Il tempo ritagliato

scritto da Ninfa_orobica
Scritto Un mese fa • Pubblicato Un mese fa • Revisionato Un mese fa
0 0 0

Autore del testo

Immagine di Ninfa_orobica
Autore del testo Ninfa_orobica
Immagine di Ninfa_orobica
Ho perso la prima versione che ho scritto. Mi tocca riscriverne un'altra
- Nota dell'autore Ninfa_orobica

Testo: Il tempo ritagliato
di Ninfa_orobica

Agenda di Olga Wasil
Pagina del 3 ottobre

Succede sempre. Ogni volta.
Quando qualcosa di interessante accade, lo devo segnare in agenda. Rigorosamente a mano, in corsivo. Sì, in corsivo, perché in stampato maiuscolo scrivo male. Quella della scrittura è un'abitudine che risale alla notte dei tempi, cresciuta con me. Ricordo che tengo almeno un diario da quando avevo dieci anni e da allora è cambiato solo il contenuto della mia scrittura, ma mai l'atto stesso di scrivere. 
In passato scrivevo storie, parlavo di me. Ora scrivo degli argomenti più svariati: scelte importanti da fare, lavori in corso di progetti a lungo termine, spunti per possibili poesie o romanzi. 
Scrivo con una stilografica color blu cina dagli inserti damascati color oro, apprezzatissimo regalo di un mio ex. 
Era il 2021. Sia io che lui seguivamo un programma di allenamento di atletica leggera, o meglio: io seguivo un programma d'atletica per cercare invano di migliorare i miei tempi mentre cercavo di farmi strada nel giornalismo. Lui, a differenza mia, vinceva gare e lavorava come geometra su appalti di una grande azienda. 
Era quasi Natale anche per il 2021.
Mi aveva chiesto di vederlo per un caffè. Ci siamo visti. Io ordino una spremuta.
Usciamo dal locale circa un'ora dopo.
"Ti ho portato un piccolo pensiero." Io mi blocco. Mi mostro stupita: "E come mai?" 
"Tranquilla, è solo un pensiero per Natale." 
Mi consegna un pacchetto prima di tornare alla macchina e si congeda con i soliti due baci (trattasi questa di un'usanza sociale contemporanea a mio avviso mortificante).
Più tardi, a casa mia, apro il pacchetto: una stilografica con tanto di kit di cartucce ricaricabile e calamaio con inchiostro. Mi è sembrato che quello fosse stato uno dei più bei regali mai ricevuti. Aveva intascato un'altra vittoria: mi aveva conquistata. Ma solo per qualche mese, prima di lasciarmi per una presunta preferenza da parte mia nei confronti di un'altro atleta. E qui chiudo la parentesi.
Comunque. 
Apro l'agenda. Dal momento che non ho mai capito come si inseriscono le cartucce d'inchiostro intercambiabili all'interno della stilografica, la intingo direttamente nel calamaio d'inchiostro come un'antica piuma (lo so, è imbarazzante!). 
Scrivo: articoli del 24 ottobre. 
Assemblo ritagli degli articoli di quotidiani che sembrano parlare di lui. Li ho trovati qua e là, passando i rassegna i quotidinani egiziani dell'ultimo periodo. No, non tornano i conti. Proprio per nulla. Le sue assenze coincidevano sempre con gli attentati. Un articolo di Al-Alham menzionava l'attacco del 2 settembre. Era sparito due giorni prima dicendomi che aveva molto da fare per il nuovo software su cui stava lavorando. 
Eppure... che cosa lo aveva preso quando sott'acqua mi aveva allontanata dalla grotta? Una specie di desiderio di rimprovero, o la paura di essere scoperto? Perché se ne andava di punto in bianco all'improvviso, ricevendo telefonate anche a tarda notte? 
Una volta mi aveva chiesto di rimanere da lui per la notte. Avevo accettato come se niente al mondo avrebbe eguagliato la bellezza di quella proposta.
