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LA LUNA SULLA RADURA
Ester camminava lungo un sentiero che si snodava nel bosco. Procedeva lentamente, godendo appieno della bellezza di quel luogo che l’inverno, con la sua atmosfera ovattata, rendeva particolarmente speciale ai suoi occhi.
Apprezzava la tranquillità, il silenzio e persino l’aria fredda che le pungeva la faccia, facendola sentire viva.
Non aveva alcuna voglia di fermarsi, non ancora, e procedeva calpestando tappeti di foglie secche e chiazze di neve, mentre timidi raggi di sole filtravano tra i rami.
Lentamente, quei raggi cominciarono a fare sempre più fatica a bucare le nuvole, poiché una grigia coltre aveva coperto quasi tutto il cielo. La foresta era diventata più scura e la donna decise finalmente di tornare indietro.
Il buio, però, giunse all’improvviso e la poveretta si ritrovò da sola in mezzo a quel bosco che adorava e che ora, invece, le sembrava spaventoso e dove non era più in grado di orientarsi.
“Sono stata davvero sciocca a non fermarmi prima”, disse tra sé, rimproverandosi per quell’ imprudenza.
Provò a chiedere aiuto nella speranza che qualcuno la sentisse, ma la sua voce, rimbalzando contro un muro di silenzio, più volte tornò indietro come un’eco angosciante.
Cominciò, poi, a percepire rumori che ingigantivano la sua paura. Erano fruscii, scricchiolii e versi sconosciuti che la facevano rabbrividire.
Poco dopo si alzò il vento e si mise a fischiare tra le fronde, aumentando anche la percezione del freddo. Ester chiuse meglio il suo giaccone rosso, coprendo anche il capo con il cappuccio che fermò con una calda sciarpa di lana.
Non sapeva cosa fare, cercava di convincersi che sarebbe uscita sana e salva da quella situazione e muoveva passi incerti nel buio soffocante.
Il vento continuava a soffiare, si faceva sempre più forte e insistente, aprendo, però, alcuni squarci nel cielo.
Ad un tratto, in un piccolo spazio che si era creato tra le nuvole, apparve la luna piena, una luna che Ester non aveva mai visto così grande e luminosa.
Quella luce intensa e inaspettata le permise di scorgere una radura sconosciuta, in mezzo alla quale vide un minuscolo lago completamente ghiacciato.
“Come ho fatto a raggiungere questo posto?”, si chiese, poiché era certa di aver camminato pochissimo da quando il buio l’aveva sorpresa.
La luna sulla radura offriva sensazioni contrastanti: toglieva il disagio dell’oscurità totale ma, al tempo stesso, creava un’atmosfera inquietante, quasi soprannaturale, che pareva evocare gli spiriti del bosco.
"A cosa sto pensando”, si disse Ester, cercando di riprendere il contatto con la realtà. “La luce della luna potrebbe aiutarmi a ritrovare il sentiero e solo su questo mi devo concentrare”.
Disorientata e intirizzita, la donna cominciò a scrutare lo spazio circostante per tentare di capire da che parte andare.
In quel momento, sentì uno strano suono provenire dal laghetto. Subito ne ebbe paura, ma poi rammentò che le era già capitata una cosa del genere in riva ad un lago gelato. Ricordò, però, che si trattava di un raro fenomeno che poteva essere udito solo di giorno, quando il calore del sole creava le giuste condizioni perché ciò accadesse.
Si avvicinò alla superficie di quello specchio d’acqua ghiacciata e notò il formarsi di una piccola crepa. Il suono che aveva udito era cessato, ora si percepiva solamente il tipico rumore del ghiaccio che lentamente andava rompendosi in più punti.
Da una delle crepe Ester vide emergere qualcosa. “Una mano!”, esclamò terrorizzata.
Il suo primo impulso fu quello di fuggire, ma per il freddo e soprattutto per la paura, sentiva che le sue gambe erano bloccate. La testa prese a girarle, un’ansia fortissima si impadronì della sua mente e del suo corpo e sentiva che ogni suono le moriva in gola prima di divenire un grido.
Era inchiodata sulla riva del laghetto e fissava atterrita quella mano che a tratti le pareva semplicemente un ramo dalla forma insolita. “Forse è proprio questo, solamente questo”, ripeteva Ester dentro di sé.
Infine, la lastra di ghiaccio si ruppe del tutto e ne uscì una strana creatura che, alla luce della luna, pareva brillare dentro un alone dai contorni indefiniti.
Difficile dire se fosse maschio o femmina, ma di certo aveva sembianze umane, pur avendo una pelle incredibilmente bianca, quasi diafana.
Il freddo le stava creando terribili allucinazioni, questo pensava la donna, cercando disperatamente di ritrovare un briciolo di lucidità.
In quel mentre, la creatura le porse la mano. Ester l’afferrò istintivamente e percepì calore e morbidezza.
Di lì a poco, la paura scomparve e la donna seguì quella figura a tratti eterea e dai lunghi capelli argentei, che si lasciò inghiottire dall’ acqua gelida, portandola con sé.
C’era un mondo pieno di luce lì sotto e la povera Ester pensò che la sua ora fosse giunta e che quello fosse l’aldilà.
La creatura percepì quei pensieri e le parlò in modo che potesse comprendere le sue parole. “Non sei morta e non stai neppure per morire”, le disse, “ho udito la tua richiesta d’aiuto e ora sei al sicuro. Io sono Jafir e questo è Nitis, il luogo in cui vivo e che nessuno dei tuoi simili conosce”.
Spiegò, poi, che il loro incontro era stato reso possibile dalla luna piena che in quei giorni splendeva in modo particolare sulla radura.
