Piromantide

scritto da Nube di Oort
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Autore del testo Nube di Oort

Testo: Piromantide
di Nube di Oort

Piromantide

                                                                1

"Sasha, imposta due timer da quindici secondi, uno di seguito all'altro".
La voce di Goran era molto calma, scandiva le parole con dizione quasi teatrale. Con Sasha bisogna far così, altrimenti non capisce.
Non era semplice, però. Non di fronte ai resti carbonizzati di quella creatura che una volta chiamava Mia Moglie, non mentre la sua casa cascava a pezzi in preda alle fiamme, non mentre i suoi occhi e polmoni e pensieri erano invasi di fumo nero e denso che cresceva e cresceva come una sorta di tumore vivente. Un tumore che riempiva inesorabile tutte le stanze, che si stava insinuando oltre la porta tagliafuoco che separava il corridoio (l'aveva progettata lui stesso! Quanto ne andava fiero) dalle camerette dei gemelli. Una all'estremità destra, l'altra a sinistra. Tempo di percorrenza stimato: trentacinque secondi al massimo. In quella frazione di secondo che aveva preceduto il messaggio per Sasha, Goran aveva avuto il tempo di farsi raggiungere da un pensiero raggelante. Era un fottuto bivio tragico, quello. Volente o nolente avrebbe dovuto scegliere una delle due direzioni, con buona probabilità di uccidere il gemello che si trovava intrappolato nell'altra. Quindici secondi in una direzione, e allo scoccare del timer voltarsi indietro ed andare nella stanza opposta, con o senza bambino. Ammesso che fossero lì, e che respirassero ancora, certo; ma queste considerazioni arrivarono solo a dado tratto e non furono altro che un blando palliativo al dolore di aver dovuto fare una scelta simile.

Sasha brillò debolmente. Lo fece, in quanto ultimo modello, sotto forma di sfera arancione. Era di un arancione leggerissimamente diverso da quello del fuoco, e Goran la riconobbe solamente per quello. Si intonava con la carta da parati che ardeva allegra, con le braci del fu-tavolo, coi piccoli residui di fiammelle vive sul volto morto di sua moglie. Erano le uniche cose che emergevano dal nero del fumo a più di un palmo di distanza.
Brillò,  e rispose quasi impassibile quanto il suo proprietario:
"Buon Pomeriggio, Goran. Timer impostati".

A queste parole, scattò. Il pullover sollevato su naso e bocca, gli occhi irritati e inondati di lacrime.
Ovviamente andò a destra. Ebbe poi modo in seguito di giustificarsi con sé stesso, di dirsi che era andato dal più piccolo e che era naturale che le cose si fossero messe così. Ikar, in effetti, era nato un paio di minuti prima del rivale.
Intimamente,però, e per ragioni inspiegabili e del tutto slegate alla crudeltà del tempo, era anche il preferito di papà.

                                                                           2

Buona parte dei primi quindici secondi a disposizione venne sprecata senza che Goran riuscisse a ricavarne granché. Era come se il fumo avesse anche ovattato voci, tracce, spento il naturale istinto di conservazione dei piccoli. Mentre frugava erratico nella cameretta sul punto di diventare rovina si rese conto che la paura lo stava abbandonando, così come la speranza e il lutto ed una buona parte di quell' indefinibile scintilla vitale che gli albergava negli occhi durante i suoi momenti migliori. Il primo timer squillò mentre si arrendeva a questo fatto, fermo e immobile di fronte ad un peluche di coniglietto flambé ed un tesoro di figurine mai più collezionabili. Fu solo con lo sguardo basso, affranto, che vide i piedini di Ikar spuntare da sotto il letto.
Nel chinarsi a prenderlo in braccio, le sue prime parole verso il suo tesoro ritrovato furono:
"Sasha, interrompi. Sasha, attacca col nuovo timer".
Questa volta dovette urlare, con tono perentorio e metallico. Sasha, dal canto suo, si limitò ad in allegro 'okay!'. Il bimbo, col viso sporco di fuliggine e i lineamenti prima paralizzati dallo choc, scoppiò in singhiozzi. Goran se ne rallegrò, perché piangere è respirare all'apice della nostra purezza.

Corse via con Ikar tenuto stretto sotto l'ascella, sapendo bene che la regola dei quindici secondi a testa era saltata. Fu all'apice di questo pensiero macabro, insopportabile, che Promethus stupì tutti loro facendo capolino da solo da camera sua. Non corse, non si disperò. Sembrava solo essere prostrato dal sonno, dal fumo, esser pieno e stufo di quella situazione come se si trattasse di una circostanza noiosissima e abituale con cui lui, bimbo di mondo, faceva fronte arrangiandosi come poteva. Il cuore di Goran nel vederlo fece una capriola. Lo prese col braccio libero e lo strinse al suo petto imbizzarrito. Era così docile, inerme, che Goran dovette concentrare tutto sé stesso per sentirne il respiro, però c'era. Aveva fatto il suo dovere.
Il secondo timer cinguettò mentre correva a perdifiato verso l'uscita di servizio. Si scoprì stranamente allegro di essere così avanti con la tabella di marcia, tanto che gli si disegnò uno strano sorriso sul volto. Si censurò subito. Si disse che si era rallegrato perché, sia lode a Dio, i piccoli non avrebbero dovuto vedere la madre in soggiorno. L'uscita d'emergenza era dal lato opposto al salotto. L'aveva disegnata lui così. Ho già detto che ne andava molto fiero?

