Lettera di morte

scritto da Aristhymos
Scritto Un anno fa • Pubblicato Un anno fa • Revisionato Un anno fa
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Autore del testo Aristhymos

Testo: Lettera di morte
di Aristhymos

Lettere come quella che ti sto scrivendo, tu mi diresti, andrebbero scritte solamente in un momento prima di morire… Se pensi questo, allora dovresti apprezzare il fatto che la stia scrivendo proprio adesso, sì, proprio ora. Non ti voglio allarmare, ma la tua vita e la mia vita finiscono ogni giorno che passa.

Anche in questo caso, come già sai se mi conosci bene, devo prendere in prestito le parole di Seneca che, in una sua lettera, scrive: "Moriamo ogni giorno: ogni giorno, infatti, ci è tolta una parte della vita; anche quando il nostro organismo cresce, la vita decresce. Abbiamo perduto l'infanzia, la fanciullezza, poi la gioventù. Tutto il tempo passato fino a ieri è morto per noi: questo stesso giorno che stiamo vivendo lo dividiamo con la morte. Come non vuota la clessidra l'ultima goccia, ma tutte quelle che sono già cadute, così l'ultima ora in cui cessiamo di esistere non produce, da sola, la morte, ma la compie; allora noi giungiamo al termine, ma da tempo vi siamo già avviati."

La morte, quindi, non è solamente la morte intesa come quella fisica o cerebrale; noi ogni giorno ci avviamo alla morte e, in un certo senso, moriamo. Proprio Lucilio, come Seneca ci fa presente poco più avanti, osserverà di essa: "Non viene una sola volta la morte; quella che ci rapisce è solo l'ultima morte."

Da queste parole, elargite con tanta saggezza, possiamo capire quindi che la morte è un'esperienza che sperimentiamo ogni giorno; essa è il contenitore, come una clessidra, della nostra stessa esistenza, e non è quindi l'ultimo granello di sabbia ad accompagnarci alla fine, ma è il primo che cade, già dall'inizio, ad avviarci ad essa. Quindi quella che noi chiamiamo morte è in verità solamente "l'ultima morte", quella che ci rapisce dall'esistenza.

Ora che hai afferrato questo concetto potresti capirne l'importanza, ma non ancora estrapolarne da esso le diverse conseguenze pratiche. Per farti capire cosa intendo, ti riporto un frammento di una lettera di Seneca nella quale scrive: "Non fidarti della presente tranquillità: il mare si sconvolge in un attimo e le barche nello stesso giorno vengono sommerse proprio là dove vagavano per diporto. Pensa che un assassino o un nemico può piantarti un pugnale nella gola; e quando non c’è un potente, c’è sempre uno schiavo che ha facoltà di vita o di morte su di te. Intendo dire: chiunque è disposto a mettere a rischio la sua vita è padrone della tua. Rammenta gli esempi di coloro che furono vittime di delitti domestici, compiuti con agguati e con violenza aperta: troverai che i caduti per odio di schiavi non sono meno numerosi di quelli che incorsero nell'ira del re. Che t'importa dunque quanto sia potente l'uomo che temi, se c’è sempre qualcuno che può farti quello che temi. Se per caso cadrai nelle mani dei nemici, il vincitore ti farà condurre là appunto, dove sei già avviato. Perché inganni te stesso e solo in tale momento supremo comprendi per la prima volta quel destino a cui da tempo eri soggetto? Dal momento in cui sei nato tu sei avviato alla morte. Dobbiamo avere sempre in mente tali pensieri, se vogliamo aspettare sereni quest'ultima ora, la cui paura ci rende inquiete tutte le altre."

In questo passaggio si comprende perfettamente il riscontro pratico di ciò che abbiamo visto prima. Il punto focale del discorso è che, essendo noi ogni giorno avviati alla morte, la consapevolezza di tale sorte ci suggerisce in modo corretto una dimensione della vita quotidiana molto più ampia di quella che noi superficialmente concepiamo, dove la morte può arrivare in qualsiasi momento, per mano di chiunque, per scelta della fortuna o per volere di Dio, a seconda dei punti di vista.

Da questo, quindi, possiamo capire quanto sia sbagliato attaccarsi troppo alla vita, dal momento che alla fine ci verrà tolta comunque, e questo può succedere in qualsiasi modo, in ogni momento. Solo questa coscienza della morte – o della vita, ti offro un'altra prospettiva… – può aiutarci nell'attendere la nostra ora in modo più sereno.

Amico, voglio terminare questa lettera con un'ultima visione pratica di questo insegnamento; come sempre, mi rifaccio alle parole di Seneca per mostrarti quest'ultimo concetto, che in un passo dice: "In questo ci inganniamo, nel vedere la morte avanti a noi, come un avvenimento futuro, mentre gran parte di essa è già alle nostre spalle. Ogni ora del nostro passato appartiene al dominio della morte. Dunque, caro Lucilio, fa ciò che mi scrivi; fa tesoro di tutto il tempo che hai. Sarai meno schiavo del domani, se ti sarai reso padrone dell'oggi. Mentre rinviamo i nostri impegni, la vita passa. Tutto, o Lucilio, dipende dagli altri; solo il tempo è nostro. Abbiamo avuto dalla natura il possesso di questo solo bene sommamente fuggevole, ma ce lo lasciamo togliere dal primo venuto."

In conclusione, ancora una volta io ti dico: la morte non va vista come una condizione tanto distante da noi, perché essa ci colpisce tutti i giorni, e ci colpirà facendoci tanto male ogni giorno che butteremo il tempo in nostro possesso per colpa di tale incoscienza, un’incoscienza che vilmente rinnegherebbe ogni giorno il nostro dono più grande offertoci dalla natura,la vita.Addio.

Lettera di morte testo di Aristhymos
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