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Il vecchio legno accoglieva con un delicato sospiro i miei passi mentre scendevo le scale.
Mi fermai: la casa, solitamente animata da voci rombanti, era immersa in una quiete spettrale; tesi l'orecchio ascoltando il pesante sonno di mio padre e i delicati sbuffi di mia sorella provenire dalle due porte adiacenti e in punta di piedi attraversai la stanza.
Sentivo il sangue sussurrarmi nelle orecchie una cantilena, vagai con lo sguardo fino a che non la trovai.
La foto era piccola, annerita ai bordi dal fuoco che tempo prima l'aveva avvolta, la donna indossava un abito fuori moda, che aveva sicuramente visto tempi migliori, sorrideva, però.
L' accarezzai con i polpastrelli e poi la spostai delicatemente. Le mani mi fremettero mentre tastavo il legno sottostante e palpavo la minuscola serratura.
Con un'impaziente calma mi tolsi dal collo la piccola chiave. Trovarla non era stato semplice.
La serratura scattò con un click che risunò come il colpo di un martello all'interno di quel silenzio; mi voltai certa di trovare lo scuro sguardo di mio padre e quello spaventato di mia sorella, ma non c'era nessuno alle mie spalle. Mordendomi un labbro aprì lo scaffale segreto. I ricordi di anni e anni di vita mi salutarono con un chiacchiericcio polveroso: lettere, nastri, foto, c'erano solo uno o due gioielli, appartenuti a qualche vecchio trisavolo, che conservavamo per i tempi bui o per quando ci saremmo sposate. O meglio, per quando Thea si sarebbe sposata.
Per un attimo mi ritornò in mente lo sguardo luminoso di mio padre quando mi diede un grosso ciondolo ricoperto di pietre per la mia dote e i suoi occhi cupi quando glielo riportai una volta che il matrimonio fu annullato. Scossi la testa: non era per questo che stavo trasgredendo alle regole.
Scavai nel piccolo nascodiglio, facendomi guidare dalle pulsazioni che continuarono a cantare, fino a quando le mie dita non lo trovarono. La scossa mi risalì lungo il braccio e il petto, fino a danzare con il cuore.
Rovesciai il contenuto del sacchetto e in un attimo fu come tornare a respirare e vedere. La casa buia adesso era animata dallo scintillio del pulviscolo, dai suoni che percepivo potevo dire che Thea si era rigirata a faccia in giù e dal basso brontolio di mio padre sapevo che stava sognando quella notte.
Strinsi al petto la luminosa pietra legata da un misero cordoncino.
Secondo la tradizione del Regno, un tempo la popolazione fu vittima di un epidemia: donne, bambini, uomini, tutti perivano per questo male senza che nessuno riuscisse a trovare una cura, così un giorno un giovane decise di rivolgersi al dio del fiume per pregarlo di salvarli; il dio gli rispose che la cura erano dei lapislazzuli che avrebbe trovato poco avanti. Ma il ragazzo non si sarebbe mai aspettato di ritrovarsi attaccato da uno splendido dragone, dalle squame di lapislazzuli. Atterito comprese che avrebbe dovuto ucciderlo, ma la bellezza e la maestosità della creatura era tale che abbandonò subito l'idea. Senza speranze, ormai, si lasciò cadere a terra tra le lacrime. Fu allora che il dragone si trasformò nel dio del fiume e poichè aveva apprezzato la bontà d'animo del giovane, gli consegnò una delle sue squame.
Da allora, le due specie furono intrecciate dal destino, cosicchè per ogni umano che nasceva, nasceva anche il suo drago e la pietra con cui si nasceva serviva per ritrovarsi. Due metà di una stessa anima.
Eppure la mia mi era stata tolta quando ancora non sapevo pronunciare il mio nome.
Era usanza per i genitori consultare l'oracolo prima dei sei anni dei figli, così da sapere se il loro drago sarebbe stato di un buon rango, dal momento che il loro futuro derivava da questo: più il proprio drago era di alto rango, più si sarebbero occupate cariche importanti.
Avevo cinque anni, quando l'oracolo venne a casa.
