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I – Rincorsa Libertà
«Parlare. Non servirebbe a niente.»
Lanciò la molotov e questa esplose sulla console. La videocamera cadde per terra e il protocollo d’emergenza aprì la porta.
Ma l’allarme strinò pure dentro i timpani ausiliari.
Corse verso la camera di Novantanove e tranciò col suo kodachi ad alto voltaggio il vetro della vasca neuro-energetica che la conteneva.
Il corpo nudo e completamente sgrigiato da filamenti e placche cibernetiche, scivolò via assieme ai liquidi di stasi, che si prosciugarono a contatto col pavimento.
«Cosa…» si svegliò dal letargo, «Terry, che stai facendo?»
«Te lo spiego dopo. Alzati, ce ne andiamo!»
Roteò fuori dal rinfodero la rivoltella potenziata e aprì fuoco esplosivo sulle sentinelle.
«Potevi avvisarmi neuralmente. Stavo avendo un bellissimo sogno!»
«Quello dove eri fuori di qui?» Continuò a sparare.
Si vestì in fretta e in furia, e una volta copertosi col suo cappotto invernale, brandì la spada lunga ad alto voltaggio e indossò le cuffie sonar.
Come le accese, tagliò un varco al muro.
«Dovresti passarmi la ricetta», fece Terry, «anch’io voglio cucinare così!»
«Ne stanno arrivando altre cinque dal piano di sotto e tre da quello sopra. Meglio passare di qua.»
«Sì. L’avevo capito.»
«Cosa? Che ce ne sono ancora cinque di sotto e tre di sopra?»
«Lo sai che intend—»
Novantanove lo spostò di colpo.
Schiacciò un pestone pesante su una sentinella ancora attiva.
Ghignò: «Quando imparerai a mirare?»
Terry si mostrò offeso e non rispose. Anzi si buttò nel varco aperto.
Entrambi scivolarono sopra a uno dei tubi che trasportavano l’energia vitale dei cyborg per tutte le camere della struttura.
«Allora mi hai creduto quando ti ho detto che siamo soltanto esperimenti per loro.»
«Per forza. Altrimenti non avrei dato retta a una come te.»
Si voltò, mentre scivolavano come surfisti sulle onde, mostrandole un affascinante sorriso.
Scherzava, e lei lo sapeva.
«Oh. Terry. Così mi fai arrossire.»
Era sarcastica, e lui lo sapeva.
Poggiarono finalmente i piedi a terra.
L’ingresso principale era a pochi passi da loro.
«Scherzi a parte, hai fatto bene a tenere quei colori con l’upgrade. Il rosso ti ha sempre—»
Nell’elogiare i suoi capelli, altre due sentinelle uscirono dai tombini d’emergenza.
«Possibile non si possa nemmeno finire una frase?»
Quelle in risposta rombarono un ringhio con le mascelle meccaniche.
Si alzarono in piedi: una di loro batté le braccia e ci uscirono lunghi affilati artigli, grandi quasi quanto la katana di Novantanove; l’altro invece tirò fuori da uno scomparto delle fruste appuntite con mazza chiodata penzolante.
«Ah bene.» Lamentò Terry.
«Pensa a sparare.»
Novantanove attivò gli inibitori di gravità e iniziò a pattinare sul pavimento a gran velocità, schivando pesanti palle chiodate.
Terry sparò un colpo che distrusse la gamba di una sentinella.
La stessa si vide tranciata la testa dalla spada lunga di Novantanove.
L’altro nemico però, stava per schiacciarle la sua con la sfera a chiodi.
Novantanove alzò la lama, la incastrò con la frusta, e fece roteare la sfera finché questa si bloccò.
E finì con un calcio secco allo stomaco della sentinella.
La testa meccanica esplose.
«Headshot!» Esclamò Terry.
«Sei troppo lento!»
«Non è facile mirare se ti metti davanti!»
«Si vede che sei di seconda mano.»
«Ti vanti solo perché hai più potenziamenti!»
«Sento solo scuse, per uno che ha due motori.»
Gli tolse la soddisfazione di provare a controbattere, recandosi verso l’uscita.
Un inquietante e gigante mostro meccanico gli si parò di fronte. Alto tre metri, con braccia e gambe possenti come quelle di un bodybuilder competitivo e in mezzo al busto una cabina dai vetri rossi trasparenti.
Una voce uscì dall’interfono: «Settantaquattro! Novantanove! Cos’è questo trambusto? Tornate nelle vostre celle!»
«Nemmeno per sogno!» Mirò Terry.
La pallottola esplose, ma il nemico no.
Anzi i frammenti esplosivi rimbalzarono.
«Non lo capite? Siete proprietà del Governo!» Riprese l’uomo nella cabina, «non avete il permesso di uscire quando vi pare! Le vostre tecnologie sono illegali al di fuori del servizio! Se disertate, avrete l’intero mondo addosso!»
Novantanove brandì la spada: «È la vostra di politica che dovrebbe essere proibita».
«Attenta a come parli! Mi basta un pulsante per disattivarti. E un altro per cancellarti i ricordi.»
Lei si bloccò. I ricordi erano l’unica cosa umana che rimaneva a un cyborg.
L’uomo stava per premere qualcosa, ma qualcos’altro interferì coi suoi sistemi.
Gli schermi gli si colorarono di blu e di nero.
Vide Terry sorridere là sotto: brandiva un marchingegno costruito con materiali di fortuna.
«Chiyoko, non serve a niente parlare», tirò fuori il kodachi, «prestami un po’ della tua energia, io sono a secco.»
«Maledetti! Come se ve lo lasciassi fare!»
Un proiettile a impulso elettromagnetico lo fece barcollare all’indietro, impedendogli l’avanzata.
Novantanove ne approfittò per aprire la mano: dal palmo si aprì un vano a cerchio da cui uscì una sfera luminosa.
«Stai attento. È energia pura.»
Terry la raccolse delicatamente col suo.
Sorrise e la schiaffeggiò sulla sua lama.
La sfera scagliò qualche scintilla, ma si sciolse come unguento.
