SULLE ORME DI ANTICO DELITTO
Sabato 18 Febbraio 2012:
Salgo lentamente con l'automobile, la strada si fa sempre più stretta e impervia, vedo che più avanti è innevata. Parcheggio all'inizio di un viottolo laterale, torno indietro alcune decine di metri, chiedo a due vignaioli dove si trova la cascina Barbisa; uno dei due risponde con un gesto che non comprendo, chiedo ancora, e con voce scocciata mi dice: “E’ quella!” Guardando nella direzione indicata mi appare quasi spettrale nella neve. La voce del vignaiolo subito mi riscuote, non posso lasciare l'automobile dove l'ho messa, perché devono uscire col trattore. Non è vero, non hanno alcun trattore, ma preferisco far finta di credergli, ripercorro all'indietro alcune centinaia di metri, finché trovo un piccolo slargo, e torno sui miei passi fino a raggiungere il nivale.
Mi inerpico per la strada in salita, la neve mi arriva alle caviglie, mi entra nelle scarpe. La cascina Barbisa è la più avanti, immersa in una gelida neve. Lì si è conclusa l'avventura terrena di Maria Teresa Novara.
La suggestione, l'emozione, il peso di lunghe ricerche, il piccolo orgoglio per le scoperte fatte mi si mescolano nel sangue. Il cuore mi si stringe, i ricordi della giornata si accavallano: il procuratore Mario Bozzola che mi svela le difficoltà dell'inchiesta, gli intoppi, le inefficienze, la disperata solitudine, la stampa che mestava, che puntava sul morboso, che indicava con prepotente insistenza falsi obbiettivi; la tragica conclusione che ancora lo commuove. Sta scrivendo un libro, riguarda tutta la sua carriera, ma la storia più atroce è sicuramente questa.
Mi da la foto di Maria Teresa; è la prima volta che la vedo: alta, magra, un volto dolce, pulito e bello. Una normale ragazza della sua età. La rivedrò sorridente nella fotografia sulla lapide, in mezzo ai suoi genitori, quando depositerò un mazzo di rose nel cesto di fiori finti. Poi altri ricordi: la casa di un suo familiare, la sua rabbia di essere stato troppo giovane all'epoca per poter costringere in modo sbrigativamente brutale "qualcuno" a parlare, un sospetto che non vuole rivelare.
La casa in cui era stata rapita, in via Roma 45 a Villafranca, di fronte al Municipio, apparentemente nel centro del paese, in realtà con il retro che da sulla scarpata della ferrovia. E da lì che con una scala a pioli erano entrati i rapitori. Lo apprendo nei colloqui con il parroco e il viceparroco.
Avevo raccolto altre testimonianze: una signora che mi ha detto di essere entrata nel cunicolo in cui Maria era stata incatenata, precisando che all'epoca era magrissima, un'altra che mi ha raccontato di averla vista morta, le unghie con lo smalto, i segni delle terribili sofferenze sul volto, sua figlia, una bambina che mi ha detto di aver paura che di notte entri qualcuno dalla finestra.
Il familiare aveva detto quasi con orgoglio che erano arrivate migliaia e migliaia di persone a vederla, era stata sua madre Angela a far riaprire la bara, per poi cadere a terra svenuta. La sua salute si era irrimediabilmente guastata, così come il fratello maggiore che ne ebbe la vita segnata, come pure lo zio che per lungo tempo era anche stato ingiustamente accusato dalla stampa.
Poi il parroco di Canale. Gli ho fatto un nome innominabile: "Questo l'ho seppellito io" ho preferito tacere i nomi di due fratelli, avevo appena avuto la prova che erano - e sono - vivi e vegeti.
Raggiungo la Barbisa, più che una cascina sarebbe da definire una villetta o un fortino; attorno ci sono ancora le mura fatte costruire da Calleri per evitare sguardi indiscreti. La circondano da tre parti, sulla quarta non aveva fatto in tempo, c'è solo la rete, però è il lato meno agevole. La casa in Inverno è vuota. Vorrei scavalcare il cancello, ma la neve rivelerebbe l'entrata di un estraneo, quindi preferisco rinunciare. Riesco però a dare un’ occhiata al portico: sotto di esso c'era il cunicolo in cui di giorno portavano Maria Teresa, la sera la tiravano fuori per dei festini cui, secondo Bozzola che ne ha visti i resti, avranno partecipato centinaia di persone.
Poi, dopo che Calleri era morto e Rosso era stato arrestato, dopo una superficiale ed infruttuosa ispezione dei carabinieri, qualcuno aveva otturato il tubo di aereazione, facendo fare alla sventurata fanciulla incatenata e stremata da otto giorni di inedia, la fine degli equipaggi dei sommergibili affondati.
Ripercorro il sentiero di neve con il gelo nel cuore. C'ero all'epoca: perché non ho potuto portarti una carezza e un refolo di aria?
(Per chi fosse interessato alla vicenda: sul Web: "Sulla tua tomba: Maledetto scriva la mano di Dio", in libreria: “La testa dell'Idra”.)
Sulle orme di antico delitto testo di Nulla