Ero nascosta sulle scale, la mamma si passava una mano sul ventre rigonfio, mentre mio padre teneva le braccia incrociate.
"La figlia che portate in grembo sara dolce e affabile, come il suo drago" gracchiò la scura figura.
I miei sembrarono soddisfatti nel sentire quelle parole, anche se mio padre si schiarì la voce "Vorremmo sapere della maggiore, in realtà..."
Fu allora che l'oracolo voltò il capo e mi vide, il suo cappuccio era così profondo che mi sembrò di sprofondarci dentro.
"Un fiume in tempesta l'avvolge. Disgrazie!Evocherà disgrazie!" urlò.
Scappai di sopra inseguita dai quei rauchi vaneggi, mi rifugiai sotto le coperte chiudendo gli occhi per molto tempo. Quando li riaprì i miei genitori erano lì, mio padre con la bocca serrata e le vene che pulsavano sul suo collo, la mamma che piangeva sommessamente.
"Sappi che tutto questo è solo per il tuo bene" disse mio padre prima che afferrasse la mia pietra e me la strappasse via.
Ricordavo il dolore, la soffernza, come l'aria che ti veniva di colpo strappata... Per ventincinque anni avevo vissuto a metà, incompleta, sentendo la costante presenza della mia pietra come un arto amputato.
Me la legai al collo e uscii fuori, incurante dell'aria gelida che mi tagliava come una miriade di coltelli. Quella notte avrei ritrovato me stessa, quella notte avrei evocato il mio drago.
Presi un respiro e strinsi il ciondolo, sincronizzando il mio battito con quello della pietra. Lasciai che i pensieri fluissero lontani, così come i ricordi e le sensazioni, fino a quando non ci fu nulla, solo il tiepido pulsare di un cuore lontano. Lo chiamai a me, lo chiamai con tutte le forze. Passarono alcuni minuti e mi arrischiai ad aprire gli occhi. Niente. Sapevo che ci volevano alcuni minuti a volte anche un'ora, prima che il tuo drago arrivasse; era stato così per Thea, la sua Joyline comparve dopo quaranta minuti accompagnata da un turbinio di petali.
Forse a me ci sarebbe voluto un po' più di tempo, considerando che solitamente l'evocazione avveniva a sei anni...
Aspettai, aspettai fino a quando le dita dei piedi non mi divennero blu e nel cielo iniziarono ad addensarsi grosse nuvole, poi dovetti ammettere l'evindeza: nessun drago sarebbe venuto.
Svuotata rietrai in casa, attraversandola come il fantasma che mi sentivo, abbandonandomi sul letto dove il nodo che provavo si sciolse in un fiume di lacrime.
Furono dei colpi secchi a svegliarmi.
La tempesta infuriava facendo cigolare le travi e i vecchi infissi, strano che nessuno si fosse ancora svegliato.
Raccapezzandomi, andai alla porta per bloccarla prima che la tempesta entrasse, ma mentre sollevavo il catenaccio vidi delle figure.
"Posso aiutarvi?" domandai stranamente calma, non era insolito incappare in qualche viandante sorpreso dalla tempesta.
"Posso indicarvi dove alloggiare" continuai.
"Questo è il nostro posto" la voce era stanca, affaticata e inconfondibilmente femminile.
Aprii la porta e mi ritrovai davanti due esili figure, una sembrava avere la mia età, l'altra non poteva avere più di sei anni.
"Perchè ci hai messo così tanto?" sbuffò quella più grande.
"Abbiamo sofferto molto e anche tu" continuò la più piccola.
Indietreggiai, colta da un improvviso timore "Chi siete?".
"Davvero non lo sai? Non lo senti?" ghignarono.
Un lampo squarciò l'oscurità, illuminando i bianchi capelli che ricadevano sulle loro spalle e facendo brillare occhi di un blu elettrico, lo stesso della mia pietra.
La gracchiante voce dell'oracolo mi riempì le orecchie. "Disgrazie! Evocherà disgrazie!".
Non poteva essere, era proibito...una calamità...sarebbero dovuti essere estinti... Allungai la mano verso di loro.
Avevo evocato il rango più pericoloso: Draghi umani.
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