che cosa siamo, noi?

scritto da ElenaRusconi
Scritto 3 anni fa • Pubblicato 3 anni fa • Revisionato 3 anni fa
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Il testo si immerge nel tentativo di proporre, attraverso riferimenti letterari e filosofici, molteplici definizioni della parola "amore". E' velato da riferimenti autobiografici, che mi auguro esserne arricchimento.
- Nota dell'autore ElenaRusconi

Testo: che cosa siamo, noi?
di ElenaRusconi

Che cosa siamo, noi?

Codesto soltanto oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. (E. Montale)

Mai avrei pensato di renderti protagonista di un mio racconto; qualche mese fa mi limitavo, ingenua, a pensare che tu potessi essere il protagonista della mia vita. Ogni giorno eravamo soliti mescolare le nostre piccole esistenze, i granelli del quotidiano; e oggi io sono qui, a tentare di vincere una gara di scrittura forse più nella speranza che la nostra storia strappi una lacrima, un sorriso o una riflessione a qualcuno piuttosto che per la mia solita e banale ambizione. Tu chissà dove sei, a quest’ora penso a lezione, chissà a cosa pensi. Chissà se mi pensi. Tu, io: non un noi, non le ore al telefono trascorse a commentare film, non i pomeriggi in moto, non la speranza che tu potessi iniziare a leggere ed apprezzare i libri noir e intrigati come piacciono a me, non gli aforismi adolescenziali per la categoria “quanto era brutta e senza senso la mia vita, prima che incontrassi te”, non la nostra canzone, quella a cui nessun altro al mondo avrebbe dato quel valore lì. Alla nostra età si riesce a farci scivolare tutto addosso nell’arco di breve tempo, a racchiudere la fine di una relazione in una battuta da fare con gli amici, e nei casi peggiori ci accorgiamo che il cuscino è un po' bagnato però piangere aiuta e mi fa sentire grande, con qualcosa di intenso dentro. Come tu ben sai, la mia personalità è totalmente inetta ed incapace dinanzi all’idea di semplificare una rottura a questo. Testarda e razionale tanto da far volare dentro la mia testa ogni pensiero possibile alla ricerca di un “perché”, sensibile al punto da piangere notti intere, senza spiegarmi come amandoti io possa aver meritato determinate sofferenze e reattiva, sola ma fortificata, abbastanza da spingermi a portare le radici della mia anima al di fuori del terreno, alla luce del sole. Ed eccomi, grazie ad un’occasione colta al volo e grazie anche a te, alle gioie che mi hai permesso di provare e che a lungo hanno superato il trauma delle macerie portate dall’esplosione finale. Non tratterò il nostro viaggio per intero, ma nonostante questa premessa non ti nascondo che mi sfuggirà qualche riferimento a fatti realmente accaduti. Sfrutterò piuttosto tale prefazione, forse avventata ma che non correggerò, per addentrarmi nel tentativo di dare una definizione alla parola “amore” e di capire cosa ciascuno di noi vada cercando in tre sillabe, cinque lettere, una vita.
A Pietro, alla mia famiglia, ai miei amici, ai miei professori. Con l’amore, l’affetto, i sorrisi e la conoscenza mi avete insegnato giorno dopo giorno che cosa significa sentirsi amati.
Dagli anni di Liceo porto con me il rigore della scienza; sono reduce da sei ingressi in varie facoltà di Medicina e Chirurgia e da un incontro con Matilde, che mi ha contattata per parlarne e avere qualche consiglio. Rinascere. Penso che una discreta definizione di felicità sia rendersi conto di riuscire ad ottenere ciò che più si desidera in quel preciso istante. E quale controprova migliore di una graduatoria - maledetta competizione - su cui leggere il proprio nome tra i primi posti su novemila? Quale emozione più appagante dell’essere vissuta per ben sei volte, una in particolare davanti ad un chiosco di fiori colorati in Piazza di Spagna mentre tua madre sceglie un mazzo di tulipani gialli, con una carbonara in circolazione ordinata poche prima a un pugno di passi dalla Fontana di Trevi? Decine di persone attendevano in fila sotto il sole per poter mostrare, una volta rientrate a casa, quella foto scattata ai piedi di quel monumento ed io, sofisticata imbecille, me ne stavo lì a cercare di metabolizzare il fatto che avrei potuto fregarmene perché per almeno sei anni sei qui, ora ci sei, potrai scattare queste foto anche di lunedì.