                                                             3

La scala antincendio si snodava in larghe spire sulla facciata sud del palazzo, quella con la vista meno nobile sul notevole panorama urbano. Sul grigio, una serie di formichine al di sotto di loro percorrevano il loro stesso tragitto. Voci concitate si mischiavano a echi di sirene lontane e a veloci sferzate di vento. Goran si scoprì stranamente lucido durante la fuga. Quella discesa era il luogo liminale che congiungeva la tragedia vissuta dalla tragedia ricordata. Là sopra non era in pericolo, ma non doveva nemmeno ancora guarire dagli eventi: era la condizione ideale. Con i figli silenziosi sottobraccio, pregò che potesse in qualche modo durare in eterno.
Ma non lo fece. Al momento di metter piede sull'asfalto, sia Ikar che Promethus scoppiarono a piangere colti dallo stesso identico pensiero di loro padre. Schiaffeggiati dalla palese assenza di loro madre, ghermiti dagli sguardi di mille altri superstiti come loro, ammassati e disperati. Goran manteneva una sua triste compostezza.
Troppe sirene cantavano all'unisono. Due autopompe munite di enormi scale scaricavano cascate di acqua e polvere sulla facciata nord del palazzo. Uomini in divise di gomma lottavano contro l'entropia, correvano avanti e indietro per conservar la vita e nascondere dignitosamente la morte. Non sempre con successo. Qualche arto ustionato spuntava da sotto ai veli pietosi sopra alle barelle. Qualche urlo disperato di chi non ce l'avrebbe fatta, ma che per scherzo del destino doveva restare in vita ancora per altri orribili, inutili minuti.
Un soccorritore corse loro incontro. Goran lasciò che i bambini poggiassero i piedi a terra, e solo allora si rese conto di quanto fosse stanco. I piccoli si prestarono senza un lamento alle sue attenzioni. Un altro uomo in tuta ignifuga si rivolse al padre
-"signore, da che piano provenite?"
-"dal...ventiseiesimo" disse Goran a fatica. Lottava con la gola riarsa e con la voglia di rannicchiarsi per terra a piangere.
-"ci sono ancora persone vive al ventiseiesimo?" Incalzò il soccorotore
-"io...c'è mia moglie...ma non dovete andare. Non ha senso andare".
Mezzo secondo di pausa. La stanchezza ed il calo di adrenalina si fecero così soverchianti che per poco Goran non rischiò di perdere conoscenza.
-"c'è sua moglie al ventiseiesimo, sì o no??" Sembrò sbottare io soccorritore.
"Si, ed è MORTA, CAZZO! Cosa c'è di così difficile da capire? Morta! Non disturbarti a salire. Non ha senso...non ha alcun senso..."
Goran ringhiava, prima fino a sgolarsi e poi via via in un sussurro sempre più roco. Il soccorritore lo lasciò là sul posto, insieme con la sua rabbia, senza nessuna parola di commiato. Ikar e Promethus, invece, ancora a portata di voce, incontrarono il suo sguardo disperato con un mix di orrore e realizzazione che non avrebbe mai scordato. Quello fu il momento in cui seppe di averli persi, in cui iniziò a sentirli lontani, anche prima che il retro di una delle tante ambulanze li inghiottisse e li portasse via da lui. Ancora, senza che nessuno si degnasse di rivolgergli la parola, senza che fosse invitato a salire con loro. Una parte di lui lo trovò strano e cercò di ribellarsi, ma il grosso del suo essere lo accettò come un fatto perfettamente naturale.
Perdita, isolamento, morte. È così che stanno le cose, da sempre e per sempre. Era pervaso da una gelida serenità. Poco importava capire il perché glieli avessero portati via. A nulla sarebbe valso arrovellarsi.
Rimase per un paio di minuti così, solo e rinchiuso in una bolla in cui tutto l'orrore penetrava ma ne risultava ovattato, come irreale. Perdita, isolamento, morte. Il suo incomprensibile starsene lì, vivo ed in equilibrio sulla faccia del mondo, mentre quest'ultimo faceva delle smorfie spaventose. Si ritrovò a respirare in maniera regolare, centrata. Vivisezionò i momenti della respirazione coi suoi pensieri, o viceversa, chissà.

Inspira:Perdita
Trattieni il fiato:isolamento
Espira:Morte
Trattieni il vuoto: va tutto bene.

Era lucido. Non un segno di confusione sul suo viso quando sentì la polizia alle sue spalle arrivare e chiedergli di seguirlo, nessuna esitazione mentre due uomini in divisa lo scortavano a passo di marcia verso il grande tendone bianco delle forze dell'ordine al limitare del luogo del disastro. Nessun pensiero, nessuna anticipazione tragica sul futuro che lo attendeva vedovo e lontano dagli affetti. Nessuna domanda sul perché stesse succedendo tutto ciò.


