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"Esatto, sono stato io a pianificare tutto, tesoro. Se ne stiamo parlando ora, è solo perché io ho voluto così, Olga."
Non credo alle mie orecchie.
Non può averlo detto davvero.
Lo guardo in silenzio mentre lui, ora rivolto verso di me, evita il mio contatto visivo, guardando verso il basso:
"Olga, il tuo encomio su di me e sull'addestramento ha emozionato tutti.." Una pausa. "Davvero notevole. Te lo dico sinceramente: sei brava." Segue un'altra pausa. Soliman poi continua:" Tutti erano commossi." Altra breve pausa: "Tutti...tranne me. Pensa, dopo aver letto il tuo articolo erano tutti così eccitati per me, ma quando mi hanno chiesto se tra di noi c'era del tenero, non ho risposto. Me ne sono andato."
Non so cosa rispondere. Non articolo che un'azzardo di "Mh." Mi sento contesa da mille emozioni contrastanti; avevo evitato che Soliman venisse declassato dal suo ruolo di generale a soldato semplice e lui mi ripagava in quel modo cinico.
"Sai, non sono mai stato sensibile alle parole. Che siano queste insulti o complimenti. E' indifferente."
"Non sei sensibile alle parole nonostante i tuoi studi umanistici? Curioso." Osservo io, guardandolo dritto negli occhi aguzzando lo sguardo. Mi restituisce lo sguardo di sfida, poi apre ora una busta rossa. Riconosco la busta rossa: è la busta in cui hanno raccolto il mio interrogatorio che risale a quando mi avevano assunta. Estrae un fascicolo di fogli A4. Sfoglia il fascicolo, soffermandosi su una pagina. La legge in silenzio, poi sorride. Un sorriso amaro, sarcastico; infine la reinserisce nel fascicolo. Ripone l'intero fascicolo nella busta. Poi ricomincia: "Dopo una vita di lavoro e addestramenti militari, ti passa la voglia di dar peso alle parole. Vuoi solo fatti. E la ricompensa di un duro lavoro".
Voleva i fatti?! Io gli avevo salvato il posto non facendo altro che scrivere una relazione sul suo conto! Non sapevo se provare stima per quel generale il cui grado era salvo solo per merito mio, o se odiarlo. Dentro di me, regna l'uragano.
Sospiro.
"Se la pensi così, me ne vado." E' tutto quello che riesco a dirgli.
"Allora va'." Fa eco lui. Deglutisco, afferro la busta rossa sulla scrivania di Soliman, giro le spalle e raggiungo la porta dell'ufficio. Il nodo alla gola che quasi mi blocca il respiro è nauseante.
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Sono alla soglia della porta dell'ufficio. Incontro, nel momento più sbagliato, il Colonnello, Taher, Ferrari accompagnati dalla consueta scorta. I loro sguardi cadevano prima su di me, poi su Soliman in fondo all''ufficio e infine di nuovo su di me. Capisco che hanno origliato la nostra conversazione. Due impiegate avevano gli occhi lucidi e guardavano Soliman ritto di fronte alla finestra. Le due donne lo guardavano di sottecchi bisbigliando qualcosa.
Lo sguardo del capo dei capi guardava invece lontano, imperturbabile, oltre l'orizzonte roccioso al di là del deserto.
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E così, sotto gli occhi di tutti, rimango sospesa all'ingresso dell'ufficio. Lascio cadere la busta. I fogli si sparpagliano sul pavimento in un tappeto bianco. Presa da una forza che non pensavo mi appartenesse, attraversata da una scossa di emozioni incandescenti, irrompo di nuovo in ufficio:
"Ma perché fai così, Hassan?! Dimmi, che cosa ti ho fatto di male?! Perché..." Gli sono davvero vicina. Lui non muove un ciglio. La guarda, sorride. E io lo bacio... tutto è nebuloso. Vuole divincolarsi, ma poi si rilassa. Resta. Erano soli. E il bacio che gli do non è che il primo di tanti.