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Marta pensava di avere una vita normale. Lavorava in un coworking che profumava di avocado e sogni infranti, usava il termine “karma” solo per giustificare le sue vendette passive-aggressive, e possedeva un gatto chiamato Alfredo.
Ma Alfredo non era un gatto normale.
Lo capì il giorno in cui mentì al barista dicendo di essere vegana. Aveva appena ordinato un cappuccino con latte d’avena e un cornetto al prosciutto.
Tornò a casa e trovò Alfredo seduto sulla mensola, occhi socchiusi, coda che si muoveva a tempo di giudizio.
— Miao.
Ma era un miao che significava:
“Nel 1847 ero Vishnuprasad Kumar. Ti ho visto nascere. E ti vedrò reincarnarti come pidocchio da materasso IKEA se continui così.”
Alfredo era stato, in un’altra vita, un contabile indiano del XIX secolo. Poi uno scriba buddista. Poi una zanzara. Poi, misteriosamente, un manager HR. Ora era un gatto a pelo lungo con un palese disprezzo per le menzogne umane e i biscotti al tonno.
Aveva un solo compito: riequilibrare il karma. A zampate.
Ogni volta che Marta mentiva, trasgrediva, o anche solo dimenticava di restituire una penna, Alfredo la fissava. Poi, lentamente, come un giudice supremo in miniatura, le si avvicinava. E…graffio sul piede,unghia sul naso,vomito strategico sul MacBook.
Un lunedì karmico
— “Ti amo,” disse Marta al suo ragazzo, Enrico, mentre nascondeva un messaggio ricevuto da un tizio salvato come “Dentista Notturno”.
Alfredo si alzò lentamente. Scese dalla libreria. Si stiracchiò con calma millenaria. Poi si avvicinò al divano e con la precisione di un chirurgo, le mollò una zampata sul collo del piede.
— Ahi! Ma sei impazzito?
Il gatto la fissò. Nei suoi occhi: calcolo. Giudizio. Interesse composto.
Col tempo, Marta iniziò a capire il codice. Piccoli graffi = bugie bianche. Vomito = tradimento. Cacca fuori dalla lettiera = frode fiscale emotiva.
Una notte lo seguì mentre lui spariva dietro il divano e — sorpresa — entrava in un piccolo portale fatto di energia e capelli di gatto. Marta lo seguì. Errore.
Il Regno del Ribilancio
Dall’altra parte, c’era un enorme ufficio contabile fatto di nuvole, cristalli, e cuscini IKEA. Gatti ovunque. Tutti ex revisori karmici. Una scrivania recava la targhetta:“Archivio delle vite precedenti – Accesso riservato ai felini illuminati.”Alfredo le si avvicinò, indossando ora un piccolo gilet. Parlava. Italiano perfetto, accento tra Mumbai e Modena.
Marta. Benvenuta. Sei in sospeso per circa 427 debiti karmici, disse il gatto.
Bugie. Parcheggi in seconda fila. Like dati per pietà. Cappotti rubati nei locali.E quella volta che hai usato “namasté” come scusa per non rispondere a un’e-mail.
— Ma… io pensavo che il karma fosse una cosa tipo… energia? Vibrazioni?
— Sì, certo. E le tasse sono una danza interpretativa.
La Rieducazione
Per due settimane (che passarono come trentadue anni terrestri), Marta fu costretta a vivere vite alternative.
Fu una pianta grassa dimenticata sul balcone. Una di quelle borse che si rompono appena uscite dal supermercato. Un commento su Facebook ignorato da tutti.
Quando tornò nel suo corpo, Alfredo la fissava.Non c’era bisogno di parlare.
Lei gli servì salmone, meditò, e smise di dire “tutto torna”.
Epilogo
Marta ora gestisce una pagina Instagram chiamata @KarmaCatChronicles, dove condivide foto di Alfredo e storie su come ogni bugia ti fa reincarnare in un’automobilista in tangenziale alle 8:30.
Alfredo, invece, dorme. Ogni tanto graffia. E aspetta.
Perché il karma non dimentica.
E neanche i gatti.