Lo sparse per tutto il filo d’acciaio e la lama reagì scagliando una quantità spropositata di elettricità.
«Ora sì che ci divertiamo!»
Alzò entrambe le armi.
Arrivarono altre sentinelle e il mostro meccanico stava per attaccarli di nuovo.
Terry alzò la spada e la scagliò più volte all’aria: ondate elettriche a forma di linee verticali, quasi fossero onde del mare, viaggiarono rasoterra verso di loro.
A ogni impatto, detriti di mura e parti meccaniche si smantellarono.
Al che, il cyborg scansò un pugno gigante che crepitò sul pavimento.
«Piantatela! Non sapete a cosa andate incontro!»
Terry corse sopra al braccio del mostro meccanico, diretto verso la cabina, e si aprì la strada con un calcio che ruppe il vetro in mille pezzi.
«È finita Cinquantotto!» Mirò.
Quello si alzò dalla sedia e in risposta gli cantò una craniata di metallo, defenestrandolo dal robot.
«Dannazione…» cercò di rialzarsi, «Novantanove… dobbiamo trovare un modo pe—»
La vide dietro il mostro meccanico che stava bypassando i sistemi per uscire dall’ingresso principale.
«Bastarda traditrice!»
«Scusa!» Urlò da lontano, sorridente, e con il portone gigante che si apriva lentamente, «non ho intenzione di perdere tempo a guardarvi lottare!»
«Dannata!» Urlarono in coro Terry e Cinquantotto.
Sparì dietro le innumerevoli luci azzurre, viola e gialle della città.
II – Strade Dispari
Sgattaiolata via dal lento portone che si apriva, un faro accecante la colpì.
«Ferma dove sei Novantanove! Non indugiare oltre!»
Grazie alle cuffie sonar, riuscì a sentire quello che i poliziotti mormoravano tra di loro.
«Combattendola al suo stesso gioco non la fermeremo mai. Non appena si muove, lanciatele una CG-EMP.»
Capì che era inutile agire d’adrenalina. Magari avrebbe potuto sfruttare il momento in cui sarebbero arrivati quei due.
Infatti con la coda dell’occhio li vide correre, arrivando al portone ormai semi-aperto.
«D’accordo mi arrendo!» Alzò le mani, ben in vista.
«Butta giù le armi!»
Si limitò a digitalizzarle nel Teradisk: la katana e il piccolo pugnale nello scomparto della caviglia si smaterializzarono in minuscoli quadrati blu che fluttuarono verso la scatoletta della sua cintura.
«Butta giù anche quello! E non fare scherzi!»
«Se tiro giù la cintura, mi cascano i pantaloni.»
«Non fare scherzi, Novantanove! Non hai indosso alcun pantalone!»
Sorrise, perché era vero. I cyborg di terza generazione hanno soltanto la testa ancora umana.
Non hanno un reale bisogno di vestirsi: il resto del corpo è una corazza grigia e piena di filamenti, che permettono di compiere movimenti più dinamici di quelli di un essere umano.
«Dannazione», lamentò Terry appena arrivato, «siamo in trappola…»
Cinquantotto comparì sopra le loro teste: «Ci penso io, agenti. Verranno archiviati e riciclati come da protocollo».
«Terry», mormorò Novantanove, «hai ancora la chiave con te?»
Lui ghignò.
«Settantaquattro! Butta via quell’aggeggio!»
Invece lui azionò il marchingegno usato prima.
I fari esplosero, lasciando tutti nel mezzo buio in tinta blu della città.
E una nube di fumo sibilò sotto Cinquantotto.
«AAAH!» tirò due pugni giganti sotto di lui, aprendo un cratere nell’asfalto.
Oltre al tubo d’acqua ormai zampillante, non vide nessun cyborg sotto le macerie.
Nell’ora di punta, il cui cielo era nel suo punto più luminoso col suo blu scuro, masse di cittadini venivano urtate da due fulminei corridori.
Sebbene al riparo sotto le tettoie di vetro anti-urto che isolavano i corridoi di marciapiedi – costruite appositamente per evitare che le autovetture levitanti sopra di loro potessero cadere sui pedoni – potevano lo stesso sentire ogni genere di pubblicità, propaganda militare e musica pompata dei locali del quartiere di Central Roads.
Ogni edificio era un mattone che ne conteneva altri più piccoli, di varie larghezze e dimensioni. Grattacieli che ospitavano qualsivoglia genere di negozio o locale.
Vedere night club e negozi per bambini a poca distanza tra loro faceva disgustare Terry.
«Cosa faresti senza di me, eh Chiyoko?» Cercò di distrarsi.
«Ora mi rinfaccerai di averti lasciato indietro, vero?» Ghignò lei.
«Sappi che non mi andrà mai giù. Dopo quello che ho rischiato per portare via anche te!»
«Scusa, ma il desiderio di andarmene era più importante. E comunque non chiamarmi più col mio nome. O ci ritroviamo di nuovo dietro a una cella.»
Infatti, il loro cognome umano aveva una reputazione fin troppo conosciuta.
Corsero e corsero per i vicoli stretti e bui della città.
A un tratto, Novantanove si fermò. Sebbene l’altro fuggitivo fosse un cyborg come lei, era comunque di seconda generazione. Le sue emozioni erano del tutto umane e spontanee.
Quelle di un uomo, alla fine.
«Senti, mi dispiace per prima. Non ce l’avrei fatta senza di te.»
Una piccola bugia: aveva già escogitato un piano B, prima del suo intervento.
«Ah davvero?» Non ne era convinto.
«Diciamo che i miei modi sarebbero stati più… distruttivi.»
«Non credermi un ingenuo, Novantanove. So che voi di terza non provate sentimenti.»
«Se sai che non processo emozioni reali, allora perché te la prendi?»
Dovette darle ragione. Sebbene di terza generazione, era in tutto e per tutto programmata come una donna.
«A ogni modo, io so già dove andare», fece lei, «ma la domanda è…»
Si girò, e cominciò a camminare dietro a un vicolo più stretto degli altri. Laddove non v’era la tettoia protettiva.
«…te invece sai che pista seguire?»
