Digitus Dei

scritto da Rubrus
Scritto 2 anni fa • Pubblicato Un anno fa • Revisionato Un anno fa
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Autore del testo Rubrus

Testo: Digitus Dei
di Rubrus

“Chiudo, sta arrivando un temporale” aveva detto il cameriere. Non “Le spiace se chiudo?” oppure “Posso chiudere?” o altre formule di cortesia. Aveva enunciato un fatto, come se non ci fosse bisogno di essere cortesi, con Buddy. O, peggio ancora, Buddy fosse troppo stupido per capire che cosa si accingesse a fare il cameriere dopo aver afferrato con una mano l'asta dell'ombrellone e, con l'altra, le stecche che sorreggevano la tela.
Ma il temporale non era arrivato.
All'ultimo secondo, il vento aveva cambiato direzione, come se Eolo si fosse accorto di aver lasciato acceso il gas, e ora un sole feroce e umidiccio martellava il dehor.
Buddy si schermò gli occhi con una mano.
Il cameriere (un giovane che si notava solo per un foruncolo sul naso) non era tornato e la luce, amplificata dal riverbero plastico del tavolino, lo colpiva in faccia.
Non avrebbe dovuto trovarsi lì.
Miriam era in ritardo di quasi un'ora.
Prima di sposarla, Buddy pensava che fosse normale che lui aspettasse lei per un quarto d'ora. Era cavalleria, e tanti saluti alla parità dei sessi.
Miriam, però, era solita ritardare mezz'ora. Poco a poco, Buddy si era convinto che fosse normale. Probabilmente, si era detto, la capacità di attesa aveva a che fare con l'amore e, occhio e croce, quello era un concetto molto più veritiero degli sproloqui dei poeti sull'argomento.
Con questa convinzione, l'aveva sposata. Dopo il matrimonio, però, i ritardi di Miriam avevano continuato ad allungarsi.
Non dovresti rimuginarci. Siete in vacanza – pensò.
Giusto. In vacanza si supponeva che uno potesse prendersela comoda e fare quello che, normalmente, non gli era consentito.
Per esempio, assistere alla corsa di Go Kart sul lungomare.
Ora: Buddy non aveva tutta questa passione per i Go Kart, né per il lungomare. E, per dirla tutta, nemmeno per il mare. Preferiva la montagna, lui. Solo che Miriam la riteneva roba per borghesi in pensione. Ci sarebbero andati quando fossero stati vecchi, diceva, e lei non si sentiva vecchia. Quanto a Buddy, non era necessario rendere espliciti i propri pensieri.
I Go Kart erano un ripiego, ammise con se stesso Buddy mentre consultava l'orologio. Erano un po' la versione riveduta e corretta delle automobiline con cui si divertiva da bambino e, se questa attrattiva per un divertimento infantile, quantunque aggiornato, era il sintomo della regressione che spesso si accompagna al rimbambimento senile, pazienza.
Tanto non ci sarebbe andato, alla corsa, concluse schermandosi di nuovo gli occhi (si era spostato, ma il sole aveva continuato a seguirlo, come un cecchino che ha scelto il bersaglio).
Essendo in ritardo di un'ora, Miriam lo avrebbe trascinato a fare shopping, poi sarebbero andati a cena, poi... “oh si è fatto tardi, mi sa che ti sei già perso metà di quella gara, ma pensandoci bene non riesco a capire come faccia a piacerti quella roba”.
Controllò il cellulare. Forse, si disse, era il caso di chiamare Miriam per vedere se le fosse successo qualcosa. Forse, soggiunse, era il caso di chiedersi come mai non l'avesse chiamata prima e se, per caso, anche questo non avesse a che fare con l'amore... ma era una domanda senza senso. Miram non era il tipo di persona cui succede qualcosa, quanto piuttosto il tipo che fa succedere qualcosa.
E infatti eccola lì, avvicinarsi controluce, il passo marziale di chi non soffre il caldo (“non ha senso lamentarsi per il caldo, Buddy: siamo al mare, è normale che faccia caldo, possibile che tu non lo capisca?”) e, a tracolla, la borsa più capiente a disposizione.
Buddy ne inquadrò la silhouette nel riverbero abbacinante del tardo pomeriggio, ma, anziché proteggersi gli occhi  ne chiuse uno, alzò la mano destra a pugno, sollevò il pollice e lo mosse come un pittore da strapazzo fino a coprire la sagoma di sua moglie facendola scomparire dal campo visivo.
