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Wasil premette il pulsante a lato dell'iphone per attivare il blocco schermo. Aveva inviato un messaggio a sua madre per dirle che non sarebbe tornata per l'ora di cena. Il display oscurato le restituì il riflesso di un volto scarno. Un volto che, nonostante la magrezza, portava i riflesso di un sole cocente e che contrastava con la luce plumbea del cielo di Kiev; la donna ancora sentiva il sole dentro di sè. Lo sentiva nel suo corpo, nella sua mente...ovunque. Le ciglia bionde, ancora più bionde, sembravano più folte e lunghe. Ma Wasil non sorrideva.
I ricordi erano ancora vividi, cocenti come quel sole che ora ardeva lontano.
Era tutto finito. Ora il sole cocente ardeva su quella terra bruciata che era l'Egitto.
Era appoggiata alla ringhiera del porticato della chiesa della città e guardava in basso. Alle sue spalle, la chiesa della sua città natale in Ucraina. Si recava in quel posto quando doveva rielaborare esperienze intense. Quando doveva riflettere, saliva con abile passo lungo le gradinate che portavano all'edificio sacro e lì fuori, nei pressi del porticato, in cima alla collina, osservava il panorama dall'alto e pensava.
Si era rifugiata lì per diverse ore quando, un paio di mesi prima, doveva prendere una scelta: accettare o meno l'incarico assegnatole da quella donna dell'ambasciata che si faceva chiamare Il Colonnello. Ebbene, aveva accettato.
Ora, in alto sulla collina, al di fuori della chiesa, Wasil osservava il panorama. Guardava in basso. Teneva stretta a sé una grande busta bianca sigillata che rappresentava l'obiettivo finale del suo viaggio. La curiosità vinse ogni timore. Aprì la busta.
All'interno, svariati ritagli di articoli di giornale, la copia degli interrogatori, i referti delle indagini su Hassan Soliman.
Un fascicolo di documenti che in nessun modo dovevano essere divulgati alle autorità. Eppure erano lì, tra le sue braccia.
Wasil aprì la busta. Le mani, umide di lacrime.
Dalla carta sigillata estrasse vari articoli che erano evidentemente stati ricavati da giornali nazionali egiziani. E tutti riportavano una versione simile sui recenti sviluppi della vicenda. In arabo e inglese. Wasil lesse avidamente :
"Il sole brucia su una terra bruciata, ma chi si gode il sole d'Egitto a volte si scotta. E le scottature fanno male. Il primo ministro è indagato non soltanto per corruzioni, ma anche di favoreggiamento di un gruppo terroristico. Il gruppo è presidiato da niente di meno che dal generale Marway Soltan, alias Hassan Soliman. Uomo dalla doppia - anzi, tripla - vita, il generale, istruttore di subacquea e ora anche un estremista islamico, vanta un passato diviso tra studi classici e addestramenti sul campo. Brillante stratega, figlio di un soldato siriano, fin dalla tenera età è stato educato secondo principi marziali, principi questi consolidati attraverso ardenti anni di carriera militare.
Poi la svolta. Negli ultimi dieci anni più volte è riuscito a sfuggire a diversi blitz delle forze speciali: come ci sia riuscito rimane tutt'ora un mistero anche per le autorità.
Secondo alcune fonti che vedrebbero l'intervista del primo ministro Taher, si sarebbe trattato di suicidio l'attentato dello scorso 15 giugno al Cairo. Non dunque la conseguenza di un errore, come dichiarato da un'intervista che alcuni inquirenti hanno rilasciato.
Secondo altre fonti riservate, era inoltre coinvolto in una relazione con una giovane agente inviata dal governo ucraino per fare luce sulla corruzione che serpeggia ai vertici. "
Sfogliò un altro articolo, tratto da qualche specie di rumor mediorientale:
" 'Bionda, timida e insicura. L'avrebbero definita addirittura incompetente nel suo lavoro. Ma si salva perché è bella e in possesso di una forza di volontà senza pari. Perfino quasi determinata' Qualcuno in città ha il dente avvelenato riguardo la nuova fiamma del generale Soltan, una misteriosa bionda colta in atteggiamenti ambigui con il capo militare durante un incontro con i capi di stato ad un galà al Palazzo della Favorita. Sembra trattarla diversamente rispetto alle altre, ma lei non sembra conscia del suo ruolo da pedina, o forse sì?"
Wasil si portò una mano alla bocca. I suoi occhi, fissi sull'articolo, videro una fotografia in cui si riconobbe.
L'immagine, sgranata, la ritraeva ritta tra la folla nel Palazzo della Favorita, in un abito da sera rosa. Per un istante, rimase catturata dalla sua stessa bellezza, dimenticando le altre circostanze.
Ma presto la realtà la trasportò lontana dalla favola mediorientale.
Un'altro articolo riportava la fotografia del Colonnello accanto a Taher, Wasil e Soltan. A fianco dell'immagine, il titolo dell'articolo: "Una nuova regina intrattiene Solimano il Magnifico o è solo una delle tante?"
Con grande sollievo di Wasil, l'articolo sottostante era illeggibile. Strappato dalle prime righe.
Le lacrime cadevano sulla carta insieme alla leggera pioggia.
Nella sua mente, Wasil fece un replay dei ricordi: i modi decisi di Marway le riempivano il cuore d'ispirazione e godimento e, ora che non c'era più, una grande tristezza subentrò poi paralizzandole lo stomaco.
L'avevano ingaggiata come una semplice inviata, ma in realtà avrebbe dovuto indagare sulle dinamiche di Hassan Soliman.
Era proprio lui. Era lui il capo dell'organizzazione terroristica che aveva operato a Gaza, a Rafah e perfino ad Alessandria d'Egitto. Alessandria... la città che lo aveva reso così illuminato. Ma forse erano solo radiazioni. Lo aveva rintracciato, avvicinato con la scusa dell'immersione, poi successe tutto il resto. All'inizio entrambi giocavano, poi il cedimento. Di Wasil.
Sospirò: era stata troppo emotiva con lui.
Wasil si sedette sulle gradinate e si abbandonò a profondi singhiozzi.
Soltan l'aveva liberata quando ancora era un ostaggio, l'aveva portata con sè e l'aveva fatta collaborare con i suoi uomini perché lei sopravvivesse.
Se davvero era così insignificante per lui, perché l'aveva salvata?
Si era battuto per lei prima di morire durante un attacco terroristico. Forse l'amava.
O forse non accettava il fallimento.
Wasil coprì il volto bagnato di lacrime, scacciando i troppi forse senza risposta e scacciando soprattutto l'immagine dell'esplosione. Poi quell'aereo governativo atterrato in Egitto solo per lei, i suoi genitori ad accoglierla durante l'accoglienza in Ucraina, in compagnia dei capi di stato... Quanto imbarazzo.
Wasil pensò che se Soltan non avesse voluto, non sarebbe successo nulla di tutto ciò. Lei sarebbe stata giustiziata.
La pioggia si infittì, ma lei non si mosse dalla gradinata. Rimase lì, immobile, di fronte alle carte che si fondevano nella pioggia fino a diventarne parte.