Nelle corsie di un ospedale non avrà importanza - anche se io credo fortemente di sì - ma mentirei se dicessi che nelle mie vene scorre soltanto sangue scientifico. Non sarebbe mai diventato un lavoro, messo a confronto con l’amore che provo per la letteratura e la filosofia il pensiero di un impiego da professoressa lo avrei trovato decisamente riduttivo e non in grado di ripagare ciò che di culturale ci è stato lasciato in eredità. Al di là di ogni deformazione professionale, prima ho scritto “pugno”. Pugno era il termine con cui Padron ‘Ntoni definiva la sua famiglia, i Malavoglia; solidi e uniti come le dita di una mano. “Novemila” posti ha la stessa desinenza di “centomila”, da Uno, nessuno e centomila di Pirandello. E il numero sei…ah, il sei; multiplo di tre, del numero divino che rappresenta la trinità, i vertici di un triangolo. Se Dante avesse giocato al Lotto avrebbe sempre puntato tutto su questa cifra. Trentatré i canti per ciascuna delle tre cantiche, l’Inferno trentaquattro, lo so, ce ne è uno in più ad introdurre l’intera Commedia. Tre i Regni dell’oltretomba, VI in incipit di ogni canto politico, e nel caso in cui Beatrice si fosse a sua volta innamorata di lui avrebbero quasi per certo concepito tre figli. E poi Roma. Un’utopia, come può esserlo per un bambino una moneta da due euro per comprarsi un gelato, e nessuno dica che Roma è solamente scienza. È chiudere gli occhi e pensare che seduto sulla sedia di qualche palazzo Seneca indirizza al suo amico Lucilio lettere d’amore. No, non erano omosessuali, ma non è forse amore dedicare all’altro scritti che spiegano la vita, la vecchiaia, l’amicizia, il perché del dolore, il senso del tempo che fugit? È pensare che ad un angolo di strada Orazio ci invita a cogliere l’attimo, Carpere Diem, e che in un giardino Virgilio compone le sue Bucoliche, mentre nella selva oscura La rende la prima città della Divina Commedia ad essere nominata. Perché partire da qui? In parte per orgoglio personale, e in parte perché Roma altro non è che l’anagramma di “amor”, parola dominante.
A-mors. Assenza di morte.
Etimologia incerta, sicuramente poetica. Fa al caso mio. Il Paradiso dantesco si conclude con l’amor che move ‘l sole e le altre stelle. In vita e in morte, dunque, l’uomo vaga alla ricerca del vero amore. Come si può essere amati? Che cosa significa? È una forza che si può controllare, programmare, oppure omnia vincit amor? È positivo o conduce alla follia? Come si ama? Non so rispondere, non ne ho il coraggio. Figlia del Decadentismo, non credo che a queste domande si possa trovare una spiegazione, una legge unica e valida per tutti. Credo altresì nella soggettività, nell’essere umano che può scoprirsi perduto, apolide, incompreso; vedo uomo Schopenhauer piuttosto che Kant, il quale sciolse i nodi ammettendo che il Cosmo, Dio e l’Anima sono entità che, semplicemente, non possono essere comprese a fondo dalla struttura della mente umana. Si arrese in modo tranquillo, sereno, lasciando queste sfere appartenere ad una dimensione parallela, non scibile, lontana. Il suo successore da questo partì, ma senza trovare pace, trasformando questa impossibilità di raggiungere una comprensione totale in motivo di tormento ed infelicità. L’uomo è stato creato con la fame di avere, di voler avere, e con la conseguente condanna di non poter saziarsi mai. Costui non è perfetto, ma allo stesso tempo vuole esserlo. Risultato? Non sarà mai felice.