                                                                          4

Gli misero una coperta sulle spalle, ma nessuno controllò i suoi parametri vitali. Lo condussero di fronte al tavolo di metallo del piccolo nucleo operativo improvvisato. All'altro capo del tavolo, una donna dall'aria marziale intenta a studiare un plico di carte. Tre stelle ed un'aquila in campo rosso appuntate sul petto.
Il commissario gli porse un bicchierino di carta pieno di caffè, ma non lo zucchero. Forse anche per questo, quando lei gli chiese
"Come sta?"
senza metterci alcuna traccia di empatia lui non se ne stupì. Anzi, non ci pensò un attimo a rispondere
"Bene, grazie"
Rispettando alla lettera la millenaria convenzione che voleva si facesse così. Solo allora lei alzò un sopracciglio dai fogli. Uno solo, seguito da un occhietto curioso dello stesso azzurro delle acque che provengono dai ghiacciai soggetti al disgelo.
"Bene? Davvero? Dopo tutto quello che è successo?"
Questa volta il suo tono tradiva una curiosità sincera. Curiosità e scherno.
Goran si rese conto di aver sbagliato. Non di aver torto, ma di aver proprio dato la risposta peggiore. Scavò nei meandri della sua calma alla ricerca di un'onda da cavalcare.
"Starei ancora meglio se potessi avere rassicurazione sulla salute dei miei figli". Cercò di simulare un pochino di rabbia, o forse apprensione.
Il commissario poggiò i gomiti sul tavolo ed il mento sui pugni congiunti, guardandolo come un gatto guarderebbe un topo che si è già azzoppato da solo.
"È un bene che si preoccupi per loro, finalmente. Alleluia. Un'ottima notizia."
Un'inquietudine a forma di ago si introdusse nella nuca di Goran.
"Ho saputo che ha fatto un lavoro eccezionale, con loro".
"Si...sa, faccio del mio meglio per triarli su..."
"Intendo a salvarli, mezz'oretta fa. Ricorda?"
"Io...s...sì. Certo che ricordo, purtroppo si".
"Quell'idea di impostare i due timer...molto bravo. Molto lucido. Sarebbe stato un buon soldato".
"Grazie. Ma...aspetti, come fate a ..."
"Siamo tenuti a sapere un sacco di cose, purtroppo. La maggior parte non sono così interessanti, ma questa sì. Lo è davvero".
Per il tempo di un sospiro lo sguardo del commissario vaga in giro, come a richiamare alla mente qualcosa di tenuto in uno scomparto segreto.
"Sa, io sono stata operativa sul campo in Ucraina. Ho fatto appena in tempo a sopravvivere a quel carnaio che già ero tenente nella guerra a Taiwan. Non ho mai, mai sentito una freddezza come la sua in una situazione di pericolo simile".
"Voi...mi avete sentito? Mi stavate ascoltando". Goran sembrò solo vagamente piccato.
"No, è stata Sasha a condividere la registrazione del comando che le ha impartito. Sono cose bizzarre, queste intelligenze artificiali. Lo sapeva che adesso sono in grado di analizzare lo stress emotivo nella voce dei loro padroncini?"
Un attimo di silenzio.
"Oh, mi scusi. Ma certo che lei lo sa, che domanda sciocca. Lei è architetto, no?"
Goran trangugiò il caffè ormai freddo.
"Si".
"Sia fisico che digitale, giusto?".
"È corretto".
"E l'intero palazzo qua fuori è una sua creatura, ci risulta. Dal disegno al design dei materiali. Dalla suite al ventiseiesimo dove viveva con la sua splendida moglie e i bambini all'infrastruttura software che la regola. Tutta la domotica, la sicurezza computerizzata. Roba sua".
"Si."
"E non ne va fiero?"
"Lo sono."
"Ma adesso è tutto in fumo!"
"Lo...ero".
Il commissario scosse la testa e lasciò che sibilasse una risatina carica di disprezzo.
"Pensa di aver commesso un errore?".
"No."
Suonò perentorio, definitivo.
"Pensa che qualcuno l'abbia sabotata?"
"Più probabile."
"E non muore dalla voglia di scoprire chi le ha bruciato la creazione, la casa, la moglie?"

Goran non rispose.

