Contenuti per adulti
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Leonardo non ricordava più come si chiamava la via dove abitava.
Non era grave, almeno non finché Google Maps gli rispondeva.
Ma un giorno, Google Maps lo portò da un’altra parte.
Davanti a una porta con scritto: “Ufficio Reclami del Linguaggio.”Dentro, l’aria sapeva di dizionario e caffè bruciato.Una donna in camicia azzurra lo accolse con un sorriso da segreteria eterna.
“Ha perso una parola, signor…?”“Credo di sì. Ma non ricordo quale.”“Succede più spesso di quanto immagini. Prego, si accomodi.”
Sul muro, una targa d’ottone:
“Ogni parola dimenticata lascia un buco nel mondo.”
Il catalogo delle parole smarrite
La donna gli consegnò un modulo lungo due pagine.
Richieste assurde: data di smarrimento, emozione associata, circostanze atmosferiche del momento in cui è stata detta l’ultima volta.
“Non so cosa scrivere,” ammise Leonardo.
“Inizi dal sentimento. Le parole sanno tornare se le chiami con il tono giusto.”
Così lui scrisse: “Triste ma curioso.”Lei annuì, aprì un registro spesso quanto un’enciclopedia e cercò con dita consumate.
“Eccola qui,” disse. “La parola che ha perso è ancora.”
Leonardo la guardò perplesso.“Ancora?”
“Sì. L’ha smarrita da mesi. Ha smesso di usarla in frasi come ‘ci proverò ancora’, ‘credo in me ancora’. Non se n’è accorto, ma il suo linguaggio ha iniziato a disfarsi da quel momento.”
Il laboratorio del custode
La donna lo condusse in una stanza piena di scatole etichettate con parole dimenticate da altri.
C’erano “fiducia” in un barattolo di vetro, “serenità” sotto vuoto, e un’intera mensola dedicata a “vabbè” — la parola più smarrita d’Italia.
In fondo, un uomo anziano, seduto su una sedia di legno, lucidava lettere come se fossero pietre preziose.
“È lui,” sussurrò la donna. “Il Custode delle Parole Perdute.”
Il vecchio sollevò lo sguardo e sorrise.
“Bentrovato. Ho qui la tua parola. Era un po’ sbiadita, ma si può salvare. Ti manca tanto?”
“Più di quanto pensassi.”
Il Custode annuì.
“Allora dovrai meritarla. Le parole, quando vengono dimenticate, non si fidano più. Vanno riconquistate con gesti coerenti.”
“Cioè?”
“Devi dire una cosa vera. Una soltanto. E crederci fino in fondo.”Leonardo ci pensò.E disse piano:
“Ho paura, ma voglio provarci ancora.”
La stanza tremò come se avesse respirato.
Le pareti si riempirono di luce, e sul palmo di Leonardo comparve una piccola scintilla.
Una parola viva, calda.
Il ritorno
Fuori, la città sembrava identica.
Eppure tutto gli pareva più nitido: i rumori, gli odori, perfino i passanti.
Nel suo telefono, Google Maps non mostrava più “Ufficio Reclami del Linguaggio”.
Solo una via normale, la sua.
Ma Leonardo sapeva che quel posto esisteva.
Che da qualche parte, qualcuno stava custodendo le parole dimenticate del mondo.
Da quel giorno, ogni volta che parlava con qualcuno, ci metteva più cura.
Non per paura di sbagliare, ma per gratitudine.
Perché ora sapeva che ogni parola detta bene è un atto di resistenza.
Epilogo
Passarono mesi.
Una sera, sotto una pioggia leggera, Leonardo ricevette una busta senza mittente.
Dentro, un bigliettino con poche parole:
“Grazie per aver salvato ancora.
Continua a usarla, o la perderemo di nuovo.
— Il Custode.”
Leonardo sorrise, e alzò lo sguardo al cielo.
La pioggia sembrava battere un ritmo familiare.
Come se il mondo stesso stesse ripetendo:
“Ancora. Ancora. Ancora.”