Eppure resta/ che qualcosa è accaduto/ forse un niente/ che è tutto. (E. Montale)

Salvezza. L’amore percepito come una via di fuga, antidoto che guarisce il cuore dal tedium vitae. In questo stadio amare è un impegno, una sfida, un obbligo morale da portare a compimento giorno dopo giorno. Non qualcosa di semplice, che si costruisce da solo ed è pago di sé: lo si deve piuttosto costruire, esserne gli artefici, viverlo nel profondo e custodirlo. Nulla di superficiale. E così, essere amati è una conquista, il premio finale.
Questo può essere il sentimento di una madre, donna che quella emozione l’ha voluta, cercata, immaginata per nove mesi per poi stringerla tra le braccia. È il senso di responsabilità che ne deriva, il dover crescere la sua creatura, educarla e inserirla nel mondo. Per lei è tutto; a distanza di anni aggiungere un posto in più a tavola, accompagnare il figlio a scuola, alle feste di compleanno dei suoi compagni, comprare giocattoli che poi si evolvono in gonne corte o scarpini da calcio sono tutte azioni che sì, divengono abitudine, ma restano nel cuore quel niente che è tutto. Enea era pius, devoto alla famiglia insieme agli dèi ed alla patria, l’eroe che conosce il sapore dell’incarico affidatogli e non si lascia distrarre da cosa alcuna. Amore è cercare un ruolo, una missione.

Amor, ch’a nullo amato amar perdona/mi prese del costui piacer si forte/che, come vedi/ancor non m’abbandona. (D. Alighieri)

Eros. La luce di un lampione penetra, violenta, attraverso la finestra, e riflette contro la parete la sagoma sinuosa del corpo di una donna. Sotto le lenzuola è un continuo sfiorarsi di carni ora dolce, ora selvaggio. Nelle orecchie non i tumulti esterni, non i bisbigli e le angosce di tutti i giorni, bensì la sua voce, il suo respiro che si confonde con il tuo. Secondo molti questo non è amore, soltanto vizio; io, per me, lo decifro come l’appagamento di una categoria di ricerca dell’uomo e come fonte di felicità e sicurezza. Lei, così evanescente, ti possiede ed è posseduta, all’interno di una sfera ignota alla ragione; lei, al calare del giorno dona risposta ai tuoi perché con le sue labbra carnose; lei, al mattino si lascia contemplare fingendo di dormire con la schiena scoperta e i capelli a coronarle il volto angelico. Peccato, lussuria forse? No. Catullo se ne nutriva, Didone se ne infiammò, Paolo e Francesca ne fecero un buon motivo per condividere l’eterna dannazione. Amore è essere pervasi, lasciarsi trasportare da un’intesa erotica e passionale, al di là di ogni regola. È avere una fame che, come vedi, ancor non ci abbandona.

Ita fac, mi Lucilii/vindica te tibi. (L.A. Seneca)
[fa così, mio Lucilio/renditi padrone di te stesso].

Sovente costruiamo – non è commovente, la voglia di costruire e costruirsi? – castelli; la più scontata banalità si presenta a noi come qualcosa di insormontabile, complicato. È vero, Sigmund Freud nacque per insegnare che l’inconscio è una scatola nera dai contenuti impercettibili, inspiegabili. Parole la cui radice è un in- pronto a negare ciò che gli si lega. Dimentichiamo; sempre in corsa, concentriamo ogni nostra energia su bersagli a noi esterni: il successo lavorativo, i figli, il marito o la moglie, l’aspetto estetico poiché certamente, siamo nel 2'022 ed è il primo connotato in grado di descriverci. Di che marca sono quegli occhiali da sole? Oh, che scarpe meravigliose! Le ho viste in Tv alla Milano-fashion week. Signora! Questa borsa di Prada denota un’eleganza che non passa inosservata. Dove posso trovare un rossetto come il tuo? E trascuriamo di arrestare la nostra maratona per chiedere a noi stessi “Stai bene? Sei felice?”. Stavamo correndo, sì, ma ci siamo abbandonati lungo la strada. C’è carenza di vero amore per la propria persona, accompagnato dall’eccesso di una cattiva interpretazione del concetto che finisce col tradursi in egoismo. Invito chiunque a dedicarsi ad una cura di sé volta al raggiungimento di una serenità priva di viltà, evitando di credere che il mondo ruoti attorno al nostro asse. La Terra orbita attorno al Sole, ed il Sole è una stella gialla di media grandezza; non si direbbe che questa è una definizione di uomo. Amore è ritrovarsi, voler bene a noi stessi anche attraverso i rapporti con il prossimo.