Terry sospirò.
Era stato proprio allo stesso modo, enigmatico e criptico, che l’aveva convinto a evadere da quella sottospecie di prigione.
“Struttura di Contenimento dei Cyborg Militari” era soltanto un nome. Come gli slogan pubblicitari sopra le loro teste.
Evidentemente, aveva un contatto fuori dalle mura. E stava invitando anche lui per un colloquio.
Forse con la stessa persona che le aveva passato la ricetta del marchingegno per la fuga.
Ancora non si capacitava di come fosse stato così facile costruire qualcosa di più potente di una CG-EMP.
«Se me ne voglio andare da qui. Non ho molta altra scelta.»
III – Trattative Irraggiate
Bastò riconoscere il volto di Novantanove a convincere i due occhi dietro lo spioncino della porta blindata.
Due braccia robuste la aprirono, e un pancione vestito di nero mugugnò.
«Zachary vi aspetta di sopra.»
«Zachary?» Le mormorò Terry.
«È il miglior trafficante di informazioni di Dream Streets, nonché uno dei migliori broker della malavita e proprietario di questo club. Dai bassifondi in su lo conoscono tutti come il “Broker Zen”.»
«Che è? Un monaco che fa crescere i soldi dagli alberi?» Sogghignò, divertito all’idea.
«No. È uno che aiuta sia malavitosi che poliziotti. Finché hai da pagare, o qualcosa da offrire, non ha preferenze.»
Notò il suo sguardo perso su gente esultante che giocava a carte e faceva scommesse.
«Aspettava soltanto me», lo picchiettò al braccio per attirare la sua attenzione, «quindi, meno parli, più faremo buona impressione.»
«Te lo posso promettere, ma solo a parole.»
Lei girò gli occhi e sospirò. Emozioni finte o meno, ciò rallegrò Terry.
Psichedeliche strisce bianche di luci soffuse impazzivano da ogni parte, coinvolgendo movimenti ondulanti di persone svaganti e ballanti. La baldoria obbligò Novantanove a spegnere le cuffie sonar.
Nel proseguire scansavano le persone ferme a parlare, e quelle che arrivavano dall’altro lato con passo frenetico. Raggiunsero una scalinata a chiocciola, trafficata da donnine divertite che si facevano rincorrere da clienti ubriachi.
I sensori percepirono anche uomini presenti che, specie quelli più in disparte, guardavano i due cyborg con sguardo attento e accigliato.
Arrivati al piano di sopra, videro più in fondo un uomo seduto in solitaria, seduto presso uno dei tavolini quadrati accostanti a una ringhiera di vetro in mosaico, che rifletteva opacamente i raggi della festa.
Davanti a lui, due uomini imbottiti in smoking neri restavano in piedi e non facevano passare nessuno.
«Eccolo», indicò Novantanove.
Terry zoomò le lenti ottiche: era un semplice umano di etnia afroamericana, con un taglio arcaico alla Bob Marley. Vestiva di un tuxedo bianco, con sotto un frac nero, rischiarato da una cravatta gialla. Portava Ultra-Occhiali da sole dalle lenti dorate, e ai piedi semplici scarpe da trekking nere e gialle.
A guardarlo così appariva come un uomo benestante qualunque, e si sarebbe mimetizzato benissimo con quelli di sotto che si svagavano, ma i sensori suggerirono la presenza di ultra-tecnologie nascoste sotto l’abito.
Una delle guardie spintonò Novantanove – da avvertimento – ma l’uomo lì dietro intervenne con una mano alzata.
«No, no. Loro possono.»
Il gorilla si scostò senza cambiare il proprio grugno.
«Hai portato un amico?» Chiese l’afroamericano, mentre i due si sedevano.
«È più un fratello. Il mio antenato lo ha adottato.»
«Intendi tuo nonno» si accese una sigaretta, «o forse sarebbe meglio dire l’uomo dei ricordi trapiantati in te?»
«È lo stesso.»
L’alzata di sopracciglio dell’uomo dissentiva, ma riprese a fumare sereno.
«Tranquilla. Sai che non voglio mancarti di rispetto e negarti l’identità che ti è stata assegnata.»
Sbuffò del fumo e volse lo sguardo al piano di sotto, dove la gente si divertiva.
«Sapete perché la città si chiama Dream Streets?»
«Per via dello slogan», rispose Terry.
L’uomo annuì: «Già. “Un sogno dietro ogni angolo”.»
Si chinò e poggiò i gomiti al tavolo, unendo le mani: «So per certo il motivo per cui Novantanove è scappata, ma non vedo la ragione per cui tu l’abbia fatto. Perché tradire la tua patria e abbandonare la salvaguardia di questo sogno?» Aprì le mani, «ha a che fare coi tuoi ricordi umani?»
Terry esitò un secondo.
Dietro le lenti gialle dell’afroamericano, intravedeva uno sguardo analizzante.
«Sono della stessa idea di Novantanove. Lì dentro eravamo dei burattini.»
«Cavie», corresse lei.
«Ah…» l’uomo si riadagiò sulla sedia e ridacchiò, picchiettando la sigaretta sul portacenere, «è per la libertà. Capisco.»
«C’è qualche problema con ciò?»
Novantanove gli mostrò un volto infastidito. Come per dire: “Attento. Te l’ho detto prima!”
«Affatto», rispose invece l’afroamericano, «è un desiderio comune. Anche da parte di un cyborg. Tuttavia, la vera libertà è data solamente a coloro che Dio sceglie di render liberi. Poiché ha un prezzo molto alto da pagare. Anche se sei una macchina», sbuffò del fumo, «e voi due, che cosa ne farete di questa libertà una volta fuggiti dalle autorità?»
Guardò Novantanove: «Di questo, non ne hai parlato nemmeno tu».
Lei sorrise: «E non vedo perché avrei dovuto.»
«Se ricordi, ti ho voluto aiutare perché l’umana che c’è in te è parente di tuo nonno. Provo molto rispetto per la sua generazione. E se vogliamo parlare di affari, meglio essere trasparenti.»