«Ciao ciao» disse aprendo e chiudendo due volte la mano sinistra, rimasta sotto il tavolo.
Quando spostò il pollice, Miriam non c'era più.
Buddy balzò in piedi, gli occhi spalancati.
La sedia si rovesciò e il cameriere, che stava riaprendo gli ombrelloni, gli scoccò un'occhiata di rimprovero.
Meccanicamente, Buddy la raccolse, lo sguardo fisso nel punto dove si trovava sua moglie un secondo prima.
Scomparsa.
Svanita.
Sparita.
Dissolta.
Puff.
Si lasciò ricadere. Rivoli di sudore freddo come acqua di fusione gli scorrevano lunga la schiena. Provò a deglutire, riuscendoci solo al terzo tentativo.
La via era sempre la stessa. Lo stesso sole feroce, le stesse case, le stesse palme, le stesse persone a piedi o in bicicletta, le stesse auto parcheggiate a contendersi l'esigua striscia d'ombra proiettata dai palazzi.
Ma Miriam... no.
Ho avuto un'allucinazione.
Era così, senz'altro. Il caldo, quel maledetto sole a martello sulla sua testa (“possibile che tu non riesca a metterti un cappello che non ti fa sembrare un deficiente?”). Era stata solo un'illusione ottica, un miraggio.
Il cameriere raggiunse il tavolino dove sedeva Buddy e gli rivolse uno sguardo interrogativo. Il signore desiderava qualcosa? Lui rispose con un gemito inarticolato.
Cercò il fazzoletto per detergersi il sudore, non lo trovò e si arrangiò con un tovagliolo di carta.
Il cameriere se ne andò con aria schifata.
Ma sì, un'illusione ottica. Magari aveva scambiato la sagoma di una passante per quella di Miriam. Davvero? Non c'era nessuno, in quel nel punto fino a poco prima... ok, anche se fosse stata una allucinazione, non sarebbe stato tanto grave. O forse sì. Ma sarebbe stato possibile. Che sua moglie fosse scomparsa nel nulla, invece...
Si accorse di stringere ancora il tovagliolo e lo posò sul tavolo, accanto al cellulare.
Il telefonino, giusto. Allungò la mano e lo afferrò. Il display, con l'ora impressa in saldi, esatti caratteri digitali, lo rincuorò.
Capita. Un black out mentale. O un burn out. O come diavolo si chiama.
Un'ora e venti di ritardo. Forse era il caso di fare quella telefonata. Magari era davvero successo qualcosa. Ma non a lei.
“Oh, basta” disse a mezza voce. Era solo... ma sì, anche se fosse stato un lieve attacco di follia? A chi non capitava? Anzi, considerato il fatto che viveva con Miriam, era straordinario che non gli fosse successo prima.
Con un risolino isterico, aprì la rubrica.
Il nome di sua moglie era scomparso.
Stavolta Buddy non riuscì a trattenere il grido. Una grassona in abito stampato che passava lì accanto si girò con un sobbalzo.
Ok. Sei ufficialmente impazzito– disse una voce nella sua testa.
Subito, un'altra, quella che sperava essere la voce della ragione, la rimbeccò. Calma, amico, calma. Ti dico io che cosa è successo. Il pilota che hai nel cervello è uscito dalla cabina per farsi un goccio e, per un attimo, il comando è stato preso dal suo secondo. Casomai non lo sapessi, il secondo e il primo pilota non vanno molto d'accordo. Il secondo è un tipo poco raccomandabile. Ha preso il controllo per un po' e ha fatto quello che il primo pilota non gli permette e che lui ha sempre desiderato: ha tolto di mezzo Miriam. Simbolicamente, ovvio. Cancellandola dal cellulare.
Ok, la tiritera non escludeva l'ipotesi “pazzia”, ma nemmeno quella “può essere”.
Osservò di nuovo la strada. Era una via lunga e diritta, e, nel raggio di un centinaio di metri, c'era almeno una dozzina di persone. Nessuno poteva scomparire nel nulla senza che gli altri se ne accorgessero. Anzi, nessuno poteva scomparire nel nulla comunque. Perfino David Copperfield usava trucchi. E David Copperfield non si vedeva in giro.
«Mi perdoni, signore, ma è qui da più di un'ora, ormai, e ha consumato solo un caffè, perciò...».
Stavolta non c'era una nota di rimprovero nella voce del cameriere, ma un'orchestra intera. Persino il brufolo che gli cresceva sul naso pareva puntato verso Buddy come un dito ammonitore.
