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Dovresti smetterla di basare la tua cultura sulle riletture rimuginanti e spasmodiche della Vita Nova: non fa di te né un’intellettuale né una sfortunata scrittrice di talento. Non so nemmeno se tu ti sia appropriata delle mie parole.
In realtà mi manchi. Vorrei non poterlo scrivere e ci provo a non farlo, ma lo faccio. L’azione delimita il senso e gli prevale. Mentre ti scrivo siedo su una panchina indefinita e il buio della nottata cittadina sembra inspiegabilmente cupo, colmo di ombre e rumori soffocati. Le dita si contraggono cercando appigli nell’aria appesantita, il battito s’infittisce, impaziente di scappare e gli occhi, come impauriti, si spalancano. Di lato strisciano persone che piano ma con ritmo spaventosamente disciplinato perdono i loro tratti umanoidi ripiegando una dopo l’altra le ginocchia per muoversi. Lo scenario diventa rapidamente delirante e ricordo d’aver letto qualcosa di simile ne “La Nausea”. Come ben sai, quel libro lo detestai ma come Roquentin, cent’anni fa, io sto perdendomi inesorabilmente ed intorno vaga la gente distratta da pixel luminosi che promettono l’esistenza autentica.Forse i più sbadati mi traversano come fossi o aria o un’emozione.
La verità è che aspetto che tutto svanisca e nella trepidosa attesa mi rifugio nel ricordo di te.