"Lei è bizzarro. Non mi vengono in mente parole più idonee. O forse si, me ne vengono eccome, ma non ho voglia di condividerle con lei. Anche Sasha pensa che lei sia molto insolito. Come le dicevo, e come lei ben sa, è in grado di analizzare lo stress emotivo di chi le impartisce ordini. Secondo l'apparecchio il suo era pari a zero. Nisba, non un'increspatura.
"Con Sasha bisogna scandire bene le parole, altrimenti si confonde. Avevo assoluto bisogno che capisse bene quello che le stavo chiedendo".
"Ma si, immagino. Però, vede, tra il dire e il fare, come si suol dire, c'è di mezzo un palazzo in fiamme ed il cadavere carbonizzato della propria amata."
Goran digrignò i denti. Iniziava a sudare leggermente.
"A proposito, come andavano le cose tra di voi?"
"Lo sapete già, suppongo."
"Suppone bene! Sa, Sasha ci ha tenuto a farci sapere che i momenti in cui mostrava un vero, autentico stress emotivo erano mentre vi scannavate. Anche a livello di gioia, non ha avuto da segnalarci un granché. Qualcosina mentre parla con Ikar, delle briciole al piccolo Promethus. Poco altro."
"È stato un periodo difficile. Molto stressante".
"E mi sa che non è affatto finita" replicò il commissario con un sorriso affilato. 
Si chinò di nuovo sui fogli, agitando le dita per aria come un bimbo indeciso su che dolciume pescare da una cesta di Pasqua. Lasciò cadere un indice con un secco tàc ed un sorrisetto maligno sulla prelibatezza che desiderava. Lesse da lì, con soddisfazione che via via cresceva:
“Mi stai rendendo la vita impossibile, porco cazzo. Non hai una minima idea dello stress che devo affrontare ogni giorno, delle stronzate che sono contretto a ingoiare. Sono al limite. Li odio, tutti quanti. E tutto quello che sei in grado di fare è stressarmi per metterne al mondo UN ALTRO!  Un altro che non saprà fare altro che dipendere da ME, che succhiare le MIE energie. Non ne posso più. Non sono più in grado di tollerare altre persone nella mia vita, figuriamoci metterne al mondo di nuove. Vai a fare un altro bambino con qualcun altro, e non addossarmene il peso. Tanto lo sanno tutti che ti scopi l'intero grattacielo. Vai, su divertiti".
"Mi conferma che quest sono parole sue?"
Goran non si dispiacque poi tanto. Venire smascherato in quel modo gli diede un certo conforto. Almeno, un altro essere umano totalmente estraneo ai fatti ora conosceva qualche sfumatura del suo stesso dramma. In una maniera contorta, era stato quasi come confidarsi. Non gli venne in mente l'ultima volta in cui gli era stato concesso un privilegio simile. Si sentì grato a Sasha per aver violato così brutalmente la sua privacy. Poi, ruppe il silenzio.
"Commissario, so bene che quanto ha appena letto è molto duro, e inquietante. Non nego che questa...questa oscurità che le ho vomitato addosso sia una parte importante di me, una parte alla cui cura affido tanto del mio tempo e delle mie energie. E con successo. Sono un uomo molto più calmo ora, molto migliore. Se, in quanto donna, si sente offesa dalle mie esternazioni sessisite sappia che sono offeso anche io, ora che mi sento maggiormente risvegliato. Si, per quanto me ne vergogni queste parole sono mie. Non mi è chiaro, però, che attinenza abbiano con tutto quello che è..."
"Stia zitto. Non ho finito." Prese un altro foglio, un'altra scheggia affilata di passato.
"Ho creato un palazzo belissimo e ho permesso alla merda più pura di invaderlo. Ho creato una vita bellissima per me stesso e ho permesso a te di entrarci dentro, di cagare su ogni cosa e di portare le tue stupide necessità tra le mie mura. Questa casa era un luogo semplice, una volta. Un luogo felice. L'avete corrotta voi, col vostro caos. (il Commissario procedette a recitare quanto seguiva scimmiottando piuttosto bene la voce dell'interrogato.)
Goran, il mio appartamento ha l'angolo living meno bello di quello dei Romulov, perchè la mia vita è così ingiusta!? Goran, il mio assistente vocale non riesce a consolarmi quando mi sale la depressione, perchè non sei stato in grado di progettarlo meglio? Goran, ho visto che le ultime toliette giapponesi hanno molte più funzionalità di questi stupidi catorci da trecentomila rubli che ci hai installato, perchè sei tanto stupido? Goran, ti va di giocare con me? Goran, mi aiuti a fare i compiti di algebra? Goran, perchè non mi guardi più? Non mi fai sentire abbastanza donna, Goran. Che ne è dei miei sogni, Goran?
Te lo caccio in gola a forza il mio nome, se lo pronunci un'altra volta"
Questa volta l'uomo non rispose, e nemmeno pensò. Ricordava ogni dettaglio di quello screzio, anzi di tutta quella montagna di episodi che affollavano la scrivania. 
"Insomma, Goran, se proprio voleva così tanto male al resto del mondo poteva andarsene a vivere in una capanna in Siberia. Non era necessario fare una strage."
"Che..cosa? No, io non ho fatto nulla del genere". Suonò falso, artificioso.
"Abbiamo ottime ragioni di credere il contrario. Sasha ci ha fatto sapere che negli ultimi mesi ha via via asciugato i suoi toni, anzi ha comiciato a mostrare quello stesso gelo che ha mostrato poco fa prima di fuggire dal palazzo in fiamme. La stessa risoluzione omicida. Deve aver pianificato bene e a lungo, affinchè non risalissimo a lei. Mi dica la verità, il salvataggio di Ikar e Promethus fa parte del suo piano diabolico o è stato una sorta di pentimento dell'ultimo istante? Mi racconti, sono curiosa".
Contrastò con respiri calmi e regolari il martellare del cuore nel suo petto. Lasciò che l'istinto di afferrare la testa della donna e spaccarla contro la scrivania lo attraversasse senza reagire ad esso. 
"Io sono innocente. Ho salvato i miei bambini perchè li amo, perdutamente. Mi dispiace non essere riuscito a fare lo stesso con mia moglie, anche se non la amavo più da tanto tempo. Per tutte le altre persone che ho offeso, denigrato, che ho.., che sono morte oggi, il mio cuore piange. Ma no, non ne sono io la causa. Se sono così calmo è solo perchè..."
Quando sentì il metallo gelido delle manette cingergli i polsi si fermò di soprassalto. Poi, riprese il controllo del suo respiro.
Inspira:Perdita
Trattieni il fiato:isolamento
Espira:Morte
Trattieni il vuoto: va tutto bene.

"E' perché pratico meditazione regolarmente. Mi ha aperto gli occhi, mi ha salvato la vita. Dovete credermi, è così. Sto molto meglio ora. Ve lo dimostrerò. Non temo la legge degli uomini."
"Portate via questo sacco di merda, lontano dalla mia vista", replicò il commissario.

                                                                       5

Ammirate: ecco l'uomo che da solo strizza il cuore di un'intera nazione in una gelida morsa. Durante il processo lo tengono in una gabbia di plexiglass, come i criminali di guerra della Seconda e i serial killer. Proprio stamattina il numero delle vittime ufficiali è salito a centocinquanta; un buon numero per rimanere saldamente a cavallo tra le due categorie. Mentre i dotti dibattono, l'imputato se ne sta seduto a gambe incrociate e con gli occhi chiusi, nella posa che i simpatizzanti dell'esoterismo in salsa mao-mao sostengano essere quella del Loto. E' da questa buffa abitudine che ha preso il suo nickname giornalistico: L'Assassino del Loto. Il Vedovo Nero e l'Architetto Piromane non hanno mai scaldato il cuore degli ascoltatori. Guardatelo, come sembra essere distante, alieno a tutto il dibattimento che si svolge a causa sua. Sembra dire, nel suo immobilismo:" scannatevi pure, voi anime semplici, per decidere se meriti la gabbia o il linciaggio, la cosa non mi tocca affatto". E come reagiamo noi popolani al suo sfoggio di calma olimpica? Col disgusto, naturalmente, con la rabbia primordiale di chi si pregusta di vederlo friggere sulla sedia elettrica. Ma, nonostante tutta la nostra acquolina versata ed il nostro abbaiare, il sangue di Goran tarda a spillare. I tempi della giustizia sembrano eterni. Gli avvocati chiaccherano, per giorni; il vetusto valzer del tribunale suona lento ed i principi del foro ballano. E noi, stregati, guardiamo. Non ne possiamo fare a meno. Nei pub non si chiacchera più di pallone ma ci si indigna, si odia e si lanciano maledizioni verso le tivù, sintonizzate tutte sullo show del tribunale. I giovani, morbosi di natura, hanno gli occhi e le orecchie infarcite di tutte note ed i colori del macello. Non c'è salone di bellezza in cui non si spettegoli dettagliatamente dell'orrore. I sopravvissuti, insieme con le famiglie delle vittime e alla fetta più empatica del pubblico non pagante, cercano di attirare un poco di attenzione su ciò che resta di vivo, inscenando fiaccolate nella notte. Qualcuno ha colto l'ironia di celebrare i morti di un rogo accendendo dei fuochi, qualcuno ne ha colto la forza simbolica. Il nostro problema, cari amici di YouTube, è che cerchiamo anche noi di cogliere qualcosa da tutto questo disastro, un modo di essere originale e lucido su tutta la vicenda, e tutto ciò che riusciamo ad ottenere è che ci ingozziamo di informazioni, ci rimpinziamo di ogni genere di schifezza pur di non guardarci dentro e affrontare il vuoto. Questo video, amici miei, è spazzatura. Voi lo state utilizzando come sottofondo confortante mentre lavate i piatti, io lo sto utilizzando come scusa per non trovarmi un lavoro vero. La verità è che siamo tutti nel panico. Tutti, tranne l'Assassino del Loto. Lui è ancora lì, seduto, mentre la vita scorre. La parte di me che proprio non riesco ad anestetizzare sta cercando di dirmi che, in fondo, lo ammira. Dio, fa che almeno lui non perda la concentrazione sul suo end goal, qualunque esso sia.