«Per il momento ci basta un piccolo lavoro per racimolare qualcosa e…» squadrò Terry, «be’, io me ne voglio andare fuori città. Lui non lo so.»
«Anch’io. Stessa cosa.»
«Ho capito. Dunque un lavoretto temporaneo. Nulla a lungo termine.»
Terry cercò di vedere dietro quelle lenti gialle: «Ma sarà davvero temporaneo?»
Zachary abbassò il mento sorridente.
Pigiò sui suoi occhiali e questi si scolorirono digitalmente, mostrando penetranti occhi color giallo mandorla.
«Mi piaci molto tu. Hai coraggio e determinazione da vendere. O almeno, tale è la personalità che ti hanno trapiantato. Un raro e forte senso di giustizia che ammiro… ma Novantanove non ti ha mai parlato di me, vero?»
«Non ne ho avuto l’occasione», specificò lei, «durante le missioni governative non è permesso distrarsi in alcun modo.»
«Sì, lo so», sbuffò altro fumo, «a questo punto, mi presento come si deve al nuovo arrivato. Sono Zachary Pendleton, proprietario di questo night club.»
«Mi puoi chiamare Settantaquattro.»
«Novantanove, Settantaquattro… quasi un conto alla rovescia.»
«In effetti siamo un po’ di fretta», fece la donna, «abbiamo movimentato mezza CyberPol».
Zachary rise: «Capisco, capisco. Comunque, siete fortunati. Un mio cliente ha bisogno di una mano temporanea. Una missione “mordi e fuggi” che fa proprio al caso vostro. Ma meglio discuterne da un’altra parte, in privato. Vi va?»
I due annuirono, e lo seguirono fino a una porta, più lontana dalla festa.
IV – Affari Extraterrestri
I due cyborg si lasciarono alle spalle le perline della tenda a filo, e chiusero la porta.
Zachary invece si avvicinò a una strana console. Azionò un pulsante e ogni mobile cominciò a tremare.
Dal nulla, si aprì un varco dimensionale.
«Aspetta», fece Terry, «non dovrebbero essere proibite tecnologie ultra-dimensionali come questa?»
Zachary sorrise e sbuffò una ciambella di fumo: «Già».
Anche a Novantanove scappò un sorrisetto.
Il varco iniziò a emanare scaglie elettriche che per poco non frissero i loro sistemi; anomale gocce liquide svanivano nell’aria man mano che il varco girava su di sé a mo’ di spirale.
I fogli nella scrivania per poco non volavano via.
Dall’occhio del ciclone, uscì lentamente una donna di carnagione albina, con capelli lunghi e disordinati; entrambi bianchi come il suo camice da laboratorio.
«Ehilà!»
Sotto la lunga veste, vestiva in un frac nero con maniche lunghe e gialle, spezzate da braccia bioniche interamente placcate d’argento e piene di filamenti cibernetici.
Portava occhiali da sole con lenti alternate tra il rosso e il nero, con la vaga forma di due trapezi rovesciati, e teneva un palmare più grande delle minuscole mani da pianista che lo impugnavano.
Sul nodo della cravatta nera risaltava una piccola croce bianca.
«Sì», fece Zachary, «si può dire che ha totalmente copiato il mio stile.»
«Stile? Ma quale stile? Mi son sempre vestita così!»
«Be’, c’è del bianco», puntò con la mano, «e del giallo. E del nero. E poi gli occhiali… la cravatta…»
La donna lo squadrò male: «Non siamo uguali nella forma però!»
L’altro ghignò: «Già, forse le scarpe…»
In effetti portava scarponi antinfortunistici.
I due cyborg ne approfittarono per analizzarla più a fondo: i sistemi rivelarono che era anche lei umana. E pure lei, come Zachary, nascondeva tecnologie sotto gli abiti.
Nondimeno, per quanto abbigliasse come la copia più femminile e più chiara del broker, qualsiasi tecnologia nascondesse non era di certo di quelle parti: ogni tentativo di analisi veniva prontamente ostacolato da un errore di sistema.
Novantanove sussurrò: «Strano che esista un tipo di firewall sconosciuto al governo».
Dall’altra parte Zachary, ridente, riprese: «Per quanto sia divertente offenderti, dovresti spiegare loro la missione. Vanno un po’ di fretta».
La scienziata gli fece una smorfia infantile.
Prese un palmare e si avvicinò.
Li adocchiò entrambi molto interessata: «Meraviglioso!»
Cercò di alzare un braccio a Terry, come fa uno stilista che sta provando le misure, ma quello lo spostò per non essere toccato, e la donna indietreggiò un pelo.
Continuando a girargli intorno.
«Due cyborg di un altro universo… oooh, se sono curiosa di sapere come funzionate!»
Cambiò traiettoria su Novantanove.
«Un altro universo?» Si sorprese lei.
L’afroamericano incrociò le braccia: «Eh già. Diciamo che all’inizio non ci credevo nemmeno io. Eppure dopo aver visto di cosa è capace…»
Guardò la console, che aveva rimpicciolito il varco ultra-dimensionale mentre parlavano.
Il suo volto si fece più serio: «Ma ciò non ha importanza per voi, dico bene? Tuttavia, che vi importi o meno delle sue origini, è meglio tenerle nascoste. Un po’ come fate voi coi vostri nomi. Se lo sanno anche gli Psichici, catturerebbe di certo la loro attenzione e non avremo vita facile.»
«Ci mancano soltanto loro», sbuffò Terry.
«Siamo d’accordo», chiarì Novantanove.
Zachary adocchiò la scienziata gironzolare tra loro, come per rimproverarla.
«Che vuoi?»
«Hai controllato abbastanza?»
«Sì, sì. Tecnologia soddisfacente e creativa, ma un po’ arcaica.»
«Arcaica?» Si sorprese Terry, «forse per la mia, ma anche quella di Novantanove?»
La scienziata annuì, e si voltò verso l’afroamericano: «Tranquillo Zach. Non hanno né cimici, né rivelatori di posizione, né alcun’altra sorta di comunicazione, o di collegamento con altri dispositivi. A parte quel disco rigido, sono “puliti”».
