Contenuti per adulti
Questo testo contiene in toto o in parte contenuti per adulti ed è pertanto è riservato a lettori che accettano di leggerli.
Lo staff declina ogni responsabilità nei confronti di coloro che si potrebbero sentire offesi o la cui sensibilità potrebbe essere urtata.
Nessuno si accorse di ciò che successe in quel mattino piovoso di un aprile altrettanto bigio.
Era una di quelle giornate iniziate per distrazione, messe in moto dal balzello di una ruota dentata troppo esuberante. Un movimento involontario scattato più per abitudine che per reale intenzionalità.
Ilario avvertiva qualcosa di strano nell’aria, ma i suoi sette anni appena compiuti non sapevano dargli un nome. Alitò le narici nel tentativo di assorbire quell’odore particolare che lo aveva sorpreso, poi si ritrovò a pensare che forse si era sbagliato. Alzò le spalle e continuò il suo tragitto lungo il bordo della statale, lo zaino in spalla quasi più grosso dell’intera sua figura.
Grigio, grigio ovunque: l’asfalto, il marciapiede, il cielo, gli edifici scrostati. Uno scudo tanto uniforme e compatto da sembrare impermeabile alla minima quantità di colore. In sottofondo, il rumore tipico della cittadina di campagna che si stava svegliando: un ovattato brusio di traffico mediamente lontano, trasportato attraverso campi e cascine, scivolato da tetti e grondaie, impolverato dalla ghiaia delle stradine sterrate. Ilario, dal canto suo, si impegnava a dare vigore a quella giornata fiacca saltellando nelle pozzanghere formatesi durante la notte. Compiva piccoli balzelli casuali, beandosi della moltitudine di schizzi che i suoi stivaletti riuscivano a sollevare, totalmente incurante della strada che scorreva, ampia, a pochi centimetri da lui.
Prima della salita che portava alla fermata del pullman, un piccolo parcheggio a pettine costeggiava la statale. Era lì che i bambini si attardavano durante i pomeriggi di ritorno da scuola, magari calciando una bottiglietta di plastica vuota o, se la lungimiranza di qualcuno lo permetteva, un vero e proprio pallone portato sin dal mattino. Ilario osservò quello spiazzo ancora vuoto e notò una gigantesca pozzanghera d’acqua con un misto di eccitazione e timore. Rifletteva tutta l’enormità del cielo, forse anche qualcosa di più. Ai suoi occhi da bambino appariva come una magia capace di incantarlo, distogliendo la sua attenzione da quella giornata cupa e senza senso.
Immobile dopo l’ultimo salto, la fronte corrucciata e lo sguardo fisso in quell’enormità color perla, nella mente di Ilario iniziò a farsi strada l’idea di sfidare la massa d’acqua stagnante. Calcolò ad occhio che vi si sarebbe immerso fino ad oltrepassare di poco la caviglia: avrebbe salvato i vestiti, ma molti schizzi sarebbero riusciti a danzare attorno a lui. L’immagine che si creò nella sua testa lo convinse a tentare l’impresa. Con un mezzo sorriso, il bambino prese un lungo respiro e scattò avanti come se qualcuno avesse liberato una molla tesa fra le proprie dita. Chiunque avesse assistito alla scena, avrebbe narrato di un piccolo razzo colorato – l’unica macchia vivace in quel paesaggio monotono – diretto a folle velocità verso il bersaglio, con uno zaino ballonzolante in groppa.
Ma non c’era nessuno in quel mattino piovoso ad osservare Ilario.
Ilario che correva fiero, i capelli al vento e le lacrime che si accumulavano ai lati degli occhi per la velocità.
Ilario che inspirava a bocca aperta, con le briciole della colazione ancora appiccicate alle labbra.
Ilario che stringeva i pugni, piegava le ginocchia, faceva forza sui muscoli delle gambe e finalmente spiccava il salto verso la pozzanghera.
Ilario che all’improvviso si metteva ad urlare, il fiato rotto per un improvviso spavento.
Ilario e il suo sguardo tutt’a un tratto ingigantito, terrorizzato.
Quell’immensità – forse sul serio profondamente infinita – inglobò il piccolo razzo come se nulla fosse. Nessuno avrebbe saputo spiegarlo: un istante prima Ilario, la sua voce e lo zaino colorato compivano un volo a campana, quello successivo non c’erano più. Anche l’eco di quel grido – un suono così straziante, ad udirsi – pareva non avesse lasciato traccia nell’atmosfera circostante, incredibilmente muta. Ilario non era sparito, semplicemente sembrava non fosse mai stato lì, come in un potente ed enigmatico scherzo della vista, un miraggio vivido e ingannevole.Il paesaggio grigio, la continuità della statale, quei palazzoni affiancati gli uni agli altri come in un’eterna sala d’attesa, loro, invece, continuarono ad esistere.
I pochi, soliti ragazzini iniziarono a radunarsi alla fermata.“Dov’è Ilario?”, chiese qualcuno.
“Sarà malato”, risposero.
“Beato lui”.
Dietro alle nuvole, proprio in quell’istante, fece timidamente capolino un debole raggio di sole.