I' mi ristrinsi a la fida compagna/e come sare' io sanza lui corso?
chi m'avria tratto su per la montagna? (D. Alighieri)

Anno 380 a.C.; Aristotele appena sveglio beve un caffè particolarmente proficuo; la bevanda lo conduce infatti ad una delle conclusioni più semplici e anche per questo geniali della storia. L’uomo è un animale sociale. Cerca, nell’interazione con i suoi simili, ciò che gli manca, e tende a donare ciò che possiede. Esistono anime solitarie, ma non esistono anime sole. Vana la tesi di chi va ad elemosinare affetto affermando ciò. Se vogliamo sopravvivere siamo tenuti a mangiare e bere, che corrisponde a frequentare supermercati o ristoranti e dunque, perlomeno, a scambiare due parole con cassiere o camerieri. Lavoriamo, in proporzioni più o meno autorevoli o legali, poiché vai ad immaginare una vita senza denaro - sacrilegio! – e questo significa interagire con persone. Esempi banali, quotidiani. Insomma, anche il più sfiduciato e guardingo degli uomini deve accettare la sua socialità. Bugiardi a parte esiste un gioco, la valigetta da un milione: immagina di dover portare dall’altra parte del mondo una valigetta che contiene un milione di euro e di non averne la possibilità; per poter definire una persona “amica” senza trucco e senza inganno, pensa. Le affideresti il compito, sicuro del fatto che questa lo porterà a termine senza nemmeno tenere per sé una banconota? Sì? Bene, quella persona è tua amica. A legarvi può essere il gusto ineffabile di un segreto da sedicenni, che so, da ragazzi avete rubato le mele ad un contadino o vi siete trovati a marinare la scuola insieme e le vostre madri non si sono accorte di niente. Cose così. Possono essere i banchi di scuola, uno sport, da adulti il lavoro o le compagne che sono iscritte alla stessa scuola di ballo. Avere qualcuno con cui spartire pomeriggi, pensieri, rutti liberi, pizze ed altre occasioni senza paura dei giudizi è qualcosa di immenso ed indispensabile. Amore è una forma di condivisione libera da filtri, obblighi e riverenze.

E tu, Cielo, dall’alto dei mondi/ sereni, infinito, immortale,
oh! d’un pianto di stelle lo inondi/ quest’atomo opaco del Male! (G. Pascoli)

Comodo e semplice è, nell’opinione di un illuminista o di un decadente, ridurre tutto all’entrare in una chiesa e uscirne un’ora più tardi, redenti e beati. Eppure accade. Sedersi e chiedersi “in cosa credo? Su chi o cosa posso fare affidamento? Chi non mi abbandonerà, quando i miei capelli imbiancheranno e le mie prestazioni non saranno ottimali?” Non credo nel mio matrimonio, è stata, banalmente, una scelta giusta da mettere in pratica al momento giusto. Non credo nei miei figli, li ho annoiati. Non mi fido di nessuno, se non di quelli a cui conviene la mia amicizia. L’utilitarismo non sbaglia mai, do ut des, finché l’albero dà buoni frutti puoi scommetterci che mi vorranno un gran bene! Nel giorno del mio compleanno mi portano anche un pensierino. Che presa per il culo. E come se non bastasse vivere momenti simili, va a finire che un giorno muoio e solo a pensarci me la faccio sotto e non parlo per giorni con nessuno. Lui. Lui mi ha messo al mondo, Sua creatura. Lui ha sofferto ed è salito sulla croce per il mio bene, mi giudica e se agisco in maniera retta mi promette una vita eterna in Paradiso. Lì lo incontrerò. Io credo, Gli parlo alla sera e ad al mattino quando prego in silenzio, a bassa voce così da poterci dialogare. Lui mi salva dal peccato e mi guida lungo la via della Sua luce. Di domenica mi accomodo sulla panca in prima fila e Lo guardo, Altissimo, lontano. Ascolto letture dai Vangeli e dalle Lettere degli Apostoli, mi avvicino a Dio. Amore è cercare qualcosa di ultraterreno e spirituale quando sulla Terra tutto è ostile.