«È il mio Teradisk. Zachary aveva bypassato i codici e l’ha reso irreperibile ai satelliti governativi.»
«La invidio», lamentò l’altro, «ha un arsenale pressoché infinito.»
La scienziata sembrò fiera di sentirlo, picchiettando sul suo palmare.
«Veniamo a noi!» Nascose mani e dispositivo nelle tasche del camice, «non mi sono ancora presentata: mi chiamo Master! E sono la migliore scienziata del mondo!»
«Novantanove. E lui è Settantaquattro.»
«Non faremo domande su chi sei», aggiunse Terry, «né ci interessa lavorare a lungo termine con te. Dicci solo cosa c’è da fare e noi lo facciamo.»
Il loro acquirente mostrò un gran sorriso a labbra larghe.
«Sono quasi commossa! Sono rari questo tipo di collaboratori!»
A Zachary scappò una risata.
«Forse perché non sono così umani da voler scoprire le tue intenzioni.»
V – Piatti Nostalgici
«Cosa se ne fa una scienziata di una spada?»
Come al solito Terry si lamentava.
«Pensa a fare il tuo lavoro. Non vuoi andartene dalla città? Non vuoi cominciare una nuova vita?»
Continuarono a guardare l’ingresso del ristorante giapponese. Le luci arancioni dell’insegna al neon riuscivano in qualche modo a tener lontani i bagliori dei riflettori della città, trattenendo tutta l’atmosfera fino a renderla come le antiche strade giapponesi del ventunesimo secolo.
«Tengono ancora a tradizioni preistoriche», fece lui, «però mi fa sentire a casa vedere altri nipponici.»
«A me viene il voltastomaco nel ricordare di aver venduto la mia identità al governo.»
«Ma così facendo, abbiamo salvato tuo padre dai debiti.»
«Non avresti dovuto lasciare tutto anche tu...»
«L’ho voluto io, Chiyoko. Tuo nonno mi aveva accolto come se fossi un figlio…»
«Nipote.»
«Non ti va proprio giù di chiamarmi zio Terry, vero?»
Con ciò, Novantanove schioccò la lingua e gli diede una sberla.
«E questo per cos’era?!»
«Ti sei fatto scappare il mio nome. E potrebbero ancora captare le nostre conversazioni.»
Terry annuì: «Giusto…»
Ripensandoci, erano i ricordi di persone ormai morte.
«Novantanove. Là.»
Puntò un uomo dai capelli e dalle rughe in età grigia che entrava nel locale.
«Approccio ninja o…»
«No, vieni. Ho un’idea più veloce.»
Arrivati nel vicolo stretto e lineare, all’oscuro delle luci artificiali, videro aprirsi la porta del retro del locale.
Un ragazzo snello come uno stuzzicadenti era uscito a fumare.
Un dardo soporifero lo sorprese al collo.
«Novantanove… secondo la planimetria che ci ha fatto vedere Zachary, quella porta dà direttamente alla cucina.»
«Lo so. E allora?» Pigiò un pulsante che caricò con un altro dardo alla polsiera.
«E allora vedranno il corpo.»
Lei limitò un sorriso e si avviò per entrare.
«Va bene», sospirò lui, «sarai tu a spiegargli l’inconveniente. Io non ho installato alcun vocabolario di lingue arcane.»
Una sorta di caos collaborativo regnava nella cucina.
I cuochi si scambiavano parole che spesso terminavano con un suono aperto.
A un tratto, un asiatico ciccione – col cappello lungo quanto il mestolo che impugnava – si girò per dare l’ennesima indicazione, ma si interruppe nel notare due cyborg vicini alla porta aperta.
Gradualmente, il chiasso delle posate e dei piatti svanì man mano che pure gli altri se ne resero conto.
L’uomo anziano che avevano visto all’entrata sospirò e guardò Novantanove.
Le scosse lentamente la testa.
Ma la cyborg annuì francamente.
L’altro intruso preparò le mani alle fodere delle sue armi.
Una giapponesina snella sgomentò nel notare il collega steso fuori dalla porta.
Allora una cinesina bassa e ugualmente minuta lanciò repentina una scodella di noodles su Terry, che venne prontamente tagliata dal suo kodachi.
Il ciccione urlò e sfogò tutta la voce che aveva in corpo, scagliando fendenti di mestolo bollente su Novantanove.
Ma le agili braccia cibernetiche lo bloccarono, e una ginocchiata allo stomaco fece cadere il mestolo.
Il ciccione si vide scaraventato con una forza sovraumana contro il muro dietro di sé.
Allora la cinesina guardò le crepe, e il ciccione, e lanciò un urlo demoniaco.
«AYAAAAAAAAA!!!»
Si lanciò su Terry e cercò di affettarlo con la mannaia.
«AY! AY! AY! AYYA!!»
Quello parò ogni colpo con la spada trattenendosi dal ridere, finché non sparò in alto.
Tutti gli asiatici nella stanza – giapponesi e cinesi – si fermarono.
E il silenzio calò di nuovo.
«Ecco. Avete capito», sbuffò Terry sulla canna, ritraendola nella fondina, «un linguaggio universale».
Nello stesso momento, la mattonella del soffitto colpita dal proiettile precipitò sulla cinesina, e quella svenne sul colpo.
Terry stava per scoppiare dalle risate, quando all’improvviso il vociare lamentoso del ciccione cominciò a far sentire il proprio disappunto.
Fu quasi un fastidio per i sensori sentirne la voce lagnosa, ma divertenti erano i gesti della sua sentita indignazione mentre indicava il muro crepato, la mattonella staccata, la cinesina svenuta, i cocci di piatto mischiati ai noodles sul pavimento, e i due cyborg davanti alla porta sul retro come se niente fosse successo.
«DAMARE!» Urlò l’anziano, per poi mormorare indicazioni alla cuoca che tremolava in disparte.
Prese con sé una bottiglia di birra e incitò i cyborg a seguirlo, con una mano ferma e decisa.
VI – Virtù Inferiori
Li portò al piano di sopra, dove oltre le scale e l’ennesima porta, entrarono in uno spazioso dojo.
