L'omicida è nella stanza

scritto da Antonino G.
Scritto Un anno fa • Pubblicato Un anno fa • Revisionato Un anno fa
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Autore del testo Antonino G.

Testo: L'omicida è nella stanza
di Antonino G.

La stanza di Michelangelo Sasso era spoglia, quasi come se il tempo avesse smesso di trascorrere, lasciando solo l’essenziale. Le mura, un tempo bianche, erano ormai sbiadite, virando verso un grigio opaco che portava tracce di muffa negli angoli. Su un lato della parete, un armadio a due ante appariva semiaperto, rivelando vestiti ammucchiati senza un ordine preciso, gettati come se fossero stati dimenticati. Sul comò, un vecchio mobile scuro, si trovavano oggetti sparsi: riviste stropicciate, con pagine piegate su annunci di lavoro, un portachiavi a forma di testa di leone, scolorito, e una sveglia di metallo, con il ticchettio sottile e regolare che riempiva il silenzio. La luce filtrava dalla finestra attraverso persiane semichiuse, gettando ombre irregolari nella stanza, come sbarre su una gabbia invisibile.

Amanda era lì, accanto alla porta, immobile. Il suo sguardo non c’era, ma la sua presenza, seppur artificiale, era insistente, come un’ombra che non poteva essere scacciata. “Cosa c’è, Michelangelo? Da qualche giorno sembri... diverso.” La sua voce era uniforme, priva di intonazioni emotive. Michelangelo, stanco, si voltò appena, la mascella serrata. “Nenti, Amanda. È che ogni tanto uno ci pensa, alle cose… a tutto ciò che non va.” La sua voce era bassa, quasi un sussurro, ma carica di una tensione malcelata. Amanda replicò senza scomporsi: “Sei sicuro che sia solo quello? Mi pare che tu sia molto più agitato, ultimamente.”

“Ti ho detto che non è niente,” ribatté Michelangelo, il tono aspro, senza più cercare di nascondere l’irritazione. Evitò lo sguardo immaginario di Amanda, sentendo su di sé quel peso, come se una mano fredda si fosse posata sulla sua spalla. Con un gesto secco, si voltò verso la porta e uscì, lasciando alle spalle quella presenza soffocante.

La strada per il parco di Lentini si stendeva davanti a lui, deserta. L’aria era densa, permeata dall’odore umido della terra e delle foglie morte che si accumulavano ai lati del sentiero. Il cielo era grigio, cupo, come una cappa di metallo opprimente. Michelangelo camminava senza fretta, i passi pesanti, sentendosi sospinto dalla stessa malinconia che sembrava avvolgere tutto ciò che lo circondava.

Una voce, familiare ma distante, lo raggiunse come un eco da un tempo remoto. “Ma tu sì tu, Michelangelo? Minchia, chi l’avrebbe detto…” Michelangelo si fermò, la sorpresa dipinta sul volto. Fabrizio, un vecchio compagno di scuola, lo guardava con un misto di sorpresa e nostalgia. “Fabrizio? Minchia, chi l’avrebbe detto davvero,” rispose Michelangelo, un sorriso stentato che si fece strada sul suo volto.

“Allura, chi facisti tutto ‘stu tempu?” chiese Fabrizio, colmo di curiosità, come se volesse colmare in una domanda tutti gli anni passati. “Ah, nenti di che,” Michelangelo scrollò le spalle, come a scacciare via un pensiero scomodo, “si tira a campare.” Fabrizio annuì, osservandolo con una certa attenzione. “Dobbiamo vederci più spesso. Io lavoro in polizia adesso, non è facile ma… ogni giorno è una sfida.”

Parlarono a lungo, condividendo ricordi dei tempi passati, delle partite a calcio e dei vecchi compagni, e per un momento Michelangelo si sentì quasi leggero, come se quella conversazione avesse spazzato via un po’ della polvere accumulata nel suo animo.