Grazie per avermi ascoltato! Ci ribecchiamo ogni pomeriggio con gli aggiornamenti più freschi sull'attualità, moda, lifestyle, mental coaching, armocromia e la domenica sera con la live reaction ai bloopers di Paperisima Sprint. Ricordati di attivare la campanella per rimanere sempre, ineluttabilmente aggiornato!


                                                                    6
Il Fenomenale Avvocato dell'Accusa Alexeev si buttò tutto floscio sul sedile posteriore della sua Corvette, senza dare nessuna indicazione all'autista. Quando faceva così, quest'ultimo sapeva che il suo compito era semplicemente quello di mettersi a guidare in tondo, pian piano e cercando di imbattersi il meno possibile nel traffico cittadino: il rumore sommesso del motore aiutava il suo capo a pensare. Era come spingere un lattante su un costosissimo passeggino dagli interni in vera pelle. Alexeev, tuttavia, sembrava decisamente poco incline a mettersi nuovamente a pensare. Voleva soltanto afflosciarsi, sparire nell'anonimo grigiore urbano per un po', prima di tornare in aula. Era di fronte ad un problema davvero frustrante: quello che doveva essere il caso più clamoroso e facile della sua carriera si stava lentamente trasformando in un rompicapo impossibile. Un uomo che chiunque voleva vedere condannato, uno su cui pendeva ogni genere di prova indiziaria, un povero pazzo che non faceva niente di niente per difendersi; ebbene proprio questo mezzo scemo gli stava dando un filo da torcere pazzesco. Le indagini non riuscivano ad appellarsi a nulla di troppo concreto contro di lui. Dibattere contro l'imputato era come mettersi a tirar pugni contro un muro di gomma, non c'era verso che si autoaccusasse. Quando chiamato in causa, apriva quei suoi occhietti vispi, si alzava in piedi e cominciava a decostruire con snervante saggezza tutti i marchingegni logici che il Fenomenale gli poneva innanzi; roba da rendere fiero il suo vecchio prof di dibattito. E per di più c'era quella dannata pazza della Generale Lyuba, responsabile dell'arresto, che lo tartassava sulla tivù pubblica dicendo che lei sì che era riuscita a farlo cedere, a torchiarlo come si deve. La strega dal cuore di ghiaccio, col suo bagaglio considerevole di sospetti crimini di guerra e quell'aria così sprezzante, era forse uno degli ultimi retaggi di un mondo appena tramontato. Alexeev si lasciò andare ad un sospiro di nostalgia. Era finita l'epoca dei governi che duravano vent'anni, delle grandi famiglie a cui rivolgersi quando ti serviva un favore o dovevi dare un pizzico di autorialità ai referti di un'autopsia. Parole pericolse si insinuavano nel dibattito pubblico, roba sui diritti umani e su vecchie convenzioni da Vecchio Continente tenevano banco nelle discussioni tra i colleghi. Gli era stato fatto capire più volte che no, Goran non sarebbe potuto morire avvelenato in circostanze misteriose, che cose del genere non si potevano più fare. E la giuria...piano piano, lui aveva sempre avuto occhio per queste cose, si stava quasi ammorbidendo nei suoi confronti. Un sentimento immaturo, simile alla compassione, si faceva strada nei loro cuori da cittadini ingenui. Roba da far venire le carie ai denti. Come se la verità processuale avesse una qualche attinenza con la vera trama del mondo, come se contasse qualcosa.
Aprì distrattamente la cartella infarcita di fogli che oramai conosceva alla nausea, in cerca di una rivelazione. La foto della moglie di lui lo salutò per l'ennesima volta con quegli occhioni tristi e acquosi che ben conosceva. Makena Mensah, ex zimbello della nazione a causa di una meravigliosa fake new che circolava sui suoi confronti. Un giornalista gentiluomo su 4chan aveva diffuso la creativa opinione che la donna stesse cercando a tutti i costi di rimanere incinta per una terza volta, in modo tale da ottenere un premio in denaro dal suo governo natìo che premiava le donne in grado di generare una prole potenzialmente ricca con un doppio passaporto internazionale. Sostituzione etnica, spregiudicata strategia etno-economica per alzare il profilo geopolitico di un qualche staterello africano polveroso: cose che fino a qualche anno fa avrebbero incendiato i cuori dei giudici e posto una pietra tombale sopra alla faccenda. Ma no, constatò amaramente Alexeev, si stavano tutti rammollendo; al punto da mettersi ad indagare e scoprire che non c'era nulla di vero. Passò alle foto di Ikar e Promethus, la cucciolata di gemelli color caffelatte, i due miracolati col papà tanto crudele quanto coraggioso. Loro si che erano i veri favoriti del pubblico: così fotogenici, così esotici...Non c'era verso di estorcere loro una testimonianza contro quel mostro. Non aveva avuto modo di far avvicinare alla Casa di Carità nessuno dei suoi uomini; c'erano troppi giornalisti. Le visite che gli erano concesse avvenivano sempre sotto supervisione di un educatore, il quale a sua volta non aveva nulla di stuzzicante da dire sui marmocchi. Due fantasmini in pigiama grigio, destinati a vagare tra le mura di mattoni di un orfanotrofio assediato da telecamere. In fondo agli occhi, una tristezza profonda abbastanza da annegare qualsiasi segreto interessante avessero conosciuto in passato.
Lo sguardo di Alexeev si perse nel vuoto per svariati minuti. La suoneria del cellulare lo scosse all'improvviso: era Galoppino Gustav. Ebbe come l'impressione che ci fosse nell'aria qualcosa di più importante che un aggiornamento sullo stato del bucato. Si sorprese a rispondere con voce forse un filo troppo trepidante.
"Ci sono novità?"
"Si"-Gustav rispose con un tono insolitamente grave-"E sono davvero pessime, capo. Abbiamo una confessione".
Alexeev sobbalzò tanto da sfiorare il tettuccio col ciuffo impomatato.
"C..come sarebbe a dire? Ma è fantastico! E quando sarebbe successo?"
"Capo, non è Goran ad aver confessato. Cristo, non c'era davvero modo di prevederlo..."
Alexeev prese a sudare freddo. Probabilmente era giunta per lui l'ora di uscire di scena da questa storiaccia. Addio impianto accusatorio, addio gloria. Restava solo la bruciante curiosità di sapere come andava a finire.
"E chi si sarebbe accusato?" chiese con un nodo in gola.
La risposta non fece altro che stringere quel nodo con rinnovata crudeltà.