Ester non poteva credere ai propri occhi, ma più si guardava intorno e più sentiva di essere giunta in un luogo magico.
Cominciò a comprendere i sussurri del vento che soffiava tiepido come una carezza, facendo percepire sospiri e frasi rassicuranti e perfettamente chiare. “Le anime comunicano attraverso il vento”, spiegò la creatura, “continuano a vivere tra noi, invisibili ma sospese nell’aria e possiamo sentire il loro respiro e le loro voci”.
Ester era sbalordita, avrebbe voluto saperne di più, ma il discorso fu interrotto da un verso agghiacciante che la fece sussultare. Era simile ad un ruggito mischiato ad una sorta di ululato.
“Non temere”, la rassicurò Jafir, “qui nessun essere vivente costituisce un pericolo per gli altri. L’ equilibrio regna sovrano, ma per crearlo non siamo sottoposti ad una inevitabile selezione naturale. Non troverai alcuna violenza in questo luogo e nessuno di coloro che lo popolano ha bisogno di prendere altre vite per sopravvivere o per difendersi”.
La donna la guardò incredula. “Tutto ciò che mi stai dicendo è pura utopia”, disse, scuotendo la testa.
“Nel tuo mondo, non nel nostro”, rispose la creatura. “Tu concepisci la vita e la morte seguendo la logica del luogo da cui provieni, ma il vostro non è l’unico mondo e la vita ha molteplici aspetti nella vastità dell’esistenza”.
Parlando con la creatura che l’aveva portata con sé, Ester continuava a scoprire cose che le parevano assurde e inconcepibili. Scoprì che a Nitis la vita non presupponeva crescita, decadimento e fine, ma che si creava e mutava con estrema dolcezza, senza che nessun essere vivente dovesse sperimentare fatica, dolore, paura e distacco. Vi era semplicemente una trasformazione che non interrompeva la vita stessa e le interazioni tra gli esseri: le rendeva solamente diverse e del tutto normali.
La donna ripensò alle voci che aveva udito nel vento e a ciò che Jafir le aveva detto a proposito delle anime. Ancora non riusciva a credere che potesse esistere un mondo come quello e che le fosse toccata la grande fortuna di venirne a conoscenza.
Le sorprese, tuttavia, non erano ancora finite, poiché la creatura continuava a descriverle meraviglie.
“Qui la percezione del tempo è molto diversa dalla tua", spiegò, "e ognuno percepisce ciò che desidera vedere nella propria mente".
"Non capisco", disse Ester. "Ora, ad esempio, stai camminando in un paesaggio invernale poiché è normale per te trovarti in questa stagione", continuò Jafir ,"ma se lo vorrai, ti accorgerai che tutto intorno a te può mutare e vedrai i colori della primavera o quelli dell'autunno o il verde intenso dell'estate".
"Impossibile!", esclamò la donna, tuttavia si concentrò sull' immagine della fioritura degli alberi, pensò all'erba fresca, ai prati cosparsi di primule e, mentre camminava, vedeva che intorno tutto stava cambiando. Le pareva di vivere un incantesimo e Jafir, che comprendeva il suo smarrimento continuò a ribadire: “Qui esiste un’unica stagione che resta immutata, ma possiamo vedere ciò che desideriamo. Come ho già spiegato, non esistono neppure le vostre stagioni della vita e la nostra esistenza non è condizionata dai bisogni che per voi sono inevitabili".
Ester era frastornata, ma non si era mai sentita così serena, era come se galleggiasse in una bolla sospesa tra realtà e sogno. Osservava i fiori che aveva desiderato vedere e l’erba chiara mossa da una brezza sottile che continuava a recare con sé le parole delle anime.
Quel mondo era avvolto da un’atmosfera impalpabile che circondava ogni cosa e che creava uno scenario incantato.
Poi scorse animali mai visti prima, incontrò altri esseri dalle sembianze umane che le sorridevano e la cui presenza non la intimoriva affatto. Stava incredibilmente bene, non provava né freddo, né fame, né timori, solo un’immensa sensazione di pace e mai avrebbe voluto andarsene.
Eppure, senza che la donna se ne potesse accorgere, l’alba stava per giungere. La luce lunare era sparita e i primi raggi del sole facevano capolino tra le nuvole.
Di quella luna splendente, che per tutta la notte aveva rischiarato la radura, restava solamente una vaga immagine e, poco dopo, anche quella svanì.
Ester si ritrovò sotto i rami di un abete che cresceva accanto al laghetto ghiacciato. Aveva vissuto esperienze del tutto assurde in quella notte trascorsa nel bosco, ma era sana e salva e solo questo contava.
Provava tanta confusione, pur sentendosi stranamente tranquilla e ora doveva riordinare i pensieri e trovare il sentiero per tornare a casa.
Improvvisamente, un’idea si insinuò nella sua mente. Ripensò all’atmosfera arcana creata dalla luna piena, ricordò il volto di Jafir e il suo mondo magico ed ebbe la sensazione di aver varcato un portale e di aver trovato un’altra dimensione.
Non poteva esserne sicura, ma era come se sentisse che un giorno avrebbe raggiunto di nuovo quel luogo che le era rimasto impresso nella memoria.
C’erano più dimensioni, ora ne era quasi convinta e si chiedeva quanti e quali misteri si nascondessero al di là della realtà che conosceva.
Ciò che sapeva con certezza era l’impossibilità di sottrarsi al proprio destino con le sue dinamiche, i suoi obblighi e le sue inevitabili fasi.
Rivolse lo sguardo al laghetto che appariva come una lastra immobile e perfettamente ghiacciata, si strinse nella giacca e si incamminò per cercare il sentiero che l’avrebbe riportata a casa.