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Caro e dulcissimo Pater,
è tarda notte e ti scrivo sotto una tepente e rossastra luna, nella quale mi provo e mi riprovo ad intingere colla stilo tutti i più bei ricordi,
cinto per via di lì, ove i gelsi s'imbrunano ei saliceti sfrondano di sfingiche falene d'acqua, che quasi assumono un nericato colore di cobalto,
e che sole mi tengon compagnia; i più ora dormono, io, nottambolo sono, e lascio scorrere lento lento il notturno sperando o forse attendendo ma non so che cosa... Vero non è che un anno par jersera, perchè a me sembra passato un secolo da quando non ci sei.
Mi manca il tuo savio sguardo indulgente e lo smisurato silenzio la pazienza di chi davvero sapeva ascoltare, e perdonare.
Ricordo anchòra sì di molte lune fa, quando non ero già più alto d'una rosa damaschina e fra i ciuffi palmizi giuocavamo a sfrombolarci i datteri acerbi, quelli più verdi, da fine meriggio sino a sera; o del minuscolo motorino che però a me appariva il più grande dell'universo, e di poi quando passengiando lungoriva Vena mi spiegavi dei restauri de' le cupole ei ponti arrovesciati s'uno specchio di laguna, e le casipole i pinnacoli, i comignoli, i sottili vicoli e le calli, de' la loro storia le leggende e delle chiese, in questa Chioggia da pregare.
Così tutto m'appare come un flutto che si schianta d'in sui ventricoli del cuore: amore, tedio, angoscia tormento, in giuso a cotesto firmamento.
Nel frattempo continuo ad esercitarmi con la poesia, o almeno tento, di riuscire a stendere qualche verso discreto, o celare qualche rima a guisa un poeta decente; sai? La mia musa sospira col palpitar del mare, ed io come un bimbo mi lascio trasportare auscultando quel cherubico respiro come avessi la testa posata sovra il suo ventre, così almeno per un po' m'acquieto. Mi torna a la mente pure quando ti chiesi, presuntuoso, d'insegnarmi a disegnare, e tu, liève rispondesti: " intanto incomincia ad imparare di far la punta a la matita".
Avevo solo il desiderio d'avere una boccata di verità, che m'accompagnasse in 'esta mia macabra danza. Certo t'avrei amato anche non fossi stato mio padre; io davvero non so cosa vi sia d'oltre l'inostra vita, ma ben conosco il dolore di chi resta.
Ora sento il pispillìo degl'augellini che mi rubano al sogno per ridarmi al presente fra lo sgocciolìo di stille di rugiada che inglobano gl'emisferi del primo sole ed un soave odor di gelsomino. Ah! fossi stato almeno un decimo della tua persona sarei di sicuro un uomo migliore. Così ti penso e ti scrivo, seduto fra i ricordi vicini e i romori lontani, con il solo disìo di poterti ristringere le mani;
addio, mio carissimo e dulcissimo Pater.