Buddy, balbettò mise mano al portafogli. «Un... un...» un ricovero urgente nel più vicino ospedale? No, quello mi sa che non ce l'avevano «Un altro caffè» disse alla fine. Il ragazzo si allontanò, preceduto dal foruncolo.
Buddy fece per rimettere in tasca il portafogli e, all'ultimo secondo, si bloccò.
No, non poteva fare quello che gli era appena venuto in mente. Era l'equivalente di un biglietto di sola andata per la zona ai confini della realtà, come si sarebbe espressa la vecchia serie TV. D'altro canto, l'idea che gli era venuta (forse il primo e il secondo pilota si stavano prendendo a cazzotti, lassù in cabina?) era essa stessa dannatamente pericolosa. Tanto per rimanere in metafora, come una bomba che sarebbe scoppiata qualunque dei due piloti fosse uscito vincitore. L'unico modo di cavarsela era buttarsi giù e sperare che il paracadute si aprisse.
Lentamente, Buddy frugò nel portafogli fino a trovare la foto del matrimonio. Ne teneva sempre una copia per evitare che Miriam lo accusasse di non dare adeguata importanza al più importante evento della loro vita.
La estrasse.
Ritraeva Buddy sul sagrato della chiesetta in stile gotico.
Solo.
Buddy non urlò. Non cadde dalla sedia. Non chiamò neppure un'ambulanza.
Semplicemente – e senza sentire voci aliene nella testa, come se i due piloti fossero ammutoliti (magari perchè l'aereo si era schiantato) – sollevò la mano destra, chiuse un occhio, alzò il pollice e iniziò a muoverlo, allineandolo contro ora questo ora quell'oggetto nel suo campo visivo: il posacenere, un bicchiere, una sedia...
Fu preso da una strana, fredda esultanza di cui si stupì solo vagamente. Gli pareva di essere un cecchino. Uno di quei fenomeni capaci, come si diceva nei film di quart'ordine, “di centrare l'occhio di una mosca a cento metri di distanza”. O come...
Digitus Dei.
A parlare era stata un'altra voce nella testa che non aveva nulla a che spartire con quelle di prima.
Aveva un timbro baritonale, ieratico. Gli ricordava la voce del vecchio Padre Mc Pherson, alla Chiesa Congregazionista che frequentava da ragazzo, quello che usava il latino come un semaforo per dire ai fedeli “attenzione che ora arriva qualcosa di forte”.
Si guardò il pollice. Sembrava il solito vecchio pollice attaccato alla solita vecchia mano. Però.
Digitus Dei. Il Dito di Dio.
«Il signore desidera?».
Mister Foruncolo era in piedi davanti a lui. Gli occhi non erano puntati su Buddy, ma sul caffè, freddo, in mezzo al tavolo.
Buddy avvertì un sordo brontolio rugliare in qualche parte del petto.
Non l'aveva chiamato “Signore”. Non aveva usato la maiuscola. Non sapeva...
«Il conto» disse accorgendosi di non avere aggiunto “per favore” e scoprendo che gli era riuscito sorprendentemente facile.
Il cameriere fece un balzo all'indietro. Piccolo, ma lo fece. Poi si allontanò con maggiore celerità di quanto avesse usato fino a quel momento.
Piano piano, Buddy puntò il pollice (cecchino? Oh no, era molto più che un cecchino) contro la schiena del ragazzo.
La sagoma scomparve, apparve, scomparve di nuovo.
Fece “ciao ciao” con l'altra mano.
Quando spostò il pollice il ragazzo era scomparso.
Il vecchio Buddy sarebbe svenuto, o avrebbe urlato, o tutt'e due le cose insieme.
Il nuovo Buddy si concesse un lungo, radioso sorriso e incedette tra i tavoli dirigendosi alla cassa con quella che gli pareva un'andatura maestosa.
«Ho chiesto il conto al vostro cameriere, il ragazzo col foruncolo» disse.
La giovane al registratore lo guardò stranita. Il cliente ha sempre ragione, anche quando è pazzo le era scritto in faccia. E più sotto, in piccolo: specialmente se è un pazzo pericoloso.
«Non abbiamo nessun...».
«Questo vuol dire che non devo pagare il conto?».
La ragazza batté velocemente sulla tastiera, senza controllare. È questa la faccia che si fa quando si ha paura osservò la nuova voce interiore di Buddy. No, non aveva nulla a che vedere con Padre Mc Pherson.