«Voi essere qui per conto di mio nemico?»
Risposero col silenzio.
L’anziano finì la birra come se non avesse mai bevuto in vita sua.
«Guardate città», mostrò oltre la finestra, «migliaia di persone fanno migliaia di sacrifici al giorno così che altra gente possa sognare.»
«Risparmiaci la predica, nonnetto», interruppe Terry, «questa città è marcia fin dalle fondamenta.»
«Forse tu hai ragione», fece a passo lento.
Raggiunse un armadietto. Lo aprì, e si scolò un’altra bottiglia in un sol fiato.
«Voi però… rinunciato a pattuglia e salvaguardia di questo sistema. Io discendente YoiKen… voi ben sapete che tipo di affari fa mia famiglia… eppure contribuiamo anche noi su cause di interesse pubblico da generazioni, per sostenere città».
Lo osservarono molto attentamente mentre mandava giù una quarta bottiglia.
«Perché continui a bere?» Chiese Terry.
«Perché mi preparo a morire.»
«Non siamo tenuti a ucciderti», fece Novantanove.
Gli indicò il piedistallo che sorreggeva una Nodachi tradizionale, esente da migliorie cibernetiche.
«Se ci consegni la Kaikaha nessuno si farà del male.»
«Tu… mi dai aria di donna che sa di Via, ma non la segue...»
«Ti ho detto che non siamo qui per filosofeggiare, nonno», insistette Terry, «daccela, e finiamola qui. Non hai alcuna miglioria o dispositivo per poter combattere contro di noi».
Lo chef tirò fuori la spada dal rinfodero, senza togliere la fodera dal piedistallo.
«Se volete mia anima, dovrete guadagnarvela.»
Novantanove stava per avanzare, ma il nonnetto sorrise nel vedere l’altro cyborg fermarla.
«Ci penso io. Tu lo uccideresti.»
Lei non si oppose.
«Tu ragazzo. Tu invece segui Via, senza renderti conto. Ma testa è confusa.»
«Dato che sei in vena di parlare, rispondi a una mia domanda e io risponderò a una tua.»
«Hai. D’accordo.»
Terry buttò a terra parte del cinturino che sorreggeva la rivoltella ed estrasse lentamente il kodachi ad alto voltaggio.
Ma lo tenne spento.
«Come fa un malavitoso come te a nominare la Via?»
L’anziano sorrise e singhiozzò ubriaco: «Tu pensi che… io avere solo soldi e truffa in mente?»
«Non è quello che fai continuamente?»
«?e. Io so come funziona sistema…» dondolò sbilanciato, tenendo ferma la spada, «raggiro e dirigo locale che porta mangiare a tanti clienti…»
«E tu vorresti fare a noi la predica per aver lasciato una prigione?»
«Prigione…hik. Voi siete tecnologia di governo che emula umano!» Sputò a terra, «spirito e anima non potete emulare!»
«Ho ancora i ricordi dell’uomo che mi sono stati trapiantati. Non sono essi stessi la mia anima?»
«?E!! Troppe domande! Quando è mio turno?»
Sputò ancora ed impugnò alta la Nodachi.
Era più lunga di lui, eppure la teneva senza problemi con una mano sola.
L’anziano respirò profondamente, con i segni dell’ubriachezza che lo facevano barcollare a ogni passo.
Terry si scagliò contro di lui, approfittando del suo squilibrio.
Mirò al polso per tagliargli una mano, ma l’anziano inciampò intenzionalmente all’indietro.
«Ohoh!» Ridacchiò.
E nel cadere scalciò in alto, sul mento di Terry.
«Chissà se la sorte prenda te o prenda me.»
Tirò indietro la gamba, e gli diede un altro secco e diretto piede allo stomaco.
Terry però ne rimase illeso: «Piantala di combattere e dacci la spada! Non voglio ucciderti!»
«Ricordi di chi hai dentro essere di uomo retto e giusto... ma tu non capisci importanza che ha fulcro di mie tradizioni.»
«È solo un’arma!»
Il vecchietto annuì, schivando un fendente orizzontale: «Hai…»
Ondulandosi inaspettatamente e piegandosi, si girò per fenderlo orizzontalmente.
Terry non riuscì nemmeno a vedere il movimento che venne scalfito al braccio.
Gli aveva rotto un punto cieco, dove un po’ d’olio colò.
«A tuoi occhi è solo arnese… a i miei anni e anni di duro lavoro… questa spada è storia di mia vita.»
Il cyborg non credette ai suoi occhi: quel nonnetto ubriaco brandiva egregiamente quella nodachi con una sola mano, da brillo! Era un tutt’uno con la sua ubriachezza!
Al che sorrise e azionò il kodachi ad alto voltaggio. Questo si illuminò più delle candele della stanza.
Lo sferrò più e più volte.
Ma l’anziano schivava sbadatamente ogni colpo. E contrattaccava sbilanciando sia sé stesso che il cyborg.
«Terry la smetti di giocare?» Si stizzì Novantanove, «prendi quella spada e andiamocene».
«Io… è come se quest’uomo…»
Lo guardò negli occhi.
Nemmeno i sistemi potevano analizzare quello che Terry sentiva dentro di sé.
Si susseguirono colpi più violenti. Fendenti più decisi.
L’anziano barcollante parava ogni affondo e ogni tondo.
L’elettricità del kodachi si espandeva anche all’altra lama, ma l’umano sopportava le scosse subite.
Anzi, più ne prendeva, più eludeva gli attacchi.
Finché uno sgambetto improvviso sbilanciò il cyborg.
E un calcio più storto lo fece cadere.
Fino a vedersi la lama avversaria puntata sul naso.
«Tu hai ancora spirito umano…» barcollava l’altro, «io sento in te…»
Terry contorse meccanicamente le gambe e sbilanciò quelle del nemico.
E la lama ad alto voltaggio si trovò faccia a faccia con l’ubriaco al pavimento.
Che sogghignò: «Avevi detto, una domanda tu, una io…»
«S-sì…»
«Come ti chiami?»