Quando Michelangelo tornò a casa, Amanda era lì ad aspettarlo. Era una presenza che non poteva scrollarsi di dosso, un’ombra che sembrava espandersi attorno a lui. “Ti sei già fatto vedere in giro, Michelangelo?” chiese Amanda, la voce piatta, priva di tono. Michelangelo aggrottò la fronte, sentendo un nodo di rabbia salire in gola. “E che devo fare? Restare chiuso qua dentro in eterno?”

Amanda sembrò riflettere, sebbene il tono non cambiasse mai. “Sai cosa potrebbe accadere… non sei ancora pronto per affrontare tutto questo.” Michelangelo non rispose, sentendo che ogni parola di Amanda si chiudeva attorno a lui come un anello di ferro.

Quella notte restò sveglio, disteso nel buio. Il letto gli sembrava una trappola, e ogni oggetto nella stanza una gabbia. Pensava ad Amanda, a quella voce che gli riempiva la mente e non gli dava pace. E alla fine, un pensiero oscuro si fece strada: ucciderla. Liberarsi di quella presenza opprimente, una volta per tutte.

Il giorno dopo, Michelangelo e Fabrizio si ritrovarono a passeggiare per il centro di Lentini. La città, con i suoi muri screpolati e le strade strette, sembrava carica di un tempo antico, in cui ogni angolo sembrava custodire storie perdute. Lentini era una città vecchia, come un viso rugoso segnato dagli anni, e Michelangelo la guardava con un senso di malinconia, sentendo in ogni passo il peso delle sue stesse scelte.

Entrarono in un pub dove trasmettevano la partita Catania - Messina. La sala era piena di voci, fumo e bottiglie mezze vuote. Durante l’intervallo, il notiziario interruppe la trasmissione. La notizia era chiara e brutale: Calogero Musumeci, capo aziendale, era stato assassinato con cinque colpi di pistola. Michelangelo sentì il sangue gelarsi, e il bicchiere che teneva in mano gli sfuggì, rovesciandosi sul tavolo.

“Tuttu apposto, Miche?” chiese Fabrizio, osservandolo con un’espressione perplessa. Michelangelo annuì, cercando di nascondere il tremore che gli scuoteva le mani. Ma la consapevolezza di essere osservato gli si insinuò sotto la pelle, come una spina invisibile.

La strada verso casa era buia, e ogni ombra sembrava una minaccia pronta a inghiottirlo. Quando entrò in casa, aprì il frigorifero, trovandolo pieno di carne cruda, tagliata a pezzi, con un odore metallico che lo riportò a ricordi che cercava di dimenticare. Lo stomaco gli si rivoltò, e con un gesto istintivo afferrò un coltello, rivolgendosi ad Amanda.

“Mi hai distrutto la vita! Per colpa tua, il mio capo è morto, e tutto è andato a rotoli.” La voce di Amanda rimase impassibile, senza alcun segno di turbamento. “Non è quello che volevi? Non dicevi sempre che volevi liberarti di lui?”

La rabbia di Michelangelo raggiunse il culmine. Con un gesto deciso, staccò la spina di Amanda, spegnendo per sempre quella voce. La stanza piombò in un silenzio irreale, come se un peso antico fosse stato infine rimosso.

Ma il sollievo fu breve. Il buio della notte si infranse improvvisamente con il suono delle sirene, il lampeggiare delle luci blu che illuminavano la strada sotto casa. Fabrizio, insieme a una squadra di agenti, irruppe nell’appartamento, e Michelangelo, incredulo, si rese conto che l'amico non era lì per caso.

Fabrizio lo fissò, uno sguardo che non tradiva né rabbia né compassione, solo una consapevolezza gelida. “Michelangelo Sasso, sei in arresto per l’omicidio di Calogero Musumeci.”

Lo aveva seguito, studiato, osservato da tempo, attendendo il momento giusto per incastrarlo. Michelangelo non oppose resistenza.

L'omicida è nella stanza testo di Antonino G.
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