Buddy pagò, senza neanche aspettare il resto, e uscì, esibendosi nella sua nuova camminata autorevole, diretto alla fermata dell'autobus.
Controllò l'ora. Era tardi, ma senza Miriam tra i piedi avrebbe fatto in tempo a vedere la gara di Go Kart se...
L'autobus lo sorpassò, raggiunse la fermata, non si arrestò e proseguì.
Il brontolio sgorgò dalle profondità del petto di Buddy. Non era un ringhio, stavolta. Era un rombo. Il tremito minaccioso di un terremoto, uno di quelli grossi. Un'iraddiddio.
Il sorriso comparve di nuovo sul volto di Buddy.
Il pollice si alzò, oscurando il pullman.
E se funzionasse solo tre volte?
«Non è mica la favola di Aladino» disse senza curarsi che qualcuno potesse sentirlo.
Tuttavia, il familiare brivido gli corse lungo la schiena.
Gli tornò alla mente la scena della Bibbia in cui Dio aveva scritto sulla parete della sala reale di Babilonia. Mene Tekel Peres. Tre parole. Tre volte.
Ma lui non era Dio.
Lui era... alzò lo sguardo, come cercando la risposta nell'alto dei cieli, ma incontrò il solito sole abbagliante.
Tempo, aveva bisogno di tempo per riflettere.
Non aveva senso possedere “il dito di Dio” senza il libretto delle istruzioni.
Riprese a camminare verso la fermata dell'autobus. Il successivo sarebbe passato di lì a venti minuti e non poteva crearne uno dal nulla. Era una consapevolezza che veniva dalle stesse profondità di quel rumore minaccioso. Si accorse di avere le mani sudate e se le asciugò sui pantaloni, incontrando la nota solidità del cellulare.
Ecco, avrebbe chiamato un taxi e sarebbe andato alla gara di Go Kart. Nel frattempo, ci avrebbe pensato.
Sentendosi invadere dalla nuova, eppure già così familiare, sensazione di autorità, di sicurezza, afferrò il telefonino e compose il numero. Attese, dette l'ordine, chiuse la comunicazione, poi, pervaso da un'urgenza sconosciuta e che forse era la reazione a troppe mezz'ore spese ad aspettare, si mise a scrutare la strada, strizzando gli occhi nella luce accecante.
Il taxi comparve dopo quella che gli parve un'eternità, arrancando placido nel traffico, come se volesse irriderlo.
Potrei cancellarti dalla faccia della Terra, se solo lo volessi. D'impulso, si afferrò il polso destro, trattenendo la mano che già aveva preso a sollevarsi.
Misericordia, si disse. La misericordia di una divinità lenta all'ira.
O forse no. Forse era paura. La vecchia, cara, paura che si rifaceva viva. Eccomi qua bello. Credevi che me ne fossi andata? Oh no, ero solo in pausa sindacale. Mica puoi licenziarmi per questo. Carino il tuo nuovo dito. Perché non me lo punti contro e mi fai sparire? Come dici? Pensi di non farcela? oh...io credo che tu abbia paura di non farcela, e, credimi, so di che cosa sto parlando.
La vettura accostò. Era un vecchio modello dalla carrozzeria bianca, abbagliante. Se solo il sole non fosse stato così forte...
«Alla gara di Go – Kart». Non suonava come “segua quell'auto”, ma poteva andare. Allo stesso tempo, salì chiudendo la portiera in faccia a quel caldo nemico.
L'autista mosse appena la testa. Un rotolo di grasso sulla nuca formò una piega perplessa.
«Ora che arriviamo sarà bell'e finita» lo informò l'uomo.
«Andiamo!» strillò Buddy. Ma aveva senso che colui che possedeva il Dito di Dio si mettesse a berciare?.
Le spalle dell'uomo si alzarono formando una nuova piega di grasso che proclamava: “Sono soldi tuoi, amico” e la vettura si mosse, tranquilla, inserendosi nel flusso della circolazione.
Una fila sonnolenta di auto si frapponeva tra Buddy e la pista.
Avrebbe potuto farle sparire, certo (ne era sicuro, ormai, era tre il numero perfetto e se i segni del suo potere erano contati la somma doveva essere tre), ma ne valeva la pena?
