tapparelle

scritto da _SunFlower_
Scritto 8 mesi fa • Pubblicato 8 mesi fa • Revisionato 8 mesi fa
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Autore del testo _SunFlower_

Testo: tapparelle
di _SunFlower_

I piccoli cerchietti di luce creati dalle tapparelle semichiuse illuminavano in modo ordinato e discontinuo le sue gambe distese sul letto.

Gli venne in mente quando, da bambino, arrivava a malapena alla terza fila e moriva dalla voglia di riuscire a toccarle tutte. Ora, che spingeva con i piedi la testiera del letto, rimpiangeva di essere cresciuto così in fretta. Quel soffitto che fissava ormai da tempo incalcolabile era sempre rimasto lì, immobile e invariato. Quante ore aveva passato a guardarlo, in cerca di una risposta, di una consolazione, di un motivo valido per andare avanti, di una reazione alla gioia che aveva nel cuore. Ma quello era sempre rimasto lì, a fissarlo, e mentre la sua vita continuava ad andare avanti quella del soffitto rimaneva la medesima, bianca, cementaria esistenza.

Almeno lui ha uno scopo, pensò. È stato creato per essere quello che è, senza paura di sbagliare, di rompersi, di doversi riaggiustare, perché altri lo avrebbero fatto al suo posto. Si chiese se fosse allettante una vita così; attese una risposta che non arrivò.

Quanto tempo aveva passato a fissare un pezzo di cemento bianco. Quanto. Quanto? Non sapeva nemmeno questo. Ma allo stesso tempo non riusciva a staccare gli occhi da quello che ormai sembrava essere il suo unico punto di riferimento, la sola cosa stabile nella sua vita. Gli venne da sorridere.

La luce del telefono sul comodino lo distrasse da quei pensieri. Lo stavano chiamando. Allungò svogliatamente la mano per appoggiarla all’orecchio sinistro. Pronto. Non ascoltò una singola parola del suo interlocutore, rispose automaticamente che si, ci sarebbe stato quella sera alle 8 da Luca. Ripose il telefono sul comodino, a testa in giù, questa volta.

Tornò a fissare il soffitto, ma ora gli sembrava diverso, e soprattutto gli sembrava una inutile, banale, colossale perdita di tempo. Provò anche un leggero disgusto nei suoi confronti, oltre che una certa frustrazione.

Si mise sul lato sinistro, ma nemmeno quella posizione gli era comoda. Si girò dall’altra parte e poi a pancia in giù, ma non riusciva a trovare un po’ di quiete in quel caldo pomeriggio di fine estate. Si arrabbiò con se stesso perché non era in grado di apprezzare il sole caldo, l’aria fresca, le belle giornate, le serate con gli amici. Relegava la spensieratezza a un tempo passato, un tempo in cui, a pensarci bene, di spensierato non c’era proprio nulla. Era consapevole che quel tempo era stato pieno di ansie, preoccupazioni, problemi, ma ora lo vedeva come un periodo felice della sua vita. Sapeva che stava mitizzando un passato reale. Ma andava bene così, per ora.

Annoiato dai suoi lunghi monologhi interiori si sedette con fatica, con la schiena curva e con i piedi che ormai non penzolavano più al lato del letto. In quel periodo aveva come la sensazione di guardare se stesso mentre viveva la sua vita, come se fosse a fianco del suo corpo e lo muovesse, e parlasse, ma senza essere cosciente di quello che faceva e quello che diceva. Come se niente lo entusiasmasse più, e lasciava a qualcun altro il compito di camminare, alzarsi, parlare, ridere. Era entrato in uno stato di intorpidimento muscolare e psicologico che nemmeno lui sapeva spiegarsi. E sicuramente quei monologhi fatti al soffitto di camera sua non avrebbero migliorato la situazione.

Nel guardare la sua immagine riflessa allo specchio appoggiato al muro, un cerchio luminoso lo colpì al centro dell'iride accecandolo momentaneamente, facendogli impulsivamente strizzare gli occhi. Una reazione, finalmente. In quel frangente aveva preso coscienza di sé, sensazione che non provava da molto tempo.

Decise allora di alzarsi dal letto e di sollevare totalmente le tapparelle. Una coperta calda illuminò la stanza e fasci di polvere danzavano nell'aria come per magia. Si sentiva già meglio. Ma sapeva che quello stato di cose non poteva durare.

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