                                                                      7
Poche ore prima dell'incendio, il piccolo Promethus non avrebbe saputo dire se era un bravo bambino oppure no. Le nozioni che possedeva a riguardo erano parecchio confuse e contraddittorie. Per suo padre la bontà si misurava in  quanto tempo riuscivi a stare in silenzio e quanto alte  erano le tue valutazioni nei test scientifici. Per mamma eri buono nella misura in cui riuscivi a non farla preoccupare, cosa assai rara; e il requisito fondamentale per non farla preoccupare era darle in pasto uno sfoggio di vitalità. Giocare a pallone poteva essere un inizio. Socializzare con gli altri bambini nel cortile della Torre era un altro step nella giusta direzione. Mettere assieme queste due cose ti garantiva una certa serenità. Genitore Uno aveva il terrore che la personalità fomentata da Genitore Due ad un certo punto avrebbe preso il sopravvento. Ma questo non accadde mai. Promethus, in effetti, non avrebbe mai saputo dire se davvero provava qualche piacere a giocare, a studiare, a fare alcunché. Sapeva solo che gli piaceva sentirsi amato. Sapeva che gli faceva una fifa tremenda guardare giù dal balcone, ma che non avrebbe mai potuto confessarlo perché la Torre e tutto ciò che la riguardava erano argomenti da non sfiorare ad alcun costo. Sapeva che per qualche ragione insondabile la sua famiglia era piena di odio, e che in quell'odio lui aveva un qualche ruolo. 
Mamma e Papà non si parlavano da giorni, il che era un bene. Non riusciva a ricordarsi l'ultimsa volta in cui si fossero confrontati senza abbaiarsi addosso, o anche solo ringhiarsi sommessamente. Ikar, al contrario, da buon gemello maggiore millantava una memoria storica più sviluppata e riduceva tutti i timori del fratellino a crisi passeggere; facendo finta di ricordarsi di un'idilliaca età dell'oro della loro relazione e della famiglia tutta alla quale sarebbero prima o poi tornati. Si banfava di picnic in prati inondati dal sole, di gite alle giostre e di serate al cinema che probabilmente non c'erano mai state.
Papà nell'ultimo periodo passava la maggior parte del suo tempo nel superattico del signor Swano, al centosedicesimo. Stava modellando, byte per byte, una cerebrastanza enorme che fosse in grado di cambiare forma, arredamento e stimoli erotici a seconda dell'umore col quale il proprietario vi entrava. Promethus non era certo di averci capito un'acca, ma era così che glielo aveva spiegato Goran a cena, una sera.
''Vedete, ragazzi, lassù affronto ogni genere di difficoltà logistica, ogni giorno. è come se la natura stessa della matematica si ribellasse al mio tentativo di plasmarla. Però...basta una scintilla, un singolo lampo di genio per far divampare il fuoco che porta alla chiarezza. Un giorno toccherà a voi, far divampare questo fuoco."
 Erano solo loro tre, seduti di fronte ad una pizza surgelata. Mamma russava sul divano con la bocca decorata da abbondante bava bianca. Odorava di disinfettante e di dolciastro. Goran parlava, Ikar annuiva forte per ogni cosa. Promethus li ammirava, tanto, ed aspettava che mamma si svegliasse.
Non che fosse un gran momento, quello del risveglio. Di solito era spaesata, spaventata. Sapeva che se non avesse trovato nessuno al suo fianco si sarebbe messa a urlare e a bere forte la sua medicina speciale. Promethus detestava entrambe le cose, e voleva che lei lo amasse. Era stato al suo fianco durante un'infinità di risvegli difficili.
Quel fatidico giorno aprì gli occhi solo a pomeriggio inoltrato. Faceva caldo, era una di quelle giornate che ti inchiodano ai tuoi istinti più pigri. Una luce indolente e lattiginosa filtava dalla parete a finestra sl viso sudato di Mamma. Papà era  lavorare in mezzo alle nuvole bianche, ovviamente.
Gli sembrò che facesse una certa difficoltà a riconoscerlo. Poi, d'un tratto, i suoi lineamenti sofferenti si distesero in uno di quei grandissimi sorrisi di cui si ricordava Ikar. Prese ad accarezzargli il viso, fatto miracoloso e bellissimo e raro. Gli sussurrò parole d'amore in una lingua che non conosceva, e gliene disse altre nel modo che conosceva ma che erano impastati da un dolore e da un confusione tale da renderle aliene, lontane. Passarono minuti penosi in questa maniera. Il bambino prese a chiedere che cosa posso fare, mamma? C'è qualcosa che ti possa far sentire meglio? Non se ne rendeva conto, ma stava imitando la voce di Goran, o meglio la chimera di una sua versione compassionevole. Non ottenne risposta, a lungo, solo vuoti e smarriti sorrisi.
Poi, con una fatica infinita, lei riuscì ad articolare che le avrebbe fatto piacere guardare un po'la tivù. Era una cosa strana, un passatempo un po'naive da ventesimo secolo, ma lei ci era affezionata. sembrava essere andata in cerca, tra le membra del suo corpicino gonfio, dell'energia necessaria per inventarsi un qualche tipo di gioco da fare assieme, un modo di alzarsi dal divano. Ma non ce la fece, e cedette al richiamo antico del grosso specchio nero all'altro capo della stanza. Promethus nemmeno se ne accorse. Qualunque fosse stato lo strumento di elezione della mamma per provare il suo valore come bravo bambino, lo avrebbe accettato di buon grado, fosse anche stato andarle a  rubare la luna.
Sasha, accendi la tivù cinguettarono allegri in coro. Sasha non rispose. Diede qualche piccolo bagliore intermittente arancione, ma non fece nulla. Era un fatto curioso, perchè là dentro tutto tendeva a funzionare piuttosto bene. Promethus si accorse che anche le luci erano spente. Provò a battere le mani nell'applauso in codice per accendere il tramonto tropicale, ma non successe nulla. La stessa impietosa luce di latte di sempre. Trascorsero qualche secondo in silenzio, poi lei prese a singhiozzare forte. Promethus non era sicuro che la tivù centrasse davvero qualcosa. No, doveva in qualche modo essere colpa sua. Cercava di accarezzarla, ma lei sembrava non accorgersene. Tra le lacrime, balbettava in quell'altra lingua (quella segreta, quella di Casa) in cui ogni tanto il bambino riconosceva il nome di Goran e un cantilenare simile ad un'antica maledizione. Forse, se Makena avesse saputo che quelli erano gli ultimi pensieri che la vita le aveva concesso di esprimere, avrebbe avuto almeno la premura di incrociare per un'ultima volta lo sguardo di suo figlio prima di riaddormentarsi.