«Settantaquattro…»
L’anziano scosse la testa, sorridente.
«Come ti chiami?»
«Terry… Terry Musashi…»
Chiyoko si schiaffeggiò la faccia: «Dillo al mondo intero, allora».
«Musashi… come spadaccino», fece profondamente, «famiglia Musashi ha aiutato città per generazioni assieme a YoiKen. Stimo molto tua famiglia.»
«Avete ucciso nostro nonno a sangue freddo.»
L’anziano guardò entrambi i cyborg interessato.
Novantanove rimase in silenzio, picchiettando i piedi spazientiti sul tatami.
«Tuo nonno..?»
«Si chiamava Masujiro.»
«Oh…» annuì lentamente, «YoiKen molto devoti a insegnamenti di Masujiro.»
«Ma per favore! La vostra organizzazione non fa altro che offenderlo!»
«Allora prendi mia vita, giovane cyborg. E riscatta nome di tua famiglia.»
«Lo farò.»
Terry tirò un pestone al polso dell’anziano.
Liberò la spada lunga dalla sua presa.
«E tanto per la cronaca, vecchio, ti ho privato della tua “anima”, ma hai ancora questo ristorante.»
Ripose il kodachi nel rinfodero e raccolse la rivoltella.
«Giustiziami, ragazzo. Mi hai privato di mia storia… di mia vita…»
Terry lo guardò rattristito.
Si girò per andarsene, senza proferire altro, ma un gemito lo sorprese.
Voltatosi di nuovo, vide il suo avversario alla fine di un seppuku.
«Cosa fai! Non ha senso!»
Novantanove gli mise una mano alla spalla: «È il suo modo per mostrare indignazione, Settantaquattro».
L’anziano scosse la testa: «Nuove generazioni non possono capire onore di vecchie generazioni… cosa veramente è importante…»
Detto ciò, guardò in alto: «Kamisama… yurushi te kudasai…»
E si accasciò, spento, sul pavimento.
VII – Animi Assolti
Ritornati da Zachary, Master sorrise nel vederli col bottino recuperato e li invitò a entrare nel varco ultra-dimensionale.
Come lo sorpassarono, mille telecamere dagli occhi rossi e senza pupille iniziarono a scrutare ogni angolo del loro cybercorpi.
L'interno aveva le parvenze di un enorme laboratorio, ricolmo di macchinari di ogni tipo e ogni stravaganza. E forse era anche più grande, considerate i grandi portoni in lontananza che ricordavano quelli della Struttura di Contenimento Cyborg.
«Passatemi la spada.»
Gliela resero e lei la appoggiò su una superficie piena di tasti. Un braccio attaccato alla parete le affiancò un monitor. Lo accese e apparvero scritte in una lingua sconosciuta perfino a Novantanove.
Comparse poi un popup che mostrò la versione digitale della spada.
«Bene. In questo universo ci sono pressoché le stesse energie... se calibro queste particelle subatomiche e queste onde elettromagnetiche…»
Azionò un pulsante: un altro braccio meccanico, con un proiettore in mano, scannerizzò l’arma.
Dopo qualche secondo, si girò verso di loro e frastornarono delle scintille.
Si materializzò l’ologramma del vecchietto che avevano appena combattuto.
«Fumimaro… Yoiken. Exclusive Chef del ristorante “Sogni in Salsa di Soia”… quarto erede della famiglia Yoiken… vedo che le gerarchie mafiose non sono così tanto diverse qui da voi.»
L’ologramma si ritirò e un’altra console si attivò.
La scienziata si spostò a passo veloce, come facevano i cuochi nella cucina.
Novantanove tirò su un respiro annoiato: «Intanto che lei gioca con la sua ricompensa, possiamo avere la nostra, Zachary?»
«Certo.»
Le mostrò un chip e il cyborg lo scansionò col palmo della mano, ricevendo duecentomila crediti.
In quel momento, fluidi liquidi di un grosso cilindro di vetro accesero il proprio color magenta.
I vetri si aprirono e la vasca si svuotò, facendo scivolare un corpo nudo che riconobbero.
«Ah, che schifo», si disgustò Terry, «pure tu fai certi esperimenti come il Governo…»
«Ehi. Io ho un mio senso di farli!» Si giustificò Master, coprendo con un mantello il vecchietto.
«I-io… dove sono?» Notò i cyborg, «voi! Mia spada!»
Si affrettò verso l’arma per riprendersela, strappandola di mano al braccio meccanico della parete.
«E-ehi aspetta! Prima che mi radi al suolo il laboratorio!»
Master se lo prese da parte e gli parlò in privato.
«Novantanove, riesci a sentirli?»
«No. Ci sono interferenze in questo posto che mi bloccano le cuffie. Non mi piace.»
Guardò Zachary, che gli rispose con un labiale: “Non temere. Aspetta solo un altro po’”.
Annoiati, continuarono ad osservare la scienziata gesticolare in alto e in basso mentre spiegava, quasi appassionata da chissà cosa gli stesse dicendo. Se solo si fosse girata di un millimetro in più, avrebbe potuto leggere anche le sue labbra.
L’unica cosa che sentirono fu la risposta finale del vecchio.
«Non mi interessa di queste stupidaggini! Ho ristorante da mandare avanti!»
«Be’ sei libero di andare! E puoi riprenderti la spada. Tanto ho raccolto i dati che mi servivano.»
«Ancora pensi al tuo locale?» Scherzò Terry.
«Mentre voi qua a giocherellare con tecnologia aliena, là fuori mondo ha bisogno una mano per andare avanti! A miei clienti servono miei piatti!»
Adocchiando i due volti spenti dei cyborg, si rattristì: «Ah, che parlo con voi. Fate finta di provare emozioni.»
L’afroamericano gli sorrise: «Se ci pensi, Fumimaro, lo facciamo spesso anche noi.»
«Proprio tu parli».
«Ehi, non giudicare i tuoi simili. Io aiuto sia buoni che cattivi. Come te.»
Il vecchio grugnò e guardò la scienziata: «Puoi riportarmi a casa con tua stramba tecnologia?»
