrei
per ogne mattino illuminato
e la stretta quand'avea timor
di cascar giù e guardar
tremante di squarciare la tela blu.
E come perdonare
l'ora passata?
Lo scocco non trancia
lì ove riposi tenace
le porte dell'Eden.
Parea elementare
riuscirci coll'ali donate
come destino e ‘l fato: non vollero.
E le Porte io non apro
o raggiungo
nè coll'ali ormai
o coi sogni
che non fan chiamata alcuna.
Mio desiderio incontrarti
per inquadare il tuo volto novo
giovanile o tranquillo
ch'io non vidi mai
se non nella città di Nosside
e chiederti il motivo
il senso
della vita lasciata che mi donasti.
Scusami
o Mela,
per l'acqua gettata
sul bagliore della tua iride.
Non volea, nè vorria
infliggerti mal alcuno;
non ch'io sappia
quali fiori escon dal capo tuo
se ti consuma al pensier.
Sì che saper l'ignoto non possiamo
se ‘l tuo respiro pregna l'aria
o l'assenza lascia immutata
ma il ramo ancor spoglio
ricerca le sue radici
e l'acqua e il sole
per poter fiorir,
o il mare
la sua onda ch'infrange
lo scoglio che l'era fato.
Ver che l'ali di Dedalo tranciasti
donandole a me;
or che son quasi cenere
nere, lercie e grezze
io non so volar lì fuor.
E son l'Icaro e tu Dedalo
sol ch'io so l'aria e tu ‘l cemento
pur s'io avea le ali e tu l'ingegno.