Massì, ipotizziamo che Digitus Dei Buddy apra il traffico davanti a sé come le acque del Mar Rosso... che cosa sarebbe successo dopo? L'autista sarebbe fuggito urlando? Lui sarebbe andato alla gara? (“pensandoci bene non riesco a capire come faccia a piacerti quella roba” risuonò la voce di Miriam nella sua testa e Buddy comprese che, anche se sua moglie era stata cancellata dal Libro della Vita, dalla sua testa non se ne sarebbe andata mai).
Il conducente alzò il volume della radio e il tormentone canoro estivo risuonò dentro l'abitacolo, smorzandogli i pensieri. Già. Come si poteva cancellare un rumore?
«Traffico» disse l'autista, come se ce ne fosse bisogno. O come se Buddy fosse troppo stupido per capirlo da sé.
Per la stessa ragione, altri sono stati annichiliti pensò Buddy. Ma lui non poteva nullificare l'autista, non osava perché...
«Vado a piedi!» urlò.
L'autista girò la testa. Un elaborato intarsio di baffi, pizzetto e basette gli ornava le guance paffute.
«Vado a piedi!» strillò di nuovo Buddy – oh sì era proprio uno strillo, stavolta, anche un po' isterico.
«C'è quasi un chilometro» urlò di rimando l'uomo. Il sarcasmo nella sua voce era innegabile.
Buddy afferrò un paio di banconote e le gettò sul sedile senza curarsi dell'importo, aprì la portiera e si precipitò fuori. Un motorino che stava sopraggiungendo sulla destra e che stava per investirlo scartò all'ultimo secondo, strombazzando.
Buddy lo ignorò, scaraventandosi sul marciapiedi. Non si curò degli insulti che il motociclista gli scagliava contro, né degli sguardi dei passanti iniziando a correre mentre rivoli di sudore salato e rovente gli ruscellavano sulla faccia. Procedeva con un'andatura sbilenca, zigzagando tra tavolini, camerieri, carrozzine, bambini e turisti come uno slalomista improvvisato.
Il cuore prese a pompargli nel petto, poi, inascoltato, in gola, poi nelle tempie.
Dietro la cortina di sudore che gli offuscava la vista, vide la folla che si assiepava intorno alla piazzola dove si svolgeva la gara.
Un tale con un pacco gli si parò improvvisamente davanti. Buddy scartò, saltando sulla strada e poi di nuovo sul marciapiedi. L'uomo col pacco gli gridò dietro quello che poteva essere l'ennesimo insulto o un più articolato motto di scherno.
Buddy continuò a correre, malgrado l'acido lattico iniziasse a mordergli i muscoli, infiacchiti da troppi anni di vita sedentaria.
Avrebbe raggiunto la gara, ne era sicuro: malgrado la pista sembrasse allontanarsi – a volte ondeggiando come un miraggio tra le vampate di calore che salivano dall'asfalto – avvertiva l'odore acre della benzina e della gomma surriscaldata, misto a quello dell'olio, del grasso e del fritto che veniva dai baracchini.
Sarebbe arrivato in tempo perché aveva il Dito di Dio e non aveva senso che un uomo che possedeva il Dito di Dio non riuscisse a vedere una maledetta gara di Go Kart che, come diceva Miriam, non era che un passatempo stupido per vacanzieri ancora più stupidi.
L'avrebbe raggiunta perché, perché... aveva qualcosa da dimostrare suggerì la voce baritonale (e Buddy ebbe la sensazione di essere doppiato come gli attori nel film). La dimostrazione era appena dietro il muro umano che racchiudeva la pista e...
Un tale con vestito bianco, abbronzato come un marinaio, si scansò per evitarlo e Buddy ebbe l'impressione che gli avesse strizzato l'occhio in segno d'incoraggiamento.
Sicuro? Non indossava occhiali a specchio?.
Senza smettere di correre, Buddy si voltò... e andò a sbattere contro la schiena degli spettatori dell'ultima fila.
L'urto lo catapultò all'indietro, ma riuscì a mantenersi in piedi. Il tizio corpulento contro cui era andato a sbattere si girò di scatto, i pugni alzati. Così facendo, aprì un varco nella folla.
Trasformando il contraccolpo in slancio in avanti, Buddy si infilò nell'improvvisato pertugio.
Il tipo vibrò un cazzotto più sorpreso che convinto; Buddy sentì le nocche sfioragli la cute, poi s'infilò tra la ressa.
Lo speaker annunciò che i Go Kart avevano iniziato l'ultimo giro.
