La bella sigaraia

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Autore del testo brunotraven2016

Testo: La bella sigaraia
di brunotraven2016

L’odore del tabacco mi resta addosso così tenacemente che, per quanto usi il sapone, non riesco a togliermelo. Ma devo convivere anche con altro, oltre a quell’odore che impregna ogni cosa del luogo in cui trascorro dieci ore della mia vita. Ogni mattina, entrando nell’emporio di Anderson e prendendo posto alla mia postazione di lavoro, provo la stessa sensazione: un misto di orgoglio per ciò che faccio ma anche un senso di claustrofobia. Le pareti di legno scuro, le scatole allineate come soldatini, il ticchettio regolare dell’orologio a pendolo: tutto ha un ordine. Eppure, là dietro il bancone, sento che c’è qualcosa che non mi convince del tutto: mi sento osservata. Avverto su di me lo sguardo famelico degli uomini che entrano nel negozio, clienti abituali e no. Ma anche quello delle donne, che sospetto invidiose, perché io, e solo io, sono al centro dell’attenzione.

Naturalmente faccio finta di nulla: fa parte del mio lavoro ostentare un comportamento professionale. Un sorriso, qualche parola gentile, e poi torno a sistemare le scatole. Devo servire tutti, e a tutti riservare lo stesso trattamento: sia alla persona educata che mi saluta con un:
“Buongiorno, signorina, potrei…”, sia al burbero signorotto di campagna che entra senza salutare e dice soltanto, “Dammi quei sigari là”. Ho a che fare con una clientela variegata, ma mantengo sempre lo stesso atteggiamento.

Anzi, ci metto del mio, perché mi piace questo lavoro.
Il gesto delle mani nel riporre i sigari nelle scatole ordinate, la grazia con cui li porgo al cliente, mi danno sicurezza, ma anche piacere: è un modo per tenere lontani i pensieri molesti, e anche la curiosità degli altri. Quella mattina la luce filtrava attraverso il vetro della finestra. Alzai gli occhi e lo vidi. Un uomo magro, dal viso pallido, mi fissava insistentemente da quando aveva varcato la soglia dell’emporio. Non era come gli altri, lo sentii subito, come per un sesto senso. Sembrava più fine, più distinto rispetto ai soliti clienti rozzi e volgari che affollano di solito questo posto.

Lo guardai avvicinarsi, e le prime impressioni si confermarono, anche se i suoi abiti non erano eleganti: indossava un completo scuro, quasi nero, con giacca lunga e redingote proprio come un borghese. Quello stile gli dava un’aria austera, raffinata.
Ma la giacca era lisa, sfilacciata ai gomiti, me ne accorsi appena si avvicinò al mio banco.


Mi sentii colpito dalla sua bellezza non appena misi piede in quel negozio sulla Broadway, quel gigantesco emporio di tabacchi di un certo Anderson.

Non appena la vidi rimasi esterrefatto: era una bellezza che sembrava rilucere come marmo, un marmo pulsante di vita. Sentii immediatamente il desiderio di toccarla, di accertarmi che sotto quella superficie ci fosse carne, calore.

Tutte le modulazioni della grazia umana sembravano racchiuse in lei.

Non riuscivo quindi a spiegarmi una sorta di inquietudine che mi suscitava quando la guardavo. Da giorni passavo davanti a quell’emporio fingendo indifferenza. Ma quella mattina entrai.

Lei sollevò lo sguardo verso di me.

Signore, preferisce un sigaro dolce o forte?»

La voce era chiara, leggermente velata da una malinconia.

Forse erano quegli occhi grigio-azzurri che erano dei laghi di infinita bellezza ma anche di tristezza.
«Forte», risposi, tanto per dire qualcosa.

Presi nota sul mio taccuino:

“C’è nella giovane sigaraia una malinconia particolare. È la stessa di cui ho cantato nella mia poesia:

Ad Annabel Lee…”

Non mi resi conto che avevo cominciato a declamare quella poesia a voce alta.
“Scusi, non ho capito quello che ha detto… ha detto?”
“…uscì un gran vento da una nuvola e raggelò la mia bella Annabel Lee… No, nulla, mi dia pure quel sigaro Richmond forte.”

