Lettera di una studentessa artista

scritto da Alejandra Bonnett
Scritto 2 anni fa • Pubblicato 2 anni fa • Revisionato 2 anni fa
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Autore del testo Alejandra Bonnett

Testo: Lettera di una studentessa artista
di Alejandra Bonnett

Caro professore,

Quest’oggi, quando ha chiesto alla classe di scrivere un “tema libero di attualità”, ho avuto un attimo di disorientamento. Non soltanto perché dubito vivamente di aver compreso il concetto di attualità, ma anche a causa dell’inconciliabilità che sussiste tra l’attribuzione “libero” e il vincolo imposto dal parametro “attualità”. Incoerenza resa, a mio avviso, ancora più evidente dall’elenco dei possibili argomenti di attualità da trattare, fornito successivamente da Lei. Ho riflettuto a lungo sulle differenti alternative, sperando invano di riconoscere un campo in cui potessi avvalermi di una conoscenza sufficiente da poter soddisfare tale richiesta. Tuttavia, non ho osato aggiudicarmi la competenza necessaria in alcuna delle questioni proposte, né tantomeno credo di essere esperta nelle restanti.

La prima riguardava le sostanze stupefacenti, le dipendenze e le misure adottate per combatterle. Su questa non ho avuto alcun dubbio, né ho impiegato più di qualche istante per decidere di escluderla: saprei a malapena nominare due o tre tipologie di narcotici e il meccanismo di una dipendenza mi risulta un terreno pressoché sconosciuto, tanto più la legislazione in materia attualmente in vigore. La seconda, seppur avvincesse il mio spirito critico, ha avuto la stessa sorte, trattandosi del dibattito sull’interruzione volontaria di gravidanza. Ammesso che avessi la preparazione adeguata per affrontare l’argomento, esso, ad ogni modo, è privo di ogni potenziale oggettività ed è piuttosto carico di rilievo morale; entrambe caratteristiche che reputo poco opportune ai fini di un’analisi fattuale ed effettivo. Il resto delle valutazioni è finito in modo analogo, a eccezione di quanto accaduto con la settima opzione. Essa, invero, mi ha tentato a dimenticare la mia – al contempo – logica e istintiva incertezza, nonché a impugnare la penna e lasciar cadere le parole, come gocce d’inchiostro bianco sulla pagina nera del mondo.

Non penso sia un caso: sette è sempre stato un numero dotato di una certa maestosità, di un suono quasi musicale. Sette sono le meraviglie al mondo che conferiscono lo sfondo alla nostra amata terra; sette sono anche le belle arti, i sette Re di Roma, i sette vizi capitali e i sette giorni originali. Ebbene, professore, nonostante questa settima traccia consistesse nel descrivere il ruolo della letteratura nell’attualità, questione di mio assoluto interesse, un’esitazione all’ultimo momento mi ha portato a riconsiderare la mia scelta. Ho ritenuto più saggio, dunque, di non entrare nel merito. Questo perché sono consapevole della mia innegabile predisposizione al settore letterario, da cui, indubbiamente, scaturisce tale preferenza, piuttosto che dal mio intendimento dei rapporti tra letteratura e attualità. Se la Sua lettura è scrupolosa, avrà intuito che sono una giovane scrittrice; o, perlomeno, un’aspirante tale. E se, inoltre, è solito praticare l’osservazione, non le saranno servite queste parole per rendersene conto, ma le sarà bastato notare i miei versi sui banchi di scuola.

Chiedermi di scrivere di letteratura in relazione alla modernità, sarebbe come chiedere a un pittore di dipingere un’opera sulla pittura seguendo non uno stile artistico, ma una struttura logica. Ad entrambi è richiesto di rappresentare la propria arte, ma inserito in un contesto estraneo a esso, poiché – ahimè – non esiste nulla di più lontano dalla creatività letteraria del sottomesso e amareggiato mondo moderno. Non amo la prudenza, tantomeno ne ho abbastanza da evitare di far condizionare il dovere dal piacere; tuttavia, in questa particolare occasione, credo opportuno far prevalere il ragionamento secondo il quale essi devono comunque mantenere le giuste distanze. Così, sono arrivata alla conclusione che, sebbene non sia in grado di esporre in maniera concreta ed esauriente alcuna delle materie specifiche da Lei suggerite, sarei quantomeno capace di esprimere, in modo più generale, le mie personali considerazioni sull’attualità.

Vorrei, pertanto, fare una recensione del mondo di oggi, proprio come si fa dopo aver mangiato in un ristorante, o dopo aver usufruito di un servizio. Oppure, scrivere un commento sotto un post che rappresenti l’attualità, come nei social. Sì, un commento, perché sicuramente non ci metterei “mi piace”. Potrei mai dare il minimo segno di approvazione a questa realtà che ci rende sempre meno umani?