Considerate la vostra semenza:/ fatti non foste a viver come bruti,
/ ma per seguir virtute e canoscenza. (D. Alighieri)

Il tipo di sentimento capace di superare ogni divieto, ogni confine, le Colonne d’Ercole. Ulisse. Lo maggior corno de la fiamma antica è condannato all’Inferno; Dante poggiava la penna sul Canto XXVI, aveva quasi concluso la prima parte del viaggio, era già svenuto abbastanza e allora decise bene di lasciarci cogliere una toccante sottigliezza: io ti punisco, devo farlo, sei andato oltre il limite. Sai, ho rilegato in questo Regno anche Brunetto Latini, che in vita mi insegnò ad ora ad ora come l’om si etterna. Ma ti ammiro tremendamente, scrivo di te con amore profondo. Ascolta, ho appena descritto questo girone come l’ottava bolgia che risplendea. Eri solo con un legno e la tua picciola compagna, nulla avrebbe potuto vincere il tuo ardore di divenir del mondo esperto, de li vizi umani e del valore…ah, mi sto lasciando trasportare! Lasciamoci da la man destra Sibilla e da l’altra Setta. Siamo curiosi, studiamo fino alla noia, al punto in cui da scoprire non ci sarà più nulla. Sapias! interverrebbe Orazio, abbi sapore. Apriamo libri, non capiamoci un’acca, approfondiamo la scienza con la luce del giorno e la cultura con il chiaro di luna, come Leopardi adorava fare. Non crediamolo gobbo e depresso, immaginiamolo piuttosto aprire la finestra e osservare il pastore errante, bianco e infermo e nato a fatica; e poi di lì al Dialogo tra Plotino e Porfirio, a trovare un escamotage contro il male di vivere: dividersi il dolore che sì esiste però se ne va a quel paese, sopportare le fatiche insieme, alleggerirne il peso. Leggi. No, non quelle del Codice Civile. Leggi libri. Lasciati curare dagli autori di tutti i tempi, assapora la sapienza che hanno lasciato in eredità, a nostra disposizione. Amore è curiosità, voglia di conoscere.