In piena notte mi ero risvegliata per il caldo rovente. Un vento secco e caldo come l'alito di una fornace arrivava dal deserto. Lui non era accanto a me. Senza far rumore avevo raggiunto il terrazzo sul retro di casa sua. Lo avevo intravisto affacciato alla delimitazione di marmo, ben oltre le tende damascate della finestra che amavo tanto. Immobile, sulla soglia del terrazzo, lo avevo sentito parlare in Italiano, un buon Italiano, ma non perfetto. Non ho familiarità con l'italiano pur essendo stata la lingua che parlavo in ambasciata a Roma anni fa, ma avevo captato un dialogo serrato, dove la parola "consolato" gli usciva non di rado dalle belle labbra. 
Ero rimasta in silenzio ad ascoltarlo, ferma immobile dietro la grande tenda damascata.  
I fiochi riverberi della luce lontana di un lampione scivolavano sul tessuto in giochi di luce cangianti che sfumavano nel buio come in un congedo elegante. 
Un affanno mi aveva colta. Una morsa d'inquietudine. 
Soliman mi da le spalle e io ne approfitto per sporgermi ed ascoltare meglio. Per quanto mi ero sforzata, non avevo colto granché della conversazione. Lo avevo visto agitarsi quando sembrava che la linea fosse caduta dall'altra parte. Era al telefono ormai da un'ora quando lo avevo sentito chiamare il nome di una donna: Lara?
Un senso di sgomento mi aveva bloccato la deglutizione: chi era Lara? Forse era peggio di quel che pensavo, ma niente a che fare con presunte attività terroristiche (e direi a questo punto, purtroppo). 
In punta di piedi ero tornata in camera da letto, avevo fatto i bagagli e un attimo dopo ero uscita dall'edificio.
Avevo raccolto le mie cose e, nel cuore della notte, me n'ero andata.
Avevo camminato per tutta la notte rimanente, finché all'alba, sfinita dalla carenza di energie e dall'esubero della disperazione, non mi ero addormentata in una spiaggia deserta. 
Capivo che rientrare nel mio appartamento non era la cosa più intelligente da fare. Soliman sapeva dove abitavo, sapeva che prima o poi doveva trovarmi lì, così avevo deciso di cambiare aria. 
Avevo optato per l'affitto della camera di un residence, cercando di rendermi rintracciabile. Avevo acquistato un telefono nuovo e una sim nuova. 
Avevo fatto scorrere la galleria dei file multimediale da trasferire sul nuovo dispositivo: mi capita una schermata catturata dal filmato dell'addestramento subacqueo. Il profilo di Soliman in muta da sub si stagliava nel cielo terso egiziano come magnetizzato da una forza misteriosa. Gli zigomi alti riflettevano il sole, l'espressione seria guardava lontano, una mano dall'aria vissuta, dalle linee decise, 
reggeva pinne nere a pala rigida, dal cinghiolo regolabile. Lo trovavo bello, una bellezza che incuteva forza e sicurezza. L'Apollo del Belvedere era un'altra cosa, ma anche Soliman era un bel vedere in muta da sub, nonostante tutto. Tra un sospiro desolato e l'altro, l'attenzione andava sempre più focalizzata sulla macchia bianca all'estremità della pinna.
Sapevo che non erano esattamente nuove quelle pinne; so che avevano almeno dieci anni, ma, ad uno sguardo più attento, la macchia non non era una macchia, ma...un disegno. Pizzico lo schermo.
Zoom.
Ingrandisco il dettaglio della macchia.
Lo guardo.
Lo riguardo. 
Zoom a destra.
E' lo stesso simbolo del fulmine che avevo visto all'ingresso della grotta sommersa, la stessa grotta dove Soliman mi aveva impedito l'accesso, accesso interdetto seguito da una lavata di capo.

Il tempo ritagliato testo di Ninfa_orobica
6

Suggeriti da Ninfa_orobica


Alcuni articoli dal suo scaffale
Vai allo scaffale di Ninfa_orobica