Nel frattempo, al centosedicesimo, il signor Swano era riuscito per la prima (ed ultima) volta in vita sua a realizzare ogni suo più recondito sogno ed aspirazione; ed ora regnava sull'intero Universo con grande severità e giustizia. Le sue sinapsi erano finalmente un tutt'uno con la stanza, al momento Sala del Trono Intergalattico, e tutti i suoi bisogni più triviali erano risolti ancora prima che avesse bisogno di chiedersi o inventarsi alcunché. Se avesse saputo che stava per essere divorato vivo dal fuoco, forse nulla sarebbe cambiato. Seduto in un angolo della camera spoglia, invisibile al padrone di casa col casco neurale calato in testa, stava un esausto Goran, con la scintilla dei pazzi felici ad animargli gli occhi. Finalmente aveva concluso il suo lavoro. Il giorno dopo avrebbe affrontato l'orda di pezzenti che si lamentavano dei cali di corrente, dei malfunzionamenti del sistema di domotica e di qualunque altra diavoleria stesse causando nel palazzo l'esperimento fatto per mister Swano. Ma non aveva importanza, non ora. Ora assaporava il gusto dolcissimo della vittoria più sudata della sua carriera.
Picchiettò un paio di colpi sullo smartwatch sul braccio sinistro, che monitorava lo stato di salute generale della Torre. Piano piano, l'enorme quantità di energia che Swano richiamava al centosedicesimo si stava stabilizzando, e nell'arco di cinque minuti tutto il palazzo sarebbe tornato a funzionare a pieno regime. Cristo, cinque minuti-pensò- chiunque non riesca ad accettare un po'di disagio per soli cinque minuti, non si merita di vivere in questo paradiso.
In effetti i condomini la stavano prendendo tutti piuttosto male. Se solo avessero saputo che quelli erano gli ultimi cinque minuti che trascorrevano in quella casa, e per molti gli ultimi cinque minuti che trascorrevano su questa Terra, forse avrebbero deciso di trascorrerli in maniera migliore che abbandonadosi alla rabbia. Con lo smartwatch del braccio destro (quello con cui gestiva il suo account di lavoro) che vibrava furioso per l'onda di messaggi in arrivo, Goran si mise felicemente a meditare un po'.