Raggiungere la prima fila – erano solo tre o quattro, ma dense, come se gli spettatori fossero i naufraghi aggrappati alla zattera della Medusa – fu una lotta breve ma intensa.
Buddy ricevette un paio di spintoni e, a un certo punto, fu quasi gettato a terra. Controllò a malapena l'impulso di usare il Dito di Dio. Alla fine – e mentre un paio di veicoli gli passava davanti in un gioioso, folle, assordante frastuono – guadagnò le transenne che delimitavano la pista.
Il terzo Go Kart sfrecciò a ruota. Nero – rosso – giallo – blu. I tuoi colori preferiti.
«Forza!» urlò a squarciagola. Non c'era bisogno di spiegare a chi fosse rivolto il grido, così come non c'era bisogno di chiedersi da dove gli venisse tutto quel fiato, dopo la corsa.
C'era e basta. Come il Dito di Dio. Come (qualcosa da dimostrare).
Vide il terzo Go Kart affiancare il secondo.
Ecco!
Questo era ciò che doveva dimostrare. Che senso aveva il Dito di Dio se il suo campione perdeva? Che senso aveva tutto se il dannato Go Kart non riusciva a vincere una maledetta, insignificante, gara del cavolo ?
«Forza!» urlò ancora Buddy saltellando in un moto di assoluto, infantile slancio.
Avvertì una puntura sotto il piede sinistro e si accorse di aver perso un mocassino nella calca. Anche i bottoni della camicia erano scomparsi e ora i lembi dell'indumento sventolavano liberi scoprendogli il ventre pallido e un po' flaccido.
«Forzaa!» strillò di nuovo e, in quella, i primi due Go Kart – o meglio, l'altro Go Kart e il suo, quello segnato col Dito di Dio, quello che doveva dimostrare qualcosa, imboccarono l'ultimo tratto.
«FORZAAA!» ruggì Buddy, la bocca spalancata, la testa contusa, gli abiti laceri e svolazzanti, un braccio appoggiato a far leva sulla traballante transenna, l'altro levato verso il sole e il cielo.
Il secondo Go Kart affiancò il primo mentre l'altoparlante annunciava che, al traguardo, mancavano duecento metri.
Venne superato.
Lo risuperò.
Passò in testa.
E sbandò.
La vetturetta variopinta (i colori, i colori di Buddy, i colori segnati col Dito di Dio) fece un paio di testa coda, eruttò fumo, ruggì, balzò da un lato, poi dall'altro, strepitò, vorticò un paio di volte su se stessa e andò a sbattere contro i copertoni di sicurezza.
Un paio di metri prima della linea di arresto.
Il primo Go Kart oltrepassò il traguardo tra le ovazioni della folla e le urla dello speaker, seguito dal terzo, ora di nuovo secondo. Poi gli altri.
Il (campione di Buddy, quello che doveva dimostrare qualcosa) scese togliendosi il casco (nero – rosso – giallo – blu, i colori di Digitus Dei Buddy) mentre la folla acclamava il vincitore. Aveva i capelli pettinati con la cresta e un viso adolescenziale. Se fosse stato più vicino, Buddy avrebbe visto guance imberbi con brufoli da teen ager.
La folla si mosse verso il traguardo, ma molti si allontanarono. La gara era finita. Era solo un divertimento estivo, destinato ad essere dimenticato prima dell'happy hour.
Buddy si abbandonò sulla transenna, le gambe dolenti per la corsa e il bernoccolo (allora il tizio lo aveva davvero colpito) che si andava gonfiando.
La calca, passandogli accanto, lo spintonava, e lui si lasciava spintonare.
Un senso.
Doveva esserci.
C'era, c'era sicuramente.
Qualcuno gli pestò il piede scalzo e proseguì.
Non poteva essere tutto lì, non poteva essere un caso.
Scorse il tizio corpulento guardarsi intorno come per cercare qualcuno, poi andarsene.
Se solo avesse potuto pensarci con calma, non in mezzo a quella massa vociante, al fresco.
Sì, se solo avesse potuto riflettere lontano da quel sole feroce che, da ore, gli martellava la testa, ostile, incessante, impietoso.
Sollevò la destra, schermandosi gli occhi.
La mano si chiuse a pugno, lasciando libero solo il pollice.
Avrebbe trovato il perché.
L'altra mano si aprì e si chiuse in un saluto. Una volta.
Se solo non ci fosse stato tutto quel sole...
Ciao ciao.

Digitus Dei testo di Rubrus
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