Realtà. Concetto oramai intangibile, reso quasi un’ideale in un mondo costantemente sul palcoscenico. Nella complessità che ci avvolge, senz’altro risulterebbe più semplice e persino rincuorante cogliere ciò che di autentico è ancora rimasto, ma – lo sa Lei meglio di me – una verità svelata altro non è che potenziale menzogna. Eppure, oggi la verità è priva di valore, tanto più l’onestà e la sensibilità. Socrate si rivolterebbe nella tomba se sapesse quanti ne ho trovati, professore, che affermano ancora oggi di essere padroni della verità, mentre egli ha pagato con la morte l’averla messa in discussione. La regola sembra essere non la compassione e l’umiltà, ma il giudizio, la consuetudine, come fossimo oggetti da misurare in base a ciò che la collettività ritiene vero e giusto, pezzi perfetti e miserabili costretti a incastrare tra di loro, altrimenti ritenuti elementi inutili da scartare.

Inutile dire che, tra i più grandi della storia, siano stati in pochi a rientrare nei parametri della normalità. Sentivano piuttosto di essere emarginati, sbagliati, pieni di imperfezioni. Lo vada a spiegare a Da Vinci, professore, che non è mai stato un fallito, ma un genio! È quasi paradossale che coloro che ammiriamo di più siano quelli che hanno sfidato il tessuto ordinario delle cose, la cui eccezionalità stava proprio nel distinguersi, nell’uscire dagli schemi, nella stravaganza delle loro vite, nella follia dei loro sogni. Tuttavia, sembra tanto logico quanto difficile da capire che non è straordinario chi rimane nell’ordinarietà. Vivono nell’illusione di una fragile individualità, seppure siano soltanto pezzi di un sistema marcio. Spesso credo di essere circondata da milioni e milioni di ruote dentate; esse da sole non sono nulla, diventano inutili, poiché necessitano del resto dell’ingranaggio. Un giorno il sistema crollerà e coloro che ci si sono affidati crolleranno insieme a esso. Saranno i pazzi che hanno deciso di dubitarne, quelli che hanno l’unica certezza di non essere soltanto una parte di un tutto, quelli che non hanno rinunciato all’essere per limitarsi esclusivamente al fare… ecco, essi saranno i soli ad essere liberi, senza dipendere dall’ingranaggio per dare un senso alla propria esistenza.

Forse è vero che la vita pesa quanto gli anni e i ricordi che la compongono. Ne sono prova la dolcezza negli occhi di un anziano che osserva un giovane, la risata di uno studente universitario che sente le lamentele di chi frequenta ancora la scuola, la noia di un ragazzino che, obbligato dalla madre a giocare col fratellino, afferma infastidito che non gli piacciono più i giochi da bambini. Il sapore dell’esistenza non è lo stesso, evolve, ed è il tempo il responsabile di mutarne il gusto. Da quando abbiamo studiato i filosofi presocratici, professore, non riesco a fare a meno di pensare al panta rei di Eraclito e a quanto sembra essere stato frainteso: oggi, non è un tutto scorre, ma è un tutti corrono e corrono, qualche volta sembra persino che abbiano una direzione, che sappiano davvero dove stanno andando. Sembra che sia soltanto dopo la morte che ci si accorge che in vita, prima di qualsiasi altra cosa, eravamo persone. Non studenti, professionisti, lavoratori, ma soltanto persone.

Viene così rilasciato l’essere, professore, l’essere di cui la modernità – questa modernità di cui Lei ci spinge a parlare con impeto – spesso si dimentica. Tutto ciò mi ricorda la dinamica del padrone e dello schiavo, affrontata qualche settimana fa. Reputo la soppressione dell’essere la più rischiosa e temibile delle schiavitù, poiché il vero padrone è spesso lo stesso schiavo, che, convinto di essere libero, rinuncia a questa libertà fino a quando la scopre davvero solo nel letto di morte.  È solo quando qualcuno non c’è più che d’improvviso merita la nostra compassione. Sarà perché di fronte alla morte, a quel destino che ci accomuna, noi uomini abbassiamo la testa.

Oh, se solo potessimo realizzare che il nostro errore più grande risiede nella strana convinzione che sia soltanto la fine a renderci uguali! Spesso mi invade un forte desiderio di gridare al mondo che è l’umanità il più prezioso legame possibile, un filo sottile e forte quanto la vita stessa. Vorrei dire a voce alta che dopotutto non siamo così diversi, che siamo intrecciati come rami fragili di un grande albero invincibile, con radici profonde nella medesima terra. Ma rimane un’utopia. Un’utopia disegnata con i colori della speranza di chi sa ancora sognare, in un mondo dove ci vogliono delusi e rassegnati.

“Costruiscono senza logica, beati loro, i pazzi!”, scrisse Pirandello. Se il non essere soddisfatti di tutto ciò che ci circonda significa essere idealisti, mi dichiaro idealista; se ciò, inoltre, rinchiude la follia, allora posso affermare solennemente di essere fuori di testa. E ne vado pure fiera, poiché non è più sano di mente colui che si adatta ad una società profondamente malata. Mi sono sentita dire di essere coraggiosa, mi auguro si intenda un coraggio vero, non quello fasullo di coloro che fanno gli indifferenti e gli insensibili, mentre internamente temono rompere l’automatismo che ci abbatte fino a strappare all’anima ogni traccia di vitalità.

Mi è stato chiesto di descrivere il mondo su questo pezzo di carta, io non saprei farlo, ma semmai mi dovessero chiedere di cosa manca, allora risponderei saldamente con la più sacra delle parole: libertà.

Cordialmente,

Una sua studentessa artista.

Lettera di una studentessa artista testo di Alejandra Bonnett
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