L’Importanza di chiamarsi Carlo (Davvero)

scritto da Molly Odd
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A volte, ci si convince che per essere speciali serva cambiare qualcosa — lavoro, città, taglio di capelli, magari anche nome. In realtà, la verità è più semplice (e più beffarda): si diventa unici quando si smette di provarci
- Nota dell'autore Molly Odd

Testo: L’Importanza di chiamarsi Carlo (Davvero)
di Molly Odd

Carlo non aveva mai pensato molto al suo nome.

Era nato Carlo, cresciuto Carlo, e per trentaquattro anni nessuno aveva avuto niente da ridire.

Poi un giorno — senza motivo apparente — ricevette una lettera:

“Gentile Signor Carlo,

siamo spiacenti di informarla che il suo nome non è più valido.

La preghiamo di recarsi al più vicino Ufficio di Riassegnazione Nominativa per regolarizzare la sua identità entro 15 giorni.

Cordialmente,

Ministero dei Nomi Esauriti.”

Carlo rise.

Poi rise meno.

Poi smise del tutto, quando la sua carta d’identità smise di funzionare e la macchina non riconobbe più il suo profilo Bluetooth.

L’Ufficio dei Nomi Esauriti

L’edificio era grigio e infinito, tipo un ospedale progettato da Kafka.

Un cartello all’ingresso diceva:

“Un nome non è per sempre”

Dietro lo sportello, una donna con gli occhiali e la voce da segreteria dell’aldilà.

“Buongiorno, signor…?”

“Carlo.”

“Mi dispiace, ma quello non è più un nome riconosciuto.”

“Come sarebbe?”

“È stato disattivato. Troppi Carlo nel sistema. Ha presente quanti preti, zii e meccanici rispondono a quel nome? Abbiamo esaurito gli slot di individualità.”

“E cosa dovrei fare?”

“Sceglierne un altro. Può consultare il catalogo.”

Carlo sfogliò l’elenco.

C’erano nomi come Rutilio, Pancrasio, Adalardo,Aristofane.

Tutti orrendi.

“Preferirei tenermi il mio, se possibile.”

“Lo capisco, ma non possiamo. C’è un Carlo in ogni condominio. È diventato un nome di massa, come ‘Mario’ negli anni ’80.”

“E se io fossi il Carlo giusto? Quello che dà senso a tutti gli altri?”

La donna sospirò.

“Oh no. Uno di quelli filosofici. Guardi, se vuole può presentare ricorso. Terzo piano, stanza 404. Ma le avverto: nessuno ne è mai uscito con lo stesso nome.”

La stanza 404

Dentro, c’era un uomo vestito da giudice, ma con un mantello da mago di carnevale.

“Benvenuto, ex-Carlo. Io sono l’Arbitro Onomastico. Ti ascolto.”

“Io… voglio solo restare Carlo. Non voglio un altro nome. È il mio.”

“Sai cosa significa essere Carlo?”

“No, ma mi ci sono abituato.”

“Appunto. La maggior parte delle persone non è il proprio nome. Lo indossa, come un cappotto che non sceglie mai. Tu invece lo difendi. È raro.”

L’Arbitro lo fissò con occhi che avevano visto troppi cambi di cognome.

“Va bene, Carlo. Ti do un’ora. Dimmi chi sei, e se mi convinci, ti lascio il nome.”

Il test

Carlo uscì a camminare.
Nel parco, una bambina perse il palloncino e iniziò a piangere.
Lui corse, inciampando su un piccione, lo recuperò e glielo riportò con un inchino teatrale che la fece ridere.
Un vecchio si smarrì tra le panchine: Carlo gli indicò la strada e lo accompagnò per qualche metro, fingendo di sapere esattamente dove stesse andando anche lui.
Al bar, pagò il caffè a un ragazzo che aveva dimenticato il portafogli. Poi rimase qualche minuto in silenzio, ad ascoltare due sconosciuti litigare sul calcio, finché non li fece ridere raccontando una storia inventata su un portiere che pregava prima di ogni rigore.
Poco dopo, aiutò una donna a raccogliere una borsa caduta e, per istinto, le disse:“A volte le cose ci scappano solo per ricordarci che possiamo ancora chinare la testa senza perdere dignità.”
Lei lo guardò come si guarda un poeta di passaggio.
E Carlo, per la prima volta da molto tempo, si sentì a suo posto nel mondo.

Tornò nella stanza 404.

“Hai scoperto chi sei?” chiese l’Arbitro.

“Forse sì. Non sono un nome, ma ho deciso che Carlo mi va ancora bene.
È semplice, normale, inutile. Come me.
Ma ogni tanto — molto raramente — riesco a fare qualcosa di buono.
E se non basta per tenersi un nome, allora non so cosa serva.”

L’Arbitro sorrise piano.

“È sufficiente.”

Gli restituì un documento:

CARLO – Nome ripristinato. Autenticità confermata.

“Posso chiederle una cosa?” domandò Carlo.
“Perché tutta questa burocrazia assurda?”

“Per ricordarvi che,anche un nome comune può diventare straordinario, se ci mettete dentro qualcosa di vero.”

Epilogo

Quando uscì, Carlo vide un gruppo di persone in fila.
Tutti con la stessa lettera in mano.
Uno si chiamava Marco, uno Anna, uno Giulia.
Tutti lì a difendere il proprio nome, come se difendessero un pezzo di anima.
Carlo sorrise, infilò le mani in tasca e pensò che, dopotutto, non serviva un nome raro per essere unico.

Bastava scegliere ogni giorno di esserci, con o senza timbro ufficiale.

L’Importanza di chiamarsi Carlo (Davvero) testo di Molly Odd
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