Capitolo 1

scritto da moonlight7
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Non so se possa effettivamente correlarsi al "prologo"
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Testo: Capitolo 1
di moonlight7

Non so cosa sia successo, come  sia potuto accadere.

Da un momento all’altro, la mia routine è stata stravolta completamente: niente scuola, niente amici, niente shopping, niente di niente. Solo quattro mura, un letto, un comodino e una sedia vicino ad una piccola finestrella blindata da due grosse sbarre di ferro. Non so quanto tempo sia passato, cosa abbia fatto o detto per trovarmi qui, in questa gabbia, nella mia cella personale. Perché solo così può essere chiamata. Ogni singola volta che mia madre, Kate, viene a trovarmi continua a ripetermi sempre le stesse parole: “L’avvocato sta cercando di risolvere tutto”. Quale avvocato? Cosa deve risolvere? Perché mi trovo qui? Kate, 46 anni, lunghi capelli castani, lisci come degli spaghetti, occhi azzurri come il mare, due divorzi alle spalle e diverse frequentazioni non finite troppo bene ma neanche troppo male, evita di rispondere. Evita le mie domande, le domande di sua figlia, di colei che ha messo al mondo. “Non è il momento di parlarne Mia, sei ancora sotto shock, vedrai che presto ti riprenderai e tornerai ad essere la ragazza vivace e intraprendente che eri prima”. Mi limito ad annuire, ma non capisco a quale shock possa riferirsi, quale tragedia mi abbia potuto scuotere così tanto. L’avvocato più volte ha chiesto a mia madre se potesse pormi qualche domanda, ma lei ha rifiutato categoricamente. “Non è pronta”. Con queste tre parole innumerevoli volte ha liquidato l’avvocato che, sconsolato, non ha insistito per paura di essere travolto da “Furia Kate”. Meglio non farla arrabbiare, chiedete al suo ultimo pretendente, Josh. Il povero malcapitato ha provato ad andare oltre il singolo bacio e “Furia Kate” lo ha sbattuto alla porta. Chissà se Josh avrà trovato un’altra fidanzata, spero meno psicopatica di mia madre. Questo è l’ultimo ricordo che ho della mia vecchia vita, prima che venissi internata in questa struttura “speciale che mi farà stare bene”, così dicono i medici.

Manicomio.

Mi trovo in un manicomio. Casa mia, adesso, è un manicomio. Il manicomio “Bethlem Royal Hospital” di Londra, antichissima ed egregia struttura capace di fare miracoli. Purtroppo, credo che questo non sia il mio caso. Ho scoperto che al Beth, come viene chiamato da noi pazienti, sono arrivata 17 mesi fa, in condizioni alquanto pietose. Avevo i capelli scompigliati, le mani piene di sangue, le unghia delle dita spezzate, due aloni neri intorno agli occhi, comunemente chiamate occhiaie, ed ero scalza. Mi dimenavo come un’ossessa, come ha tenuto a precisare Luna, una ragazza deliziosa dai capelli rossi, diventata presto la mia migliore amica, sembravo “indemoniata”, ha continuato Parker, ormai un veterano del Beth. Loro due, sono ciò che più è vicino a “casa”, la mia ancora di salvezza.

Luna, 18 anni, arrivata al Bethlem Hospital quando ne aveva 16, cause sconosciute, ragazza dal carattere forte, gentile, dolce ma testarda e impulsiva nei suoi momenti no. Intraprende relazioni con gli infermieri, puro sesso ovviamente, ma a lei va bene così, guai se si venisse a sapere. Sempre informata sugli ultimi, prelibati, gossip, che riesce a strappare agli operatori tra un bacio e l’altro. Luna è stata l’unica ragazza che ha avuto il coraggio di avvicinarsi a me e scambiare qualche frase, anche la più banale. Gli altri mi osservano da lontano, con sospetto, con diffidenza,  come se loro sapessero qualcosa che io non so. Luna è la mia migliore amica, non la cambierei per nulla al mondo, l’unica che è stata capace di farmi sorridere di nuovo, una spalla su cui piangere, su cui posso sempre contare.

Parker, 22 anni, veterano del Beth, qualcuno dice che sia nato e cresciuto addirittura qui (cresciuto moolto bene sia chiaro). Da quel che ho saputo dalla mia fonte certa (ovviamente sto parlando di Luna), è stato portato al manicomio all’età di soli 7 anni, dopo aver tentato di avvelenare i propri genitori con dell’arsenico. Parker non parla mai di questo episodio, ma i suoi occhi azzurri come il ghiaccio lasciano trapelare tutta la sua sofferenza. Nessuno sa se questa sia la vera versione dei fatti, ma sicuramente è la più attendibile. Ah, quasi dimenticavo, Parker è bello da morire e tutte le ragazze del centro gli sbavano dietro, me compresa.

Infine, ritengo opportuno presentarmi.

Mi chiamo Mia, ho 17 anni, vivo a Londra dalla nascita, mia madre si chiama Kate, mio padre William (sì, come il principe William e la principessa Kate, sebbene quello dei miei genitori non possa essere considerato un “royal wedding”) sono entrambi medici e hanno divorziato da quasi 5 anni. Dell’infanzia non ho bei ricordi, solo urla, grida, avvocati, traslochi e cose simili. Neppure l’adolescenza è stata un granché, pochi amici, poche feste, nessun “fidanzatino”, come avrebbe declamato l’invadente zia Mary, la sorella di papà. Nonostante il pessimo cibo, le terribili condizioni in cui vivo, il mio stato mentale che piano piano mi sta salutando per migrare chissà dove, ho un obiettivo che riesce a tenermi viva, lucida, apparentemente innocua e tranquilla: scoprire come diavolo io sia potuta finire in un centro tanto disgraziato quale il Bethlem Royal Hospital, grazie all’aiuto di Luna e Parker.

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