Mentre pagavo il sigaro e stavo uscendo dal negozio, ripensai a quell’incontro, come vi ripensai per tutta la settimana, e per quella successiva, e fino al prossimo incontro.
Ormai ero stregato. Meditai: non era amore, né desiderio. Era la sensazione che il sogno avesse preso forma. Il sogno di cui avevo cantato la poesia in tanti miei versi: la bellezza che credevo possibile solo nell’immaginazione ora viveva davanti a me, in una ragazza che vendeva sigari.


Da qualche tempo quell’uomo tornava spesso. Parlava poco, ma i suoi occhi dicevano più di qualunque parola. Non sapevo se temerlo o compatirlo. Avevo sentito dire che scriveva storie strane e che viveva quasi senza soldi.
Pensavo a lui, a volte, la sera, quando spegnevo la candela e restavo ad ascoltare il fiume. Il rumore dell’acqua mi calmava. Mi pareva che tutto scorresse verso un punto lontano, dove nessuno poteva seguirmi.

Quella domenica decisi di uscire sola.

«Vado da zia», dissi a mia madre. Ma non ne avevo alcuna intenzione.
Volevo camminare, respirare, vedere il fiume da vicino. Il cielo era pesante, e la città pareva sospesa. Mentre lasciavo Broadway, sentii le prime gocce di pioggia.


La notizia arrivò come un temporale in un cielo sereno: la bella dei sigari è scomparsa.
Per un istante provai fastidio, non per lei, ma per la prevedibilità della tragedia.
Ero sicuro che sarebbe successo qualcosa e qualcosa di grosso, ne ebbi la sensazione quando la vidi per la prima volta. La bellezza non può essere disgiunta da sorella morte, l’ho scritto tante volte nelle mie poesie e per me è un assioma inscalfibile. Ed infatti è quello che è successo.

“È accaduto davvero,” esclamai ad alta voce. Qualche passante mi guardò in modo strano.
Annotai nel mio taccuino:

“Le storie non salvano nessuno, ma possono dare un nome a quella perdita.”

Lessi e rilessi l’articolo del Sun:

MISTERO A NEW YORK! LA BELLA MARY SCOMPARSA NEL NULLA!
Panico, intrighi e biglietti misteriosi dietro la sparizione della ragazza più ammirata della città
NEW YORK, 20 Luglio 1841

La città intera trattiene il respiro. Un biglietto enigmatico — trovato tra gli effetti personali della giovane — scatena il delirio sui giornali. Il “New York Commercial Advertiser” grida al dramma, mentre il “Sun” e il “Courier and Enquirer” alimentano le speculazioni: fuga d’amore? Rapimento? O qualcosa di peggio?

 

Le teorie si moltiplicano. Qualcuno giura di averla vista salire su una carrozza diretta verso l’Hudson, altri parlano di una lettera d’addio. Intanto, la città impazzisce: Mary diventa il mistero più chiacchierato d’America.

Ma — colpo di scena! — dopo giorni di panico, Mary ricompare come se nulla fosse, spiegando di essere semplicemente andata a Brooklyn per visitare un’amica. Il famigerato biglietto? Una burla di un conoscente troppo spiritoso!

Eppure, la faccenda non si chiude qui. L’opinione pubblica, indignata, punta il dito contro il signor Anderson e contro la stampa stessa: si accusa il negoziante di aver soffiato sul fuoco dello scandalo per attirare clienti e i giornali di aver inventato un dramma per vendere copie.

Ironia della sorte, l’effetto è proprio quello: il negozio di Anderson diventa la meta più affollata di New York, e la bella Mary Rogers — tornata al bancone col suo sorriso enigmatico — è ormai una leggenda vivente della città.

Ecco come si fanno i soldi, esclamai.

“Il Sun, che giornalaccio! Tre anni fa avvallò anche la bufala della Luna, e quel maledetto Richard Locke che ha plagiato la mia storia di Hans Pfall che avevo pubblicato prima dei suoi articoli sugli esseri lunari… Dovrebbero chiudere questi giornali per offesa alla decenza intellettuale!”

