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Esiste una cosa chiamata amore.
Arriva col vento a riscaldare il cuore.
Illumina il viso attraverso il sorriso,
accende lo sguardo che accompagna il sospiro.
Tempo non perde in questioni farlocche,
e genera frasi che sembrano sciocche.
Ma sciocche non sono,
per quei cuori di cui esso è il dono.
Del tuo viso ne fa una poesia,
della tua voce una melodia.
Traccia un sentiero, a volte austero,
che segue logiche che sono un mistero.
A volte fa piangere e molto soffrire,
ma raramente si fa rifiutare.
Dagli del tu o dagli del lei,
a lui non importa, quando bussa alla porta.
Porta del cuore che si apre sul mare,
su picchi montani o su prati fioriti,
su dolci ruscelli o su torrenti impetuosi;
fa l’occhiolino a paesaggi virtuosi.
Manifesta scintille nell’incrocio di sguardi,
trasforma in nuvole il duro terreno,
e quando le labbra finalmente si toccano,
di baci i cuori diventano ingordi.
Poi, fonte di pianti, di calci, di pugni tirati a muri e cuscini;
i dolci ricordi trasformati in puzzolenti zerbini.
Non più sospiri, ma stridule note che graffiano il cuore.
Questo è l’amore.
Strana cosa che viene dal nulla, e che ad esso ritorna,
come un infante che cerca la culla.
Ti lascia a terra, ti lascia stremato,
ma quando il dolore è finalmente scemato,
sei contento di ciò che ti ha regalato.
Ora che è sera e che di te ho scritto,
cantato le lodi, denunciato i torti,
mi ritiro con aristocratica riverenza.
Ma un’ultima cosa ti chiedo: non ti scordar di me,
tu che della dolcezza sei l’eminenza.