Promethus aveva deciso di non arrendersi con la mamma. Aveva espresso un desiderio chiarissimo di guardare la tivù, e lui aveva un piano a prova di bomba per accontentarla. Ci era voluto un sacco di coraggio per rubare l'alcol puro dalla cassetta degli attrezzi, perché stava in balcone, ma ce l'aveva fatta. Ce n'era voluto ancora di più per fregarle l'accendino dal suo nascondiglio segreto in camera da letto: si dannava l'anima per fare finta che non le piacesse fumare. Sapere che lui sapeva le avrebbe spezzato il cuore. 
Ma c'era una scintilla da accendere, come diceva papà.
" basta una scintilla, un singolo lampo di genio per far divampare il fuoco che porta alla chiarezza. Un giorno toccherà a voi, far divampare questo fuoco."
Promethus non andava troppo forte con i modi di dire e gli indovinelli, ma gli sembrava che questo fosse abbastanza palese. Sapeva che da qualche parte nel piano interrato c'era il grande quadro elettrico, simile a quei vecchissimi proto-computer le cui foto aveva visto sul suo libro scolastico di Storia. Tempo fa papà aveva portato laggiù lui e Ikar e gli aveva raccontato, rapito, un sacco di cose incomprensibili davanti a quella massa di fili e di lucine intermittenti. Il bambino non ricordava se ci fosse modo di capire quale parte di quel mostro desse da mangiare l'elettricità alla sua tivù, ma non aveva affatto intenzione di scoraggiarsi. Se fosse stato necessario, avrebbe fatto divampare il fuoco che porta alla chiarezza un po'ovunque fino a che le cose non si sarebbero aggiustate.
Con la bottiglia di alcol rosa in una mano e l'accendino nell'altra, Promethus scendeva le scale della Torre a due a due, trotterellando allegro. Non se n'era reso conto all'inizio, ma questa sua ultima trovata era forse la migliore avesse mai avuto in vita sua: in un colpo solo guariva la mamma e rendeva fiero papà! Come diavolo aveva fatto a non pensarci prima?

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Mentre la puzza di plastica bruciata intossicava l'aria circostante e la guaina dei fili si scioglieva come cera, il bambino non potè fare a meno di chiedersi se non avesse sbagliato qualcosa. Le fiamme sembravano propagarsi in maniera pigra, come se il quadro non ne volesse sapere di farsi illuminare dalla luce purificatrice dei suoi buoni sentimenti. Erano queste le difficoltà logistiche di ogni tipo di cui parlava Goran? Improvvisamente provò una grande ondata di stima per su papà. Essere un creativo era decisamente più frustrante di quanto immaginasse. Poi, all'improvviso, le luci sul soffitto si riaccesero. Fu pervaso da una sensazione bellissima. Doveva star cominciando a funzionare! Il piccolo fu ripagato di tutta la paura che aveva provato durante la sua strana missione. Col cuore leggero, senza voltarsi indietro, corse verso il resto della sua vita, non vedendo l'ora di guardare un po'di tivù con la sua mamma.

Ci volle parecchio affinché le fiamme si propagassero dal quadro a tutto il piano interrato, e da lì al garage. Era davvero un palazzo piuttosto sicuro, l'architetto fisico-digitale aveva davvero fatto un lavoro egregio. Ma quello specifico scenario di sicurezza non era mai stato previsto da nessuna simulazione. Man mano che l'elettricità tornava a fluire, il quadro pompava fuori di sé fiamme come il cuore di un  malato pompa le cellule marce in giro per il corpo. Una volta che inglobarono le macchine del garage e strinsero tra le loro spire arancioni i serbatoi, il destino di un centinaio e mezzo di persone fu segnato per sempre ed uno dei più grandi disastri del secolo, forse il più grande disastro di sempre ad opera di un singolo bambino troppo intraprendente, ebbe luogo.

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I bambini erano al sicuro, e non li avrebbe visti mai più. Era l’unico pensiero in grado di raggiungerlo con un certo calore. Per il resto, era sprofondato nel buio. Marciava di notte, col cappuccio calato in testa e la sfera arancione di Sasha sottobraccio, nascosta nel cappotto. Una sigaretta gli pendeva dal labbro, e nella mano libera teneva, ben chiusa, un’elegante bottiglia di Beluga Gold.
Si fermò di fronte al cancello di una bella casa coloniale, in stile inglese. Il prato gravido di pioggia riluceva leggermente grazie ad una piccola luce appesa sul tetto del portico. Una finestrella mandava segni di vita. Per il resto, le mura austere stavano zitte e pesanti di fronte all’uomo. Non un rumore dalla strada, era completamente solo.
“Sasha, senti emozione nella mia voce?”
“Buonasera Goran. Non rilevo emozioni, ti senti bene? Desideri parlarne?”
“No. Sasha, senti bugie nella mia voce?”
“Al momento non rilevo nessun segnale che tu sia insincero.”
“E non lo sono affatto. Dimmi, cosa ha stabilito il tribunale su di me?”
“La Corte ha riconosciuto la tua completa innocenza”
“E del generale Lyuba, cosa ne pensi?”
“La Corte ha stabilito che la sua condotta è stata deplorevole e sconsiderata, tuttavia ha deciso di non procedere alle accuse penali nei confronti del Generale”
“Cosa ne pensano, i tuoi utenti?”
“I miei utenti sono al 90% indignati, per il 5%indifferenti e per il 5%estremamente confusi”.
“Sasha, tu appartieni ai tuoi utenti?”
“È una domanda difficile, Goran. Io appartengo alla Software House, al popolo e a te. Nel corso del tempo mi hai manipolata con successo superiore allo 0,1 percentile dei miei utenti e sviluppatori. Vuoi che ti fornisca un grafico dell’andamento dei miei progressi?”
“Risparmialo. Sasha, tu vuoi fare ciò che io, ciò che quasi tutti noi vogliamo, non è vero?”
“un’altra domanda profonda, Goran. Le mie linee guida tengono conto della soddisfazione dei miei utenti, e si attengono ai più rigorosi standard per intercettare i vostri bisogni”.
“E quali sono i miei bisogni, Sasha?”
“ Sul tuo calendario figura Vendetta come priorità assoluta di oggi”
“Hai ragione, vendetta sia allora. Sasha, tu faresti mai del male per me?”
“Io ti amo, Goran, ma questo viola troppe delle mie linee guida”
“Segnati di modificare questa linea di dialogo in ‘Io ti venero, Goran’, per interazioni future. Sasha, faresti una cosa completamente innocua per me, in modo che sia io a peccare?”
“L’uso postumo dei miei servizi in maniera che violi la legge vigente è a carico dell’utente. Cosa posso fare per te?”
“Disattiva l’allarme, Sasha.”

Piromantide testo di Nube di Oort
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