«Strambo sarai tu», fece, aprendo un varco con l’ubicazione per il ristorante.
Il vecchio guardò Terry: «Ragazzo. Per quanto tu metà macchina, cerca di far vincere tuo spirito umano.»
«Lo farò.»
Fumimaro poté andarsene con un mezzo sorriso sulle labbra rugose.
«Prima mi son trattenuta dal dirgli che, mentre voi siete dei cyborg, lui ora è diventato un agglomerato di gelatina.»
Zachary si massaggiava il mento guardando il laboratorio di Master: «Il suo spirito è bello che vispo però… che sia dovuto alla spada?»
«Eheh. È proprio quello il punto del mio esperimento!»
«Smettetela di fare gossip sul quel vecchio.»
«Non fraintedermi Terry», giustificò l’afroamericano, «è proprio per questo che mi piace la gente di Dream Streets. Uomini come loro, che fanno sacrifici ogni giorno in lavori ordinari, apparentemente umilianti, ma che in realtà tengono vivi l'onore e i sogni della gente. Senza i loro sforzi quotidiani, la Capitale – anzi no, lo stesso Governo Mondiale, non esisterebbe.»
«Concordo», Master s’appoggiò le mani ai fianchi, «le persone comuni hanno tanto da offrire. Molti miei esperimenti li ho fatti su di lo—cioè… sono loro ad avermi dato più…»
La guardarono tutti, confusi.
«Materia—okay, come non detto. M’è uscita male.»
«Sarà», la ignorò Terry, «ma intanto non lo hai lasciato riposare in pace. Chi glielo va a dire che il vero lui è morto?»
«Ehi, non vi ho mica chiesto io di ucciderlo! Mi serviva solo la spada!»
«Si è tolto la vita da solo», puntualizzò Novantanove.
«Nel portargli via Kaikaha era come se lo avevamo già ucciso.»
Master gesticolò le mani: «Gliel'avrei ridata indietro! Come appunto ho appena fatto!»
«La prossima volta sii più specifica!»
«Ma non potevate fare di nascosto?»
«Avremmo perso tempo. Abbiamo ancora la CyberPol alle calcagna.»
«Vabbè ma vi avrei aiutato io! Bastava dirlo!»
«La prossima volta sii più specifica, FIN DALL’INIZIO!!»
Novantanove si strizzò gli occhi: «Tutto questo casino per una stupida spada.»
L’afroamericano rideva in disparte.
«Ok», fece Master, «ora fuori di qui. Sennò mi arrugginite il laboratorio».
Il forte rumore della musica dark-electro del night club proruppe di nuovo nei timpani.
«Sicuri non rimarrete in circolazione per altre occasioni?»
«Non ci penso nemmeno», fece Terry, «io me ne andrò lontano. Nel deserto, dove c'è più quiete.»
«Quiete? Be’, buona fortuna. E tu Novantanove?»
Vedendo il suo volto serio, Zachary alzò le mani: «Se non sono troppo indiscreto».
«Avevo intenzione di vendicarmi e radere al suolo l'intero Mainframe per quello che hanno fatto con il protocollo cyborg, ma se ci sono persone come quell’anziano, il mio piano sarebbe uno spreco di risorse per questo pianeta.»
Terry sospirò: «Perfino nel dirla giusta si sente la mancanza di emozioni della tua generazione.»
Novantanove lo ignorò e guardò la scienziata, rimasta ancora con loro.
«Master. Avresti altri lavori autoconclusivi come questo? Sarebbe interessante esplorare altre realtà. Da quel che ho capito hai questo potere dalla tua parte.»
«Non saprei. Non ho molti soldi per ingaggiare altri, oltre a Zachary.»
«Non ho bisogno di soldi. Solo di armi.»
«Affare fatto allora!» Cambiò subito d’umore, «ho sempre bisogno di una mano gratis!»
«Quindi questo è un addio?» Si rattristì Terry.
«Solo finché non avrò capito cosa voglio fare con questa libertà. Di certo, non tornerò mai più in città.»
Novantanove gli si avvicinò.
I due si guardarono negli occhi, rispecchiandosi nelle lenti cibernetiche, su cui videro nell’altro i ricordi delle loro vite passate.
Gli diede un leggero bacio sulla guancia.
«Però tornerò. Non voglio restare con questa squilibrata a lungo.»
«Ehi!! La squilibrata è ancora qui, ed è molto più intelligente di tutti voi messi assieme, pure se quadruplicati al cubo!»
L’altro cyborg sorrise: «Ti aspetterò nel deserto allora».
A quella scena, Zachary si ravvivò e batté le mani una volta.
«Ah, quindi te ne vai? Davvero un peccato. Tu sì che eri un'ottima risorsa, Novantanove. Specie fuori città.»
«Un altro motivo per andarmene il più lontana possibile.»
L’afroamericano le sorrise.
Al che Novantanove le porse la mano per un’ultima stretta: «Allora, a mai più rivederci».
Zachary ricambiò la sua, sentendosi il freddo del metallo sulle dita: «È stato bello, finché è durato.»
Terry alzò due dita in segno d’addio: «Abbi cura di te, Chiyoko».
«Il nome…»
Lui in risposta sorrise e se ne andò, lasciandosi alle spalle le perline della tenda a filo.
«Come se non ti conoscessi già», puntualizzò il broker.
Novantanove entrò nel varco ultra-dimensionale senza dire null’altro.
«E-ehi! Aspetta! Non è mica casa tua quella!»
Master stava per inseguirla, ma prima di andarsene osservò l’afroamericano adocchiare fuori dalla finestra.
«Qui Z», puntò un dito all’orecchio, «tieni d’occhio il cyborg appena uscito e fammi sapere quando oltrepassa il confine. Non farti scoprire, perché non avrai rinforzi.»
«Davvero li lasci andare così?»
Zachary le sorrise. S’accomodò alla scrivania del suo ufficio e poggiò i piedi vicino al cavaliere da tavolo placcato in oro, col suo nome scritto sopra in argento.
«Sai come sono fatto: lascio che le persone seguano ciò che desiderino. E chi sono io per interferire con i loro sogni?»