Pietro, non posso fare a meno di ricordarlo: tu non leggevi, non ti è mai piaciuto. Quante parole ti dedicavo sperando che la lettura, prima della mia persona, potesse iniziare ad affascinarti. Dall’utilizzo della prima persona plurale sono passata a rivolgermi a un “tu”; in questo istante ti immagino ancora al mio fianco, il tono di voce violento perché “ognuno ha le sue passioni e a me i libri non piacciono, non posso farci niente e-dai-non-rompere-le-scatole”, affettuoso. Sorridente. Ancora innamorato. Sicuramente subito dopo la discussione avremmo fatto l’amore, avremmo. Ed io, idealista hegeliana, ogni 28 del mese ti nascondevo sotto al cuscino, dentro la cartella, addirittura sotto uno strato della carta stagnola che avvolgeva la tua merenda una letterina. Ina per dire, minimo un foglio fronte-retro. Ventotto; il nostro giorno. Domani arriva, cosa facciamo? Pranzo insieme? Vieni a casa mia? Caspita no, c’è mia sorella! Ho un’interrogazione ma non ti preoccupare, studio gli altri giorni così festeggiamo. Quattro mesi, sette, un anno. Che cosa da adulti ci sembrava dire “anno”, quella è l’unità di misura degli anniversari di matrimonio e noi dobbiamo ancora finire il Liceo.
È finita come è finita, tu mi scorderai. Non vedevi l’ora di poterlo fare. Io no. Montale abbassava lo sguardo in un pozzo e il riflesso dell’acqua gli mostrava il volto di una donna. Lui aveva questi fantasmi letterari, lo starai studiando. A scuola si incontra all’ultimo, è un poeta del ‘900. Secondo me per sé aveva piena consapevolezza di chi vedeva durante le sue passeggiate e ne custodiva il nome, come un segreto. Adesso è il momento in cui smetto di parlare degli altri, anche se i loro testi mi sono stati di grande ausilio per descrivere le definizioni che alla parola “amore” possono essere attribuite, ed il significato che ciascuna assume. Ho rinunciato a quella di amore-dipendente dai beni materiali in quanto mi rifiuto di definirlo tale. Respiro. Tirare le fila è difficile; mi hai accusata di aver inquinato la tua libertà, di aver insistito troppo nel portare avanti il sentimento in cui credevo, di essermi persa dietro ad un ideale senza ascoltarti davvero. Il fulcro della questione è che io sono incapace. Incapace di dare una spiegazione universale ad un termine così impegnativo; eppure è anche semplice da pronunciare. Cinque lettere, come ho detto all’inizio, mica una cosa come Dostoevskij o deossiribonucleoside trifosfato. Incapace di acquistare un manuale di istruzioni in cui ci sia scritto chi, come e quando amare. Qualcuno ne ha parlato, e ora e per sempre sarà ricordato e studiato nelle scuole di ogni paese, nel rispetto della propria nazionalità; una tela intessuta con i colori dell’arcobaleno. Petrarca aveva la sua Laura, e la fanciulla mai in altro modo avrebbe potuto chiamarsi, perché egli ambiva all’alloro poetico e questa assonanza era proprio melodica: duplice vittoria, nella professione e in amore. Dante aveva Beatrice che suona simile a beata, e dunque una donna beata era perfetta per lui, cristiano. L’amore dei pittori ha tinto d’inchiostro i libri di arte e quello per la guerra – nell’accezione romantica di difesa per la patria – quelli di storia. L’uomo è limitato, complesso, ma Charles Darwin non sarebbe nessuno se le scimmie non si fossero evolute; un essere estremamente potente quando vuole qualcosa, ancor di più quando pensa a ciò che non vuole. Si tratta di un’affermazione più facile, immediata, molto forte. Un alunno alle elementari non sa quale lavoro vorrà fare da grande ma maestra, sicuramente non diventerò un veterinario! Una ragazza non sa quale tipo di fidanzato possa fare al caso suo, di certo non lo voglio con la passione per i fumetti! Al tavolo di un ristorante un uomo afferma cameriere, sul primo piatto da scegliere sono indeciso, vediamo cosa gradisce mia moglie, intanto segni pure che di pesce non se ne parla! Un notaio non ha idea della segretaria che desidera, in assoluto non bionda e formosa che nel mio ufficio voglio veder entrare clienti, non babbei ipnotizzati su un décolleté. Chiaro, limpido, senza dubbi. Un potere privato del vincolo di qualunque responsabilità morale. Esprimere una certezza? Io? Che fatica! E se poi sbaglio? Se non rispetto la mia parola? Non è da fare. Ti dico tutto quello che non voglio, che non voglio essere; su questo ho pensieri definiti, potremmo stare qui ore intere. Tu eri confuso, delirante, non sapevi cosa volessi di preciso. Le nostre ultime giornate da compagni di vita erano comprensibili quanto le battute del calabrese de “Il Padrino-parte seconda”, ovvero nessuno dei due ci capiva più niente. Avevi una certezza: non volevi me. Non ci sei mai riuscito a parole, poco male, mi hai lasciata andare con i fatti. Durante il finesettimana avevi programmi a prova di livin’ la vida-loca, di cui io ovviamente non facevo parte. Io. Io leggevo a testa bassa la mia Bibbia, quella delle illusioni. Capitolo I “è solo un periodo così, di cosa ti preoccupi, lui ti ama”, Capitolo II “se ci credi vedrai che si sistema tutto” e così via…stupidaggini, buone per uno striscione da stadio quando il capitano si rompe il crociato e la squadra gli augura di rimettersi presto. Se coltiviamo un orticello in due, in due dobbiamo rimanere. Sotto la pioggia, la neve o il caldo africano che secca il raccolto. Uno tira avanti da solo quando non ha nessuno ad aiutarlo, come ho fatto nell’arco di tempo dopo la fine, persa tra libri e crocette perché sì, in quel momento ho capito veramente cosa volevo, e per non pensare. Oggi, da uno studio passivo, di difesa e salvaguardia personale, sono passata in prima linea. All’attacco. I romani - Roma, aspettami - dicevano res ad triiaros redit (affida la questione ai triari, soldati delle ultime file). E invece eccomi qui, a mettermi in gioco con uno studio attivo. Sicura di me, di chi sono? Non troppo. Nondimeno, sicura di chi non voglio essere, di cosa non voglio più provare. Che cosa siamo, noi? Anime insicure, vacillanti, indecise. Parole che, ancora una volta, presentano la radice del “non”. Mai si dica fragili, mai senza amore da prendere e dare, mai arrese, mai sazie. Codesto soltanto oggi possiamo dirti/ ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
che cosa siamo, noi? testo di ElenaRusconi
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