Ero felice di essermi sbagliato.

Ma purtroppo qualche giorno dopo mi accorsi di essermi sbagliato un’altra volta, leggendo sullo stesso odiato giornale:

 

ORRORE SUL FIUME HUDSON!

Il terribile assassinio della bella Mary Rogers sconvolge New York!
New York, 25 luglio 1841

Una tranquilla e luminosa domenica d’estate si è tinta del colore del sangue. La giovane e graziosa Mary Rogers, nota in città per il suo sorriso dolce e i suoi modi gentili, è scomparsa nel nulla dopo essere uscita di casa quella mattina. Aveva detto al fidanzato che sarebbe andata a far visita alla zia, Miss Downing. Nessuno avrebbe immaginato che quella passeggiata sarebbe stata l’ultima della sua vita.

Tre giorni di angoscia e attesa… poi, l’orrenda scoperta!

Il corpo di Mary è stato ritrovato lungo le sponde del fiume Hudson, privo di vita, abbandonato alle acque e alla pietà degli sguardi attoniti. Il volto, un tempo radioso, era ora offuscato da una maschera di sangue, e i suoi occhi, già chiusi per sempre, sembravano ancora chiedere giustizia.

Il Il referto del coroner non lascia dubbi: non si trattò di annegamento! Nessuna traccia di bava alla bocca, nessun segno delle classiche discolorazioni. Al contrario, tutto nel corpo di Mary parla di violenza, di lotta, di un crudele supplizio. Le braccia rigide, piegate sul petto; la mano destra serrata in un pugno rattrappito; la sinistra semiaperta, come in un estremo gesto di difesa.

Ma i dettagli più orribili si trovano nei segni lasciati dalla corda:

Sul polso sinistro, due profonde escoriazioni circolari; il destro, scorticato; la schiena, livida, graffiata, piagata. E il collo… oh, il collo di quella povera creatura!

Un merletto vi era stato stretto con tale ferocia da scomparire nella carne, legato da un nodo serrato sotto l’orecchio sinistro, un nodo tanto spietato da strappare via la vita stessa.

Gli abiti di Mary, lacerati e sconciati, raccontano da soli l’inumana brutalità del gesto: la sottogonna di fine mussola strappata, avvolta intorno alla vita e fissata alla schiena con un cappio. Un’altra fascia, più larga, stretta al collo con un nodo complicato, simile a quelli usati dai marinai. Tutto lascia pensare a un delitto calcolato, feroce, perverso.

Chi poteva odiare tanto una donna amata e rispettata da tutti?

Quale mano vile ha osato spegnere tanta grazia e giovinezza?

La città intera è sconvolta, le strade mormorano, i giornali brulicano di sospetti: si parla di un amante respinto, di una vendetta, di un oscuro segreto.

Continuo a leggere:

NUOVE RIVELAZIONI SUL CASO MARY ROGERS!

La testimone della taverna parla: grida nella notte e un uomo dalla pelle scura scompaiono con la vittima!
La città non trova pace. Dopo il ritrovamento del corpo di Mary Rogers, la bella sigaraia del New Jersey, nuove e inquietanti testimonianze gettano ulteriore ombra su un delitto già avvolto nel mistero.

Una locandiera, Madame, proprietaria di una taverna nei pressi del fiume, ha dichiarato di aver visto Mary la sera stessa della scomparsa, in compagnia di un uomo dalla pelle scura. I due, racconta la donna, si sarebbero fermati per breve tempo alla locanda, bevendo una limonata, per poi incamminarsi verso la boscaglia che costeggia il fiume.

Madame non è la sola a dirlo. Anche Friedrich Loss, oste di un’altra taverna poco distante, sostiene di aver notato Mary con un uomo dall’aspetto simile, quella stessa sera del 25 luglio, il giorno maledetto della sua sparizione.

Entrambi i testimoni concordano: la giovane sembrava tranquilla, ma il suo accompagnatore aveva un’aria enigmatica, quasi inquietante.

Ma ecco il dettaglio che ha gelato il sangue a chiunque lo abbia udito: nel cuore della notte, Madame racconta di aver sentito delle grida provenire dal bosco. Urla femminili, disperate, laceranti, che si levarono per qualche istante e poi svanirono nel silenzio più cupo.

All’epoca, la donna non aveva osato uscire. Ma quando, pochi giorni dopo, si diffuse la notizia della scomparsa di Mary Rogers, il collegamento le apparve inevitabile.

Il destino volle che, alcune settimane più tardi, i figli della stessa Madame rinvenissero in quel medesimo luogo alcuni capi d’abbigliamento femminili: frammenti di stoffa, un corsetto, un fazzoletto, tutto riconducibile alla giovane vittima.

La voce di un branco di malviventi, forse una banda di criminali che si aggirava nei dintorni, comincia così a farsi strada. Si mormora che Mary sia stata attirata in un’imboscata, che il suo misterioso accompagnatore fosse in realtà uno dei suoi carnefici, e che la povera ragazza sia caduta vittima di un atto di brutale violenza collettiva.

La teoria della banda criminale appare la più accreditata: dopotutto, non sarebbe la prima volta che una donna sola venga aggredita nei dintorni del fiume Hudson.

Eppure, chi studia più a fondo il caso sospetta che le apparenze ingannino.

Ma c’è qualcosa che non convince, e sarà da qui che partirà il mio racconto. Sì, ci sono:
“Il caso è molto più complicato di quanto sembri, e differisce in un punto essenziale da qualunque altro delitto.”

Una frase che fa sentire che c’è qualcosa di più profondo, forse un disegno più oscuro, una verità che — come il fiume Hudson — scorre silenziosa, profonda e ancora inesplorata.

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Il corpo ritrovato… sì, dicono che sia quello di Mary. Ma su quali basi? Sulla sola coincidenza del tempo, nient’altro. La mente razionale non può accettare una tale coincidenza, il fortuito è bandito per definizione dal ragionamento logico-deduttivo.

Analizziamo.
La ragazza scompare, e in un intervallo sorprendentemente breve, un corpo riaffiora. Troppo breve, dicono gli esperti, troppo breve per la natura dei processi che seguono la morte violenta.
Se la giovane fosse stata seviziata, uccisa, e gettata in acqua subito dopo, il corpo avrebbe dovuto affondare, rimanere nascosto per giorni, forse per settimane, prima di essere restituito alla superficie.

Eppure, eccolo lì, dopo uno, due, forse tre giorni soltanto. I giornalisti ne fanno una certezza: il corpo non può riemergere prima di sette, dieci, quindici giorni. Ma chi ha detto che la decomposizione segue leggi universali? Non vi è alcuna base scientifica che stabilisca tempi precisi. L’acqua, la temperatura, la costituzione della vittima: tutto varia, tutto influisce.

Mary era minuta, fragile. Un corpo così non si comporta come quello di un uomo adulto, robusto. In certi casi, un corpo immerso può non affondare affatto.

Il principio è semplice: il corpo umano galleggia, sia in acque dolci sia in acque salate, finché l’aria nei polmoni resta imprigionata.

Solo l’annegamento e dunque il respiro convulso, l’acqua che penetra e sostituisce l’aria può farlo affondare davvero.

Ma se Mary era già morta quando fu gettata in acqua, i suoi polmoni erano pieni d’aria.
In tal caso, il corpo non sarebbe mai sceso a fondo, o vi sarebbe rimasto appena.
Di conseguenza, l’intervallo tra la scomparsa e il ritrovamento non è un argomento contro l’identità della vittima, anzi è perfettamente coerente.

Il tempo, dunque, non smentisce.

È la supposizione degli uomini a essere errata: confondono la regola con l’abitudine, l’eccezione con l’impossibile.

La verità, invece, giace silenziosa sulla superficie, basta saper guardare.Inizio modulo

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Io e Charles ci eravamo spinti fino al boschetto per cercare corteccia di sassofrasso. L’aria sapeva di pioggia vecchia e di terra. Mi chinai per raccogliere qualcosa tra l’erba.
«Che roba è questa?» dissi.

Era un lembo di stoffa bianca, poi un ombrellino, poi ancora strisce di tessuto. Infine, un fazzoletto con tre lettere cucite: M.C.R. Le guardammo a lungo, quelle lettere.
Non capivamo, ma sentivamo che significavano qualcosa di terribile.
Corremmo all’osteria. La madre tacque. E quello fu come una risposta.

 

Quando lessi del fazzoletto, capii che non avrei più potuto dimenticare quella ragazza.
Forse la conoscevo appena, ma era come se la sua voce mi parlasse ancora.
Dovevo scrivere di lei — o meglio, attraverso di lei.

Trasportai la finzione del mio racconto a Parigi: la sigaraia della realtà divenne una profumaia, e la chiamai Marie Rogêt. La sua morte divenne un enigma per la mente del mio investigatore Dupin. Annotai l’ultima frase nel mio taccuino:

“Ella è andata, e il suo sorriso vive ora solo con me, tra le ombre della mia mente.
Ma non v’è morte per ciò che fu veramente bello.”

Ripensai agli elementi che avevo a disposizione.

… ogni elemento parla, ogni dettaglio sembra costruito con deliberata intenzione, eppure… eppure i rami spezzati, sparsi a terra, urlano una lotta, una resistenza. Sarebbe logico aspettarsi caos totale, brandelli ovunque, l’abito stracciato sparso in disordine. E invece no: i frammenti sono raccolti, quasi ordinati, appoggiati sulla panca o impigliati ai rovi. Non un incidente della natura, non un caso. Qualcuno li ha collocati così, deliberatamente. Le mani che hanno strappato quei brandelli… sono mani umane. Non il vento, non il caso.

E gli investigatori parlano di segni di lotta — ma segni reali? Un ragazzo, giovane, in buona salute, avrebbe potuto resistere, opporsi, lottare contro più aggressori contemporaneamente, con tale foga da lasciare tracce simili? La mente razionale dubita. L’ipotesi di più complici vacilla davanti alla logica: un solo uomo, forse, mosso da paura e disperazione, capace di tanto orrore.

Immagino l’assassino — solo, con lo spettro della vittima ai piedi, il cuore in tumulto. La furia della passione svanita, lascia spazio all’orrore, alla consapevolezza del misfatto. Deve liberarsi del corpo, trascinarlo verso il fiume, forse utilizzando una barca, ma l’angoscia raddoppia ad ogni passo. Ogni rumore, ogni luce della città, diventa presagio, minaccia, sussurro del destino che lo segue. La paura lo guida, il panico lo avvolge, ma alla fine raggiunge la riva, si libera del peso, ritorna all’ombra, abbandonando tutto ciò che testimonia la sua colpa.

E qui la mente dell’investigatore, si ferma a osservare. Gli abiti disposti con precisione… chi li ha messi così? L’assassino stesso? Oppure un’illusione, un inganno orchestrato per far credere a una banda? Le teorie abbondano: un accompagnatore misterioso, figli di ignoti delinquenti, persino suggestioni sovrannaturali. Eppure nulla, nulla di certo. Solo indizi, solo sospetti, solo il corpo silenzioso che non riposa, che continua a parlare.

Mary Rogers… osservata l’ultima volta nella direzione di Hoboken, con un conoscente dalla pelle scura, forse abbronzata, forse ignara del destino che l’attendeva. La stampa, i testimoni, gli spiritisti… tutti contribuiscono a tessere il mistero, a intrecciare fatti, supposizioni, superstizioni. Nessuna giustizia, nessun colpevole. Solo un corpo che, come in vita, non trova pace, e uno spettro che percorre un circolo infinito: sempre allo stesso punto, sempre inseguito, sempre sfuggente, mentre la follia e l’orrore continuano ad animare la vicenda.

E io rimango a osservare, dedurre, soppesare: ogni brandello, ogni passo, ogni segnale, ogni sospetto… tutto ha senso solo se visto attraverso la lente della logica, ma anche la logica deve ammettere il tremore della paura, l’ombra dell’angoscia, e il perpetuo mistero che circonda Mary Rogers.

    

 

 

La bella